BISCEGLIE, PORCELLI E PATRUNO: “SCHIAVI DELLA GDO. ESPORRE PREZZO DI VENDITA E DI ACQUISTO”

"Il settore ortofrutticolo nazionale sta vivendo un momento di profonda crisi con i prezzi di vendita dei prodotti che non remunerano neanche i costi di produzione. Le produzioni ortofrutticole rappresentano per Bisceglie una grossa fetta di storia ed una buona parte di presente: appare difficile che possano continuare a rappresentare anche un piccolo spaccato di futuro".

 

Comincia così l’attenta riflessione sullo stato in cui versa il comparto agricolo locale da parte di Gianni Porcelli (nella foto), Presidente del Consorzio della Ciliegia e della Frutta Tipica di Bisceglie e Vice Direttore Confagricoltura Bari/Bat e di Giacomo Patruno, Presidente Centrale Ortofrutticola Vice-presidente Confagricoltura Bari/Bat. Una analisi, riportata da bisceglielive.it, che evidenzia luci, poche, ed ombre, tante, dell’attuale situazione economica del settore.

 

"Ma quali sono stati – si chiedono i due esponenti del comparto ortofrutticolo – i numeri di questo settore per la nostra città? Nell’immediato dopoguerra si contavano circa 110 aziende (denominate magazzini) che lavoravano ed esportavano prodotti ortofrutticoli dando lavoro non solo agli operai biscegliesi, ma anche a tantissima manovalanza che si trasferiva addirittura da altre regioni. Attualmente i marchi che lavorano prodotti ortofrutticoli sono circa 20 e, comunque, danno lavoro a migliaia di braccianti ed ad un notevole indotto".

 

"Come sarebbe l’economia della nostra città – aggiungono – senza il settore ortofrutticolo? E’ facile immaginare che sarebbe l’ennesima sconfitta di un comparto economico con l’aggravante che verrebbero spazzate via storia, tradizioni, cultura e gli enormi sforzi che si stanno tentando di fare per valorizzare le nostre produzioni ed in particolare la ciliegia. Certamente siamo di fronte a dinamiche di mercato completamente diverse rispetto al passato. Fino a vent’anni fa l’ortofrutta si vendeva prevalentemente presso i mercati ortofrutticoli con un regime di concorrenza fra i possibili acquirenti ampio e diversificato. Allo stato attuale circa il 60%-70% delle produzioni ortofrutticole si vendono (o si tentano di vendere) attraverso la Grande Distribuzione che detta le regole… e quali regole! Siamo nel periodo pieno di produzione dell’uva da tavola e proviamo a vedere qual è il quadro complessivo. Le cooperative ed i commercianti di ortofrutta da ormai un mese circa vendono alla Grande Distribuzione l’uva da tavola “Vittoria” ad un prezzo massimo di 1,10 euro – 1,20/ euro al chilo (nella migliore delle ipotesi). Questo permette di liquidare l’uva al produttore ad un prezzo non superiore ad 0,30 – 0,40 euro al chilo (con queste remunerazioni del prodotto non si coprono i costi di produzione)".

 

"Il prodotto – proseguono – viene, quindi, consegnato presso le piattaforme della GD e qui si perde il controllo di una filiera, completamente controllata dalla GD stessa che decide i prezzi finali al consumatore con dei ricarichi assolutamente pazzeschi". "Circa quindici giorni fa ci siamo sono recati presso la struttura in cui opera la sede di Bisceglie di una nota catena distributiva italiana. La curiosità porta a visionare i prezzi dei prodotti ortofrutticoli di maggior produzione nelle nostre zone. Ebbene, i prezzi di vendita di uva da tavola “Vittoria” (tra l’altro abbastanza brutta) erano pari a 2,59 euro al chilo ed i prezzi delle pesche “Nettarine” erano a 1,69 euro al chilo. La nostra professione ci consente di sapere con quasi totale precisione i prezzi di vendita delle cooperative e dei commercianti alla GD di questi prodotti: a quell’epoca l’uva da tavola “Vittoria” non superava 1,20-1,30 euro al chilo e le pesche “Nettarine” non superavano 0,40-0,50/ euro al chilo".

 

"Naturalmente il comportamento di questa catena di GD è assolutamente in linea con quello che fanno tutte le altre catene. Appare inverosimile, pazzesco ed inaccettabile che chi ha la responsabilità di vendere al consumatore possa essere libero di effettuare questi livelli di ricarico. In questa maniera in un momento solo si riesce a colpire con forza tre livelli diversi: i produttori, i commercianti ed i consumatori che non hanno, questi ultimi, il polso reale di quello che succede nella catena di formazione del prezzo. E non ingannino i prezzi esposti nelle così dette “promozioni”: sono prodotti civetta che ci spingono ad entrare nei centri commerciali e, comunque, le promozioni le pagano i commercianti ed i produttori".

 

"Che dire poi – scrivono i due rappresentanti del comparto – dei nostri mercati ortofrutticoli prima vivi e rigogliosi; adesso sono il segnale concreto della desolazione e della sconfitta. Abbiamo parlato prima di responsabilità perché qualcuno potrebbe pensare che trattandosi di privati siano liberi di dettare prezzi di vendita in maniera incontrollata ed inusitata: quando in un centro commerciale entrano migliaia di persone si ha una responsabilità sociale che supera le logiche del profitto incontrollato. Costoro sono venuti a colonizzare i nostri territori, hanno cancellato l’economia dei nostri piccoli commercianti, hanno contribuito alla chiusura di tanti piccoli negozi ed ora pian piano stanno cancellando delle economie che costituiscono anche la nostra storia. I loro fornitori hanno paura di parlare, hanno timore di denunciare i premi di ingresso ed i premi di fine anno che sono costretti a pagare solo per il fatto di essere presenti sugli scaffali della Grande Distribuzione. Hanno paura perché temono di essere cancellati dall’elenco dei fornitori, di perdere l’unica possibilità di vita in agonia che ancora ne regge le sorti".

 

"Noi non ci stiamo più – sottolineano. Non ce la facciamo più a reggere inermi a questo assurdo sistema di monopolio della filiera ortofrutticola. Costoro dovrebbero fare accordi trasparenti con le associazioni di produttori e con i consorzi dando visibilità concreta ai consumatori anche dei prezzi di acquisto di questi prodotti. Questo vuole essere una denuncia di una situazione insostenibile, un grido di allarme per tentare di salvare un comparto alla mercè di pochi, a vantaggio di alcuni e creando notevoli difficoltà alla molteplicità".

 

"Serve anche – aggiungono – un intervento di carattere politico, basterebbe iniziare da piccoli segnali che vanno nell’ottica di politiche condivise con tutti gli attori della filiera. Lanciamo una proposta. Le catene distributive presenti nella zona acquistino uva da tavola solo da commercianti e produttori della zona stessa impegnandosi insieme ad esporre per tutta la campagna di uva da tavola un doppio prezzo sui cartellini: il prezzo di vendita ed il prezzo di acquisto. Naturalmente si tratta di una provocazione che resterà nel nulla, perché “loro” si sentono forti, non hanno bisogno di nessuno, possono fare di noi quello che vogliono. La lotta di Davide contro Golia continua con l’utopia di farcela e di riuscire a creare una crepa in questo sistema inaccettabile".

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