LIMONI: IN SICILIA MERCATO IN CADUTA LIBERA. PREZZI A 7 CENTESIMI AL CHILO

Settanta chilometri di distese di limoneti disegnano la costa tra Catania e Messina. Hanno creato nell’immaginario collettivo l’iconografia della Sicilia, ma tra pochi anni di quegli alberi potrebbe non restare traccia. Ai contadini che producono nel tratto di terra che attraversa Aci Castello, Acitrezza e Giarre, fino a Roccalumera, non conviene più coltivare i limoni.

I costi per produrli sono arrivati a superare i ricavi della vendita: sette centesimi per un chilo, contro i tredici che costa raccoglierli. E così migliaia di tonnellate di frutti rimangono a marcire sui rami.

A raccontare la drammatica situazione è un servizio del quotidiano La Repubblica-Palermo. A schiacciare gli agricoltori catanesi c’è da un lato la concorrenza dei limoni stranieri, venduti a prezzi più bassi grazie a costi di produzione inferiori (4 euro per una giornata di lavoro in Turchia, contro i 70 euro della Sicilia), dall’altro il meccanismo della filiera che penalizza i piccoli a vantaggio delle grandi industrie.

"Fino a cinque anni fa – dichiara a La Repubblica Salvatore Rapisarda (nella foto qui a sinistra), presidente di Euro agrumi, cooperativa che raccoglie 40 imprese agricole nel catanese – in Sicilia c’erano circa 80 aziende di trasformazione di limoni e arance, oggi sono rimaste meno di dieci. Si è creato un oligopolio sul fronte dell’acquisto ed una frammentazione notevole sul fronte dell’offerta, con organizzazioni di produttori che molte volte vengono messe in difficoltà dagli stessi industriali che si appoggiano al sistema di scartatari (intermediari che raccolgono i frutti dai piccoli contadini e li rivendono agli industriali), che garantiscono l’efficacia del cartello".

"Le aziende di trasformazione – aggiunge Alessandro Chiarelli (nella foto a sinistra), presidente della Coldiretti di Catania – si avvantaggiano del marchio dei limoni siciliani, ma non danno nessun valore al prodotto. Il prezzo lo stabiliscono al ribasso in base a quello proposto dai coltivatori esteri, ma usano il brand italiano anche quando la quantità di limone nostrano utilizzato nei succhi è minima".

"Non riusciamo più a stare in piedi – racconta alla redazione del quotidiano Agostino Pennisi, produttore agricolo di Acireale – ci sono spese che dobbiamo sostenere per mantenere in vita il terreno, ma i soldi che abbiamo non bastano più. Dall’Unione europea riceviamo qualcosa, ma è un contributo minimo in rapporto ai costi. Io, per esempio, ogni anno ricevo 18 mila euro, a fronte di spese per 200 mila euro. Ho dovuto licenziare parte del personale, da 12 persone adesso sono rimasti in 5".

La soluzione, secondo i produttori, è semplice. "Basterebbe – continua Pennisi – destinare dei fondi per incentivare un miglioramento nella produzione, per creare un prodotto più omogeneo, appetibile per il mercato".

"Il problema – spiega il presidente della Cia di Catania Graziano Scardino – è che in queste zone si coltiva un tipo di limone, il monachello, poco competitivo nel mercato mondiale. E’ una varietà delicata, facilmente deperibile, che non riesce a resistere ai tempi richiesti dal mercato del fresco".

La grande distribuzione non li vuole, perché non omogenei ed esteticamente peggiori di quelli provenienti dal Sud America e dalla Turchia, e da una decina di anni l’unico acquirente rimasto è l’industria dei succhi e delle essenze.

"Viene acquistato – continua Scardino – come prodotto di bassa qualità. Fino a qualche anno fa l’industria pagava 20 centesimi al chilo, pochi ma sufficienti a ripagare i costi di produzione. Adesso siamo arrivati a sette centesimi e non conviene più raccoglierli. Per sopravvivere al mercato internazionale, gli agricoltori avrebbero dovuto investire, ma nessuno era in grado di sostenere le spese di riconversione. Parliamo di piccoli contadini, che non si sono mai aggregati in cooperative".

Nell’ultimo anno sono state circa 500 le imprese agricole costrette a chiudere i battenti. Anche gli ettari di terra coltivata a limoni e la produzione annua hanno registrato un calo vistoso: dai 6 mila ettari e 135 mila tonnellate di prodotto del 2009 ai 5 mila ettari e 120 mila tonnellate del 2011.

La condizione è diversa in provincia di Siracusa, dove si produce un limone a Indicazione geografica protetta, il Femminello siracusano. Il marchio Igp e le qualità intrinseche del frutto hanno protetto dalla concorrenza estera, ma anche qui, negli ultimi mesi, la situazione è peggiorata.

"Coltiviamo – spiega a La Repubblica Fabio Moschella (nella foto a fianco), presidente del Consorzio del limone di Siracusa – un prodotto di qualità e questo finora ci ha protetto dalla crisi. Quest’anno, l’annata agricola tra ottobre e maggio è stata disastrosa, a causa dalle condizioni meteo e dei blocchi del Movimento dei forconi. Il nostro fatturato è calato del 30 per cento, adesso vendiamo il limone a 18 centesimi al chilo, contro i 60 dello scorso anno. Bisogna trovare soluzioni adesso, se non vogliamo fare la fine dei coltivatori catanesi".

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