“IL SISTEMA AGRICOLO STA CROLLANDO SOTTO LA SPINTA DEL MERCATO GLOBALE”

In merito all’editoriale del direttore del Corriere Ortofrutticolo Lorenzo Frassoldati “In agricoltura va tutto bene, anzi benissimo. Ve ne eravate accorti?”, ripresa anche dal notiziario dell’Accademia dei Georgofili, un nostro lettore ha inviato una lettera per commentare la situazione del settore ortofrutticolo prendendo spunto proprio dall’articolo di Frassoldati.

Lo riprendiamo integralmente qui sotto.

 

“Il sistema agricolo sta crollando sotto la spinta del mercato globale. Psr inefficaci, politiche regionali errate”

Gentile Direttore,

ho apprezzato molto il suo sferzante articolo sulla newsletter del Corriere Ortofrutticolo ripresa anche dal notiziario dei Georgofili.

Come forse saprà io stesso mi diletto di giornalismo agricolo (scrivo su alcune testate del gruppo NBM), come hobby a margine della mia attività di consulente tecnico in Unima-Confai, l’associazione dei contoterzisti agricoli.
In questo ambiente, reietto dalle associazioni agricole che ancora credono nell’azienda agricola a circuito chiuso, ho mandato giù bocconi amari tutte le volte che mi sono dovuto confrontare con i “poteri forti” che ancora contano nei palazzi romani e regionali.

Credo però che la svolta si stia avvicinando: forse saranno i capelli bianchi (sono nel settore dal 1978, quando ero una spaurita matricola a Bologna), ma credo che la cosiddetta “agricoltura di facciata” si stia sgretolando come le case di tufo.

Il terremoto è già arrivato, eccome!

Anche gli agricoltori più sprovveduti si sono resi conto che il sistema sta crollando, sotto la spinta di quel mercato globale promesso dal 1992 come contropartita della PAC degli aiuti diretti. Aiuti che non sono stati impiegati per rendere le aziende più competitive, ma semplicemente tesaurizzati o impiegati male.

Anche se una parte di quei soldi – lo dissi già a quei tempi – si sono trasferiti immediatamente sui canoni di affitto, una quota più consistente è stata impiegata per continuare a coprire costi impropri, per tenere in piedi aziende poco competitive, che si sono così progressivamente marginalizzate da sole.

Ora che la PAC è divenuta quasi ininfluente per la sopravvivenza delle aziende, finalmente qualcuno comincia a fare i conti e a capire che il sistema agricolo italiano fa acqua da tutte le parti: da due anni cito la perdita di posti in classifica sul PIL agricolo e sulle esportazioni che ci è stata attribuita dal rapporto FAO, e solo questo dovrebbe spingere i nostri decisori a cercare di capire cosa sta succedendo.

Sembra invece di capire che il Ministro Martina, e i suoi cari amici della Coldiretti, continuino a illudersi che questa è una crisi passeggera, contingente e non strutturale.

Le cose stanno ben diversamente e lei, così come Frascarelli, lo avete capito da tempo.

Le do qualche dato: l’ISTAT attribuisce al contoterzismo circa 3,7 miliardi di euro di volume d’affari che, divisi per una media di 500 euro per ettaro di lavori annui (media derivante dall’esperienza), portano lo share del settore a 7,5 milioni di ettari, su 12,5 di SAU nazionale.

Se i dati sono plausibili – e trattandosi dell’ISTAT non ho motivo di dubitarne – sono sempre meno gli agricoltori che fanno ancora il loro mestiere: solo 450.000 persone sono iscritte alla previdenza agricola, su circa 1,4 milioni di “agricoltori” e su 900.000 partite IVA “agricole”.

Queste considerazioni portano a due conclusioni, una politica ed una economica.

Sul piano politico, il peso elettorale degli agricoltori di professione è ormai marginale; se il “collegato agricolo” ha avuto quasi tre anni di gestazione e non produrrà alcun effetto pratico, può essere un segnale che qualcuno – sotto sotto – ha già fatto i suoi conti.

Ma l’aspetto economico conta assai di più: le aziende agricole hanno da tempo rinunciato ad investire, e preferiscono affidare il lavoro a chi lo sa fare ed, evidentemente, riesce a garantire loro quel minimo di redditività che gli consente di essere pagato per i propri servizi. Un’indagine condotta da Nomisma 2 anni fa mostrava che almeno 1 agricoltore su 5 ha affidato l’intera gestione dell’azienda al contoterzista, l’unico di cui si fida ciecamente; personalmente (ho lavorato nella raccolta dei dati) credo che questa quota sia sottostimata e possa raggiungere, specie nelle aree marginali, il 50% dei conduttori di aziende agricole.

Una misura indiretta di questa tendenza a non investire ci viene dai dati Unacoma: il mercato dei trattori è a terra, quello degli implements è ancora più critico, un fenomeno solo parzialmente coperto dalla mancanza di statistiche attendibili.

Vogliamo parlare del PSR? I dati della mia regione sulla vecchia programmazione mostrano che gli agricoltori che vi hanno fatto ricorso si sono progressivamente indebitati senza migliorare di un punto la loro redditività: l’incremento del fatturato medio copre appena i maggiori  oneri finanziari. 

E parliamo di una regione molto attenta nei controlli: mi chiedo cosa accada dove le domande di contributo sono sempre coperte dalla disponibilità, e vengono accettati progetti sproporzionati alla capacità di spesa dell’agricoltore.

Le politiche agricole regionali sono in gran parte errate, perché partono da presupposti errati: il palazzo non sa come è composto e come funziona il sistema produttivo, non ne conosce le logiche e continua a sognare un modello di sviluppo già superato dal mercato e dall’evoluzione dei tempi.

Qualche mese fa abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa con l’Accademia dei Georgofili, con cui intendiamo ampliare la collaborazione per cambiare l’agricoltura italiana e fare finalmente comprendere alla politica che il rilancio del settore primario passa – prima di tutto – attraverso il riconoscimento dell’attività agricola quale parte di un sistema integrato, in cui confluiscono beni e servizi, professionalità e innovazione.

La ringrazio ancora, quindi, per il Suo intervento; ma credo che giornalisti di razza come lei debbano portare l’informazione anche al di fuori del nostro ambito, anche sulla grande stampa, per far conoscere ai cittadini – di città – cosa sia l’agricoltura reale.

Con stima

Roberto Guidotti

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Caro Guidotti, grazie per la Sua lettera che riflette la crisi del settore dal punto di vista dei contoterzisti. Ormai la distanza tra agricoltura reale e agricoltura comunicata sui media è davvero siderale. Noi che ci occupiamo di ortofrutta tutti i giorni, tocchiamo con mano quanto le chiacchiere  di politici e sindacalisti siano lontane dalla realtà, anzi tradiscano l’impegno – davvero sovrumano – di tutti gli imprenditori che quotidianamente aprono bottega per mandare avanti la baracca-Italia, lavorando e scontrandosi contro uno Stato e una burocrazia che non fa altro che mettere i bastoni tra le ruote. L’ambiente agricolo è assai conservatore ma – sono d’accordo con Lei – il terremoto sta arrivando. Oppressi da impegni, obblighi di ogni tipo, mala-burocrazia, debiti e alle prese con un calo dei redditi strutturale, gli agricoltori-produttori non avranno altra scelta che fare una rivoluzione pacifica, quella che in politica hanno fatto i Cinquestelle di Grillo, più per demerito degli altri che per capacità proprie (come dimostrano eloquentemente le vicende romane). Manca solo un Grillo a dar fuoco alle polveri. Penso che ne vedremo delle belle, quando sarà arrivato il momento. (l. frass)

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