SULL’ACCORDO CON IL CANADA VA IN SCENA L’ALLEANZA ANTI-GLOBAL TRA COLDIRETTI E CGIL

Prendete nota di queste sigle. Coldiretti, Cgil, Arci, Adusbef, Acli Terra, Fair Watch, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori. Sono tutti scesi in piazza mercoledì contro il CETA, il trattato di libero scambio col Canada sottoscritto dalla UE e che deve essere ratificato dai vari Parlamenti nazionali. L’accusa è di non tutelare abbastanza il made in Italy nonostante questo accordo sia stato unanimemente giudicato un esempio di quello che dovrebbero essere questi trattati: equilibrati, in grado di tutelare reciprocamente le parti, più protettivi verso le nostre eccellenze DOP e IGP,  in grado di offrire nuove opportunità alle imprese: in sostanza i vantaggi dei  mercati aperti, anziché dei mercati chiusi. Ecco il punto è questo. Questa non è “l’alleanza trasversale per difendere il made in Italy”, come ha detto dal palco il  presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, ma la scesa in campo degli anti-global di casa nostra, la rappresentazione plastica del neoprotezionismo in salsa italiana. Che su questa barca ci siano Cgil, Greenpeace e varie sigle dell’associazionismo dei sedicenti consumatori, notoriamente non troppo sensibili agli interessi delle imprese, passi. Ma che a guidare la variopinta schiera degli anti-global ci sia la Coldiretti, ossia il primo sindacato dell’agricoltura italiana, la dice lunga sullo stato confusionale del nostro settore primario.

L’episodio sancisce l’ennesima frattura con la restante parte del nostro mondo agricolo. E non a caso Agrinsieme, cioè Alleanza cooperative agroalimentari, Cia, Confagricoltura, Copagri (2/3 delle aziende agricole del Paese, il 60% del valore della produzione agricola e più del 30% del valore dell’agroalimentare italiano), per bocca del presidente Giorgio Mercuri ha subito preso le distanze dall’iniziativa di Coldiretti-Cgil. “Il CETA – ha detto Mercuri – spalanca reali e interessanti opportunità commerciali alle aziende italiane che operano nell’agroalimentare e  consente a migliaia di produttori di latte, vino, ortofrutta, olio ed altre eccellenze di riuscire, attraverso cooperative e strutture aggregate, a creare un importante valore aggiunto alle loro produzioni proprio grazie alle vendite sul mercato canadese”. Ora se Trump dice ‘America first’ e lancia proclami neo-protezionistici tutti a scandalizzarsi, con i sedicenti liberali di casa nostra che fanno finta di indignarsi. Se invece  i no-global di casa nostra scendono in piazza urlando ‘Italia first’ , la cosa appare normale. Quello che i nemici del libero mercato non dicono fino in fondo è che loro sono orfani dell’Europa delle quote produttive e delle sovvenzioni, dei prezzi garantiti, delle eccedenze smaltite a carico dei contribuenti. Dell’Europa che garantiva  sostegno a tutti (con la Pac che valeva il 70% del bilancio comunitario), con dazi all’entrata e sovvenzioni all’export. Dell’agricoltura assistita che, in quanto tale, non era stimolata ad organizzarsi , a confrontarsi col resto del mondo. Adesso che il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E noi ci rifugiamo dietro un comodo alibi: ‘Italia first’.

Intendiamoci, con questo non voglio dire che non si deve tutelare e difendere fino in fondo il made in Italy, che lo si deve svendere e abbandonare  all’agropirateria internazionale. Però il CETA introduce protezioni alle denominazioni geografiche e garanzie laddove non ce n’erano. Persino il timido ministro Martina ha osato smarcarsi dalla Coldiretti ricordando che il CETA è “un buon punto di partenza”. Io non so dire adesso se il CETA è un accordo buono o cattivo. Fra un anno potremo valutare i suoi effetti con l’aumento o meno delle esportazioni dei nostri prodotti. Ma dichiarare guerra per partito preso significa solo fare facile populismo. Non a caso a sostegno dell’iniziativa Coldiretti-Cgil sono scesi in campo molti politici solamente a caccia di voti ma che col populismo hanno dimestichezza. Si va dagli scissionisti del Pd (art1-Mdp) alla sinistra radicale di Si-Sel, alla Lega Nord di Salvini, a Fratelli d’Italia. Sul palco sono passati anche tre ex ministri dell’Agricoltura: Gianni Alemanno, Alfonso Pecoraro Scanio e Luca Zaia. Chissà se sapevano quello di cui parlavano…

Con l’aria di battaglia elettorale che circola, forse il percorso della ratifica del CETA da parte dell’Italia sarà accidentato. C’è da temere l’ennesima battaglia a colpi di slogan populisti in Parlamento, sulle piazze e nei talk show televisivi. Trump ha fatto scuola: lui ha affossato il TTIP, noi forse affosseremo il CETA. I no-global, i no-liberal forse l’avranno vinta, tanto qui chi ragiona più? La difesa del made in Italy agitata come una bandiera diventa un alibi per coprire le nostre inefficienze, la nostra incapacità di organizzarci, il nostro eterno frazionismo, la nostra perdurante mancanza di competitività. Abbasso il CETA allora… e benvenute le catene tedesche e francesi che si insediano nel nostro Paese. Ci penseranno loro a valorizzare il made in Italy. Ci spiegheranno loro come fare.  E noi – potete starne certi – staremo buoni e tranquilli.

Lorenzo Frassoldati

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