INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA, SALE LA PREOCCUPAZIONE DEI PRODUTTORI CATALANI

Si registra forte preoccupazione da parte dei produttori catalani che hanno partecipato, come ogni anno, a Fruit Attraction a Madrid con una presenza massiccia occupando buona parte del padiglione 8. Del resto non ci si sarebbe aspettato nulla di diverso dal momento che la Catalunya rappresenta una delle regioni produttive più importanti di tutta la Spagna con circa il 70% della produzione nazionale di pere e mele ed il 40% di quella di pesche e nettarine.

Nell’incertezza attuale della situazione politica post-referendum sull’indipendenza dello scorso 1 ottobre, i rappresentanti del settore ortofrutticolo portano avanti il dialogo con le istituzioni governative spagnole, come ci assicura Manuel Simon, direttore generale di Afrucat, l’organizzazione delle imprese frutticole della Catalunya.

“La ministra dell’Agricoltura spagnola, Isabel Tejerina, è venuta a visitare i nostri stand durante la fiera – precisa Simon – ma non abbiamo parlato della situazione politica ma della crisi europea delle drupacee. Su questo punto si sono appena aperti due gruppi di lavoro con riunioni previste il 27 ottobre prossimo a Madrid e, successivamente, il 31, per un focus sulla campagna di mele e pere. Inoltre, il dialogo continua serenamente anche con le principali istituzioni di settore dell’Unione europea e degli altri Paesi come, ad esempio, la Francia, l’Italia dove collaboriamo con il Cso e, in genere, con le regioni produttrici Ue aderenti ad Areflh”.

Molti operatori presenti in fiera hanno preferito non commentare la situazione attuale. Quelli che hanno accettato di parlare con noi, ci riferiscono che, allo stato attuale, la campagna in corso sta procedendo normalmente ance se sono forti le preoccupazioni che traspaiono legate all’incertezza degli sviluppi politici. Soprattutto in funzione delle conseguenze economiche che potrebbero derivare da una eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Parlamento Catalano che ha spinto più di 900 aziende catalane (non agricole) e le due principali banche catalane a trasferire la propria sede in altre regioni spagnole.

In uno scenario del genere – ci riferisce un produttore catalano che chiede di rimanere anonimo – saremmo automaticamente fuori dall’Unione europea il che significa, ad esempio, dovere rinunciare ai fondi operativi, con i quali al momento si realizzano la maggior parte degli investimenti nel settore ortofrutticolo. Che io sappia, fino ad oggi, nessuna azienda agricola ha spostato la propria sede fuori dalla Catalogna ma la preoccupazione e tanta e siamo tutti pronti a organizzarci. Adesso comunque è prematuro parlarne. Seguiamo gli sviluppi con apprensione”.

Distensive le parole di Manuel Simon: “Il settore ortofrutticolo della Catalunya non è ‘marchista’ ossia fondato su brand. La frutta è considerata alla stregua di una commodity sicché non sono attese comunque delle conseguenze anche in caso di eventuali ritorsioni da parte del resto del mercato spagnolo. Del resto la nostra regione è molto vocata all’export e solo il 20% della frutta prodotta qui viene venduta in Spagna”.

Nella bilancia dei pro e dei contro, non si può dimenticare, peraltro, che la Catalunya rappresenta il 26% del bacino di consumatori spagnoli di prodotti bio, un quarto del totale. Una regione chiave che certamente guida la spinta nazionale in avanti verso le produzioni certificate oltre che gli investimenti in questo settore del governo madrileno. L’isolamento di polo di distribuzione biologico così compatto, si tradurrebbe per il mercato, in una frammentazione significativa del bacino di consumatori sparpagliati nelle restanti regioni.

“Il settore ortofrutticolo – chiarisce Simon – non riceve aiuti diretti da Madrid e, in questo senso, si sta sviluppando, soprattutto da parte dei compratori più consapevoli, un certo apprezzamento verso i prodotti locali, vendite a km0 e acquisti di prossimità”.

Sul fronte logistico la Catalunya è centrale nel settore ortofrutticolo spagnolo e, in genere, sudeuropeo, non solo per la presenza del porto di Barcellona che è fra i primi nel Mediterraneo per la movimentazione di frutta e verdura ma anche perché collocata su una delle principali direttrici sud-nord che nei giorni dei disordini dovuti al referendum ha causato ritardi per i camion provenienti dal sud anche di due giorni.

Il porto di Barcellona, peraltro, oltre a servire tutto il bacino spagnolo a cominciare da Lleida e Girona, è punto di riferimento anche per i produttori al di là dei Pirenei come ad esempio, la regione francese Languedoque Roussillon.

Una Catalunya isolata dal resto della Spagna potrebbe significare depotenziamento del porto di Barcellona a vantaggio di altri porti del Paese, primo fra tutti quello di Valencia, ma anche i concorrenti francesi sul Mediterraneo che stanno praticando nuove politiche aggressive di crescita, come Tolosa o Marsiglia. Ma anche su questo punto, Simon rassicura: “Gli operatori del mercato non sono interessati alle vicende politiche e basano le loro scelte sui costi più vantaggiosi, dei servizi logistici e doganali, che il porto di Barcellona ha sempre offerto. A questo si aggiunga anche la sua posizione che rimane strategica”.

La Catalunya, infine, è uno snodo nevralgico del corridoio mediterraneo in fase di realizzazione. Si tratta della linea ferroviaria tanto caldeggiata dai produttori almeriensi perché permetterebbe di raggiungere il nord-Europa in tempi stretti e a prezzi molto inferiori del trasporto su gomma o per nave. “Ogni giorno partono dall’Almeria qualcosa come 500 camion di prodotti ortofrutticoli – spiega Diego Martinez Cano, presidente della Camera di Commercio di Almeria in un’intervista ad una televisione spagnola -. A titolo esemplificativo, spedirli verso la Russia su gomma costa circa 8.500 euro a tir, via nave la spesa è di 4.500 euro, mentre su rotaia si potrebbe risparmiare un ulteriore 20%”.

Mariangela Latella

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