NON DOBBIAMO COMPETERE SUL PREZZO, MA SULLA QUALITÀ. ALTRIMENTI NON C’È FUTURO

Molti anni fa mi trovavo in Andalusia ad un incontro con alcuni produttori del leggendario prosciutto Bellota – un salume di eccellente qualità che è oggi conosciuto in tutto il mondo. Alla mia domanda “ quale è il vostro obiettivo?” risposero perentori “farlo costare come il tartufo”. Obiettivo senza dubbio ambizioso – i saggi però insegnano che bisogna tener alte le proprie pretese: di fatto il Bellota oggi costa fino a un paio di centinaia di euro al kg – e negli ultimi 20 anni ha raddoppiato il suo prezzo.

Penso che anche per i prodotti ortofrutticoli la strada maestra sia la valorizzazione attraverso la qualità, attraverso la esaltazione del territorio di origine e le peculiarità di produzione. Come è stato fatto con i vini – dove da alcuni anni si è scoperto che le centinaia di vitigni autoctoni italiani sono una eccezionale risorsa strategica, dove si sta lavorando attivamente sui territori e sulle strategie di marketing territoriale – creando ricchezza non solo per i vitivinicoltori ma per intere aree. È nella incredibile biodiversità italiana, frutto del clima, dei terreni ma soprattutto di migliaia di anni di sapiente lavoro degli agricoltori, la chiave per innovare l’agroalimentare nazionale.

Nell’ortofrutta bisogna uscire dalla terribile spirale della competizione sul prezzo, diversificare l’offerta, informare e stimolare il consumatore, costruire strategie con i distributori. Guardiamo cosa hanno fatto i produttori di pesche, albicocche e anche meloni francesi: si sono semplicemente tirati fuori dalla “grande lotta” – quella per abbassare i costi di produzione – lotta che contrappone gli italiani agli spagnoli, poi domani ai greci e poi ancora più in là ai rumeni o chissà a chi altro. Quando è possibile lasciamo la produzione di commodities ad altri e concentriamoci sulla qualità, quella vera. Basta americanate, torniamo al buon senso italico.

Duccio Caccioni

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