AVVISO AL MINISTRO CENTINAIO: STIA ALLA LARGA DAL ‘PROTEZIONISMO PAROLAIO’ E PENSI ALLE IMPRESE

Dunque il Giappone sì, il Canada no. Nel paese-manicomio, dove tutto finisce in polemica ideologica trascurando la semplice realtà delle cose (cioè i bisogni delle imprese) , tutti plaudono all’accordo UE-Sol Levante, mentre sul CETA (UE-Canada) si è acceso un dibattito alimentato dalla pressione mediatica della Coldiretti, che porterà con ogni evidenza alla bocciatura del trattato. Un risultato nefasto, come dimostra il focus che l’Istituto economico Bruno Leoni ha dedicato all’argomentoleggetelo qui )  in cui si dimostra – numeri, cifre e percentuali alla mano – che gran parte degli argomenti degli avversari del CETA sono fake news, cioè semplicemente balle, messe in circolazione speculando sull’aria che tira, cioè la voglia di protezionismo/sovranismo/dazi che se li mette Trump è cattivo, ma se li mettiamo noi (solo a parole) difendiamo “l’eccellenza delle nostre produzioni”.

Purtroppo il governo giallo-verde ha abboccato all’amo di questo “protezionismo parolaio” assieme alla sinistra di Leu e altri post-comunisti convertiti all’agroalimentare come “sol dell’avvenir”.
Il vicepremier Di Maio va  a prendersi i baci e gli abbracci all’assembla della Coldiretti, incapace di rendersi conto che su questa partita del CETA la confederazione agricola guidata da Vincenzo Gesmundo ha voluto dimostrare la sua capacità di condizionamento/interdizione delle politiche del governo. Tutto qui. Quello che non era riuscito col tremulo Maurizio Martina, è riuscito col governo giallo-verde.

Vedremo cosa farà il ministro Centinaio, stretto tra il niet della Coldiretti (assecondato dal vicepremier Di Maio) e la volontà espressa da tutto il resto del mondo agroalimentare (la cooperazione di Fedagri, i privati di Federalimentare, i grandi consorzi dei formaggi DOP, il resto del mondo agricolo riunito in Agrinsieme) che dicono no al protezionismo e chiedono mercati aperti.

Quello che tanti politici non vogliono capire e che qualcuno dovrebbe loro ficcare in testa a colpi di un comunicato al giorno (o anche più, come fa Coldiretti) è che “noi produciamo molto più di quanto riusciamo a consumare per molti dei nostri comparti: dall’ortofrutta ai formaggi, al vino, abbiamo una eccedenza di prodotto e siamo di conseguenza nella condizione che esportare diventa necessario. Percorrere la strada dell’ “Italy first” attraverso la chiusura delle barriere ci esporrebbe al rischio di pericolose ritorsioni da parte di altri Paesi che potrebbero rispondere con misure protezionistiche e inasprimento delle barriere, che avrebbero come conseguenza quella di penalizzare proprio le tante piccole, medie e grandi imprese italiane che fanno non pochi sforzi per commercializzare i loro prodotti sui mercati lontani”. Parole di Giorgio Mercuri, n.1 di Aci-Alleanza Cooperative Agroalimentari.

La strada è un’altra: “in tema di internazionalizzazione, abbiamo bisogno di politiche attive a servizio delle imprese, che garantiscano in primo luogo la reciprocità, ossia regole chiare e condivise che valgono per noi come per i nostri competitor. Non è possibile che cibo che viene prodotto all’estero senza rispettare tutto il rigido sistema di controllo europeo arrivi poi sulle nostre tavole”.

Ecco, servono “politiche attive a servizio delle imprese” in Italia e in Europa. Non è l’annuncio della fine del mondo, è solo buon senso. Se Centinaio – di cui abbiamo letto un’intervista in cui scopre che “l’ortofrutta è un settore strategico per l’economia del nostro Paese”(complimenti!)  – vuole dimostrare di essere davvero il ministro del cambiamento, deve partire da qui, dal vecchio, caro, bistrattato buon senso.

l.frassoldati@alice.it

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