ORTAGGI VENDUTI SOTTO I COSTI DI PRODUZIONE. COME COLMARE LE INEFFICIENZE

Ammonta ad almeno due milioni di euro l’anno, la perdita subita dai produttori di ortaggi emiliano-romagnoli nell’ultimo triennio.

È quanto emerge da una ricerca sul prezzo equo presentata ieri presso la Scuola di Agraria e medicina veterinaria dell’Università di Bologna intitolata ‘Valori in campo: un prezzo equo per l’orticoltura’, promossa dal Consorzio Agribologna e condotta dal dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma Mater.

L’indagine, condotta su un campione di 17 aziende orticole (12 emiliane e 5 romagnole per una superficie complessiva di 485 ettari ed una produzione lorda vendibile di oltre 13 milioni di tonnellate di ortaggi), ha messo a confronto i costi di produzione di sette ortaggi, ossia cetriolo, lattuga Gentile, Romana, Trocadero; melanzana e zucchino chiaro e scuro, con i prezzi applicati da alcuni tra i principali ortomercati italiani, ossia Bologna, Padova, Milano e Rimini.

Il risultato è che, nell’ultimo triennio, sono stati tutti venduti al di sotto dei costi di produzione con un differenziale che si assottiglia per le lattughe (pagate dai 2 ai 20 centesimi in meno al chilo) che rappresentavano il 42% del campione, e che arriva fino a 27 o a 33 centesimi in meno al chilo per, rispettivamente, cetrioli e melanzane.

Lauro Guidi

“La presenza al convegno – ci ha spiegato Lauro Guidi, che abbiamo raggiunto telefonicamente a conclusione della giornata di lavori – di Claudio Mazzini, responsabile ‘Freschissimi’ di Coop Italia e Gianmarco Guernelli, responsabile ‘Ortofrutta’ di Conad, è un segnale di grande disponibilità. Il prossimo passo sarà quello di attivare una nuova ricerca sulle inefficienze della catena distributiva per cercare di partire da lì per limare l’erosione dei costi. Ma allo stesso tempo occorre riflettere anche sul fatto che, la maggior parte dei costi sostenuti dalle aziende, riguarda la manodopera che incide, in alcune fasi di raccolta e lavorazione delle lattughe ben oltre il 50% del costo totale”.

Quello che in pratica è partita, a seguito di questo lavoro, a detta di Lauro Guidi, è una riflessione nero su bianco e anche un dialogo a carte scoperte, con le due catene della Gdo che potrebbe trasformarsi in un tavolo di lavoro congiunto finalizzato a ricoprire questo ingiustificato gap di sostenibilità economica per le aziende agricole.

“Dobbiamo tenere presente – ha precisato Guidi – che qui stiamo parlando della produzione di beni essenziali perché servono per l’alimentazione. Non si può andare avanti con questi squilibri. Non c’è cosa più semplice dello scomporre una catena del valore e analizzarla da tutti i punti di vista. Oggi già sappiamo, ad esempio, che ci sono alcuni anelli di inefficienza legati alla fase logistica o a quella delle rotazioni nei magazzini o nelle piattaforme. Si può iniziare a lavorare da qui. Adesso il passo successivo è agire. Non solo tramite accordi tra privati ma anche attraverso l’intervento della politica. Allo stato attuale, ad esempio, è in corso una revisione dei rapporti commerciali sul fresco e freschissimo con una Direttiva della comunità Ue che si trasformerà il legge. Lo squilibrio nei rapporti tra grande distribuzione e produttori, determinato da una grande concentrazione da un lato e da una spiccata disaggregazione dall’altro, è evidente e va tenuto in considerazione”.

Va constatato che il campione esaminato presenta per la quasi totalità, superfici medie superiori a quelle nazionali.

Anche le dimensioni economiche e la produttività sono importanti, ma molto meno uniformi di quanto ci si possa aspettare e potenzialmente fragili sotto molti aspetti.

Ricerca e innovazione sono alcune delle variabili che hanno indubbiamente consentito sino ad oggi agli agricoltori di competere in questo settore – ha commentato il curatore della ricerca, Luigi Vannini, ordinario di Economia e politica agraria -. Ma in un contesto di mercato complesso, volatile, competitivo e contraddistinto da nuove dinamiche possono non bastare più. Oggi è necessario garantire contenuti aggiuntivi alla qualità, che potremmo definire ‘plurima’ e sostenere un’equa individuazione del prezzo. La nostra orticoltura non può prescindere dal perseguire l’eccellenza qualitativa, dal forte legame con i territori e da contenuti distintivi che vanno individuati con chiarezza, riconosciuti e sostenuti. Lo studio presentato oggi ha inteso dare>A un contributo, per una valorizzazione commerciale che lasci al produttore un valore congruo che gli permetta di fare reddito, competere, innovare, vivere. Oggi più che mai l’aspetto del prezzo deve essere commisurato all’aspetto qualitativo e prestazionale del prodotto stesso”.

Scarica qui la presentazione

Mariangela Latella

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