CORONAVIRUS, “IN CINA MANCA IL 50% DEL FABBISOGNO DI ORTOFRUTTA”. STAND SEMIVUOTI IN FIERA

È emergenza alimentare in Cina. A causa dell’epidemia di coronavirus, il colosso asiatico sta patendo una carenza di prodotti ortofrutticoli sugli scaffali del 50% ed altrettanto per il resto dell’approvvigionamento alimentare fresco. La situazione, che è destinata a peggiorare nelle prossime settimane, è rispecchiata da quanto emerge nel padiglione 27, lo stesso che ospita la multinazionale Del Monte, che avrebbe dovuto essere la sede dell National Chinese Pavillion, una collettiva di circa 60 aziende delle quali non si sono presentate almeno la metà.

“Le aziende più organizzate – ci spiega PierGoffredo Ronchi della delegazione ufficiale per l’Italia di Messe Berlin – sono riuscite a fare presidiare i propri stand preallestiti, dai rappresentanti delle proprie filiali europee o da agenti sul territorio. Gli altri hanno lasciato gli spazi vuoti. Se non erano preallestiti li abbiamo chiusi con dei pannelli di truciolato. Queste assenze, però, non influiscono complessivamente sull’andamento della fiera che quest’anno ha registrato un record di espositori con oltre 3.300 partecipanti. Rispetto a questi numeri, i sessanta stand dalla Cina non hanno un’incidenza sull’andamento generale di questa edizione. Per la verità, all’inizio abbiamo temuto per la riduzione di afflusso da parte dei visitatori, stanti le forti preoccupazioni registrate tra gli operatori nei giorni immediatamente precedenti l’opening. Ma erano timori infondati. Stimiamo di chiudere questa edizione rimanendo sugli stessi standard di presenze degli altri anni”.

Tra i visitatori, quelli di provenienza asiatica rappresentano, a prima vista, una percentuale molto bassa mentre negli stand delle poche aziende cinesi presenti al Padiglione 27 si registra il vuoto. Nessun visitatore si ferma, pochi prodotti sono esposti e basta uno sguardo per leggere negli occhi dei rappresentanti che presidiano i pochi stand cinesi operativi, la gravità della situazione in Patria.

“In questo momento – ci spiega KJ Ho (nella foto di apertura) di Pan Gu Farmer, multinazionale cinese dell’import export con il quartiere generale a ChangShu City e una seconda base in Malesia – in Cina c’è una seria mancanza di prodotti ortofrutticoli. I contadini delle campagne stanno distruggendo le colture e ammazzano gli animali che allevano, come i polli, perché non possono permettersi di mantenerli visto che non hanno introiti e non riescono a venderli in nessun modo. Le catene di fornitura sono ferme. Le aziende sono chiuse. Le strade sono bloccate. Le persone sono barricate in casa e hanno il coprifuoco per la quarantena nelle regioni interessate dall’epidemia il cui numero sembra destinato a crescere stante l’elevata virulenza dell’epidemia”.

Il blocco dei mercati all’ingrosso, che sono il cuore nevralgico della distribuzione ortofrutticola cinese, svuota di fatto l’operatività della catena di fornitura per cui, precisa KJ Ho – manca il 50% dei prodotti ortofrutticoli freschi rispetto al fabbisogno”.

Rallentamenti si registrano anche nel business degli esportatori italiani di kiwi (uno dei due prodotti ortofrutticoli italiani che, insieme agli agrumi, arriva sul mercato del gigante asiatico) nonché sull’attività del porto di Genova che è l’unico che fa transiti diretti di merci verso la Cina.

“Le ripercussioni sono legate sostanzialmente ai blocchi nella logistica distributiva interna – ci spiega Augusto Renella di Naturitalia – che vede il sistema cinese legato alle quarantene in diverse regioni. I mercati all’ingrosso, principali attori del sistema, sono fermi. Se le persone non possono uscire o entrare non entrano neanche i prodotti e men che meno si muovono. Abbiamo avuto notizia che le merci inviate dal Sudamerica, che è un grande fornitore del Paese, sono state dirottate su altri Stati della regione per non perdere intere partite. Noi stessi stiamo registrando, a causa della necessità di ‘dirottamenti’ all’arrivo, rallentamenti di almeno il 20% rispetto alla programmazione dell’anno scorso”.

Patrizio Neri di Jingold: “Abbiamo terminato la campagna a dicembre inviando tutta la merce prima che si sviluppasse l’epidemia. Attualmente abbiamo gli ultimi tre container in viaggio verso la Cina e se all’rrivo saranno bloccati li dirotteremo verso altre destinazioni vicine anche grazie al fatto che abbiamo una sede in loco con personale in grado di dare risposte in tempo reale alle nostre esigenze”.

Intanto il porto di Genova, che è l’unico che ha navi dirette da e per la Cina, che espone infiera insieme a tutti i porti della Liguria, si attende un rallentamento delle rotte del 18-25% rispetto al 2019 nei primi sei mesi dell’anno, che corrisponde ad una perdita di fatturato di circa un milione di euro alla settimana.

Mariangela Latella

Berlino

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