BEN VENGA LA RIVOLUZIONE ‘GREEN’ MA A PATTO DI NON LASCIARE DISARMATI I PRODUTTORI

Dopo l’intervento di Paolo de Castro sul progetto europeo Green Deal, ospitiamo un intervento di Davide Vernocchi e apriamo il dibattito su un tema cruciale per il futuro del nostro sistema produttivo ortofrutticolo 

Ritengo che il progetto di Green Deal europeo rappresenti una grande opportunità per il sistema agroalimentare. Occorre però fare alcune doverose premesse: il comparto ortofrutticolo è, infatti, già da anni fortemente orientato a dare grande attenzione al tema della sostenibilità ambientale. Il campo, lo ripetiamo da tempo, è il luogo di lavoro del produttore agricolo e nessuno trae giovamento o compiacimento dall’operare in un “ufficio” malmesso, sporco o, come talvolta qualcuno ha cercato di affermare, letteralmente avvelenato da un uso sconsiderato della chimica. Al contrario, servendoci anche degli strumenti messi a disposizione dall’OCM, noi produttori ortofrutticoli abbiamo messo la sostenibilità ambientale ai vertici delle nostre priorità.

Tuttavia, per tradurre in realtà gli ottimi capisaldi contenuti nel documento europeo, occorrono strumenti specifici: il nostro timore è che queste condivisibili linee-guida non siano adeguatamente accompagnate e supportate da un impulso alla ricerca che permetta, nei tempi necessari, di dotarci degli strumenti indispensabili per fare fronte alle nuove avversità che globalizzazione e cambiamenti climatici hanno inserito con prepotenza all’interno dell’equazione.

Penso alla cimice asiatica, che lo scorso anno è stata causa di danni per oltre 600 milioni di euro nell’ambito dell’intera filiera ortofrutticola e contro la quale, a oggi, non esiste una tecnica di lotta che offra risultati definitivi, ma non solo. La restrizione delle molecole disponibili per la lotta fitosanitaria ci ha lasciato quasi disarmati anche di fronte alla maculatura bruna del pero mentre, nelle drupacee, assistiamo a una recrudescenza delle monilie e un’esplosione di danni da forficule.

Serve ricerca ed è necessario avere le risorse per farla in fretta: il cambiamento climatico e la globalizzazione non aspettano la burocrazia né i tempi usuali della ricerca scientifica. E serve una ricerca che parta dai produttori e dalle esigenze che essi manifestano: oggi sono le multinazionali degli agrofarmaci a dettare l’agenda della ricerca, perseguendo interessi propri che non sempre coincidono con quelli del mondo della produzione. E serve, ancora, un ritorno anche alla ricerca di base: oggi tutti vogliono “andare sulla luna” ma stiamo dimenticando le fondamenta, mancano entomologi e patologi che ricostruiscano la base su cui studiare ed elaborare teorie e strategie. Come produttori dobbiamo interrogarci su quali siano le nostre reali necessità. E pretendere risposte che si tramutino in strumenti a difesa delle nostre produzioni.

Senza di essi, il primo baluardo a tutela della sostenibilità ambientale – il produttore agricolo – non può farcela. E senza il produttore, crollano le filiere: sostenibilità ambientale, economica e sociale sono aspetti strettamente correlati di cui occorre tenere conto nel guardare a un futuro europeo sempre più green.

Il rischio, se non si tutelano le filiere interne, è di vedere riversata nei mercati europei (e, quindi, anche in quello italiano) una quantità sempre maggiore di prodotto proveniente da Paesi dove controlli e paletti risultano essere – per usare un eufemismo – molto più blandi. Con l’ingresso indiscriminato di prodotto estero il rischio è che si diffondano anche in Italia problemi fitosanitari alloctoni, com’è accaduto per la Xylella o con i casi, fortunatamente ancora molto ridotti, di Black spot degli agrumi. In quest’ottica, irrobustire la rete dei controlli è un must imprescindibile. Ben venga la rivoluzione Green europea, dunque, ma a patto di tutelare gli agricoltori e di fornire loro tutti gli strumenti necessari per combattere in prima linea la battaglia per la sostenibilità.

 

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