ECCO I PROGETTI ANICAV PER RILANCIARE IL POMODORO DA INDUSTRIA

Storica eccellenza dell’agroalimentare made in Italy, la filiera del pomodoro da industria sconta tuttavia un livello reputazionale inadeguato su cui è necessario lavorare. Il tema è affrontato dall’ANICAV, l’Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali. “Per dare nuova immagine al pomodoro trasformato, abbiamo cambiato il nostro paradigma operativo, cercando di passare da un’attività meramente associativa a una pro-attività a sostegno di tutto il sistema. Purtroppo ci scontriamo a volte con l’incapacità della filiera di fare sistema”, dichiara il direttore generale ANICAV, Giovanni De Angelis (nella foto di apertura).
La soluzione sembra chiara ma non immediata: il comparto deve fare ancora i conti con alcuni pregiudizi devastanti, uno su tutti il binomio “pomodoro-caporalato”. Secondo quanto emerso da una recente indagine commissionata da ANICAV al Reputation Institute, società leader mondiale specializzata in corporate reputation, l’82% degli intervistati associa il pomodoro ad un sistema di illegalità in cui la manodopera viene reclutata dai caporali e pagata cifre assolutamente non congrue e dignitose. “Si tratta di un’opinione sedimentata, frutto di un’inesatta percezione e di un’informazione non sempre corretta”, commenta il direttore. Ciò che il consumatore non sa, infatti, è che la raccolta del pomodoro da industria è perlopiù meccanica, le sole eccezioni sono riconducibili ai territori in cui il suolo argilloso impedisce il passaggio della macchina in caso di stagioni particolarmente piovose. In generale, tuttavia, nel distretto del Nord la raccolta è 100% meccanizzata mentre al Sud tale percentuale è compresa tra il 90 e il 95%. L’impiego di manodopera, dunque, negli anni si è ridotto notevolmente a vantaggio della legalità. “Tra l’altro per noi dell’industria la raccolta meccanica è preferibile rispetto a quella manuale, poiché il bracciante raccoglie ‘per sradicamento e scuotimento’ lasciando terra e fogliame tra i pomodori con conseguenze sul peso dei bins, dunque sul costo del trasporto, e sui tempi di lavorazione industriale”, aggiunge in merito De Angelis.
Una seconda minaccia, che dopo anni di smentite è sempre pronta a far tremare il comparto, è legata alla questione ‘concentrato di pomodoro cinese’. “In questo senso – spiegato il direttore ANICAV – mi preme specificare che i derivati del pomodoro venduti sugli scaffali della GDO sono ottenuti da prodotto 100% italiano. Che si parli di pomodoro cinese per i pelati, la polpa e i pomodorini è assurdo. Dal concentrato, sia esso importato o realizzato in Italia, non si possono ottenere prodotti solidi proprio perché liquido; sarebbe come pretendere di ricavare grappoli d’uva da una bottiglia di vino”.
Esistono altri due motivi che smentiscono questa insinuazione, uno legato alle esigenze di conservazione: il pomodoro deve essere processato entro le 24 ore da quanto è stato raccolto, immaginare che ciò avvenga con materia prima cinese o di altro Paese anche vicino, sarebbe praticamente impossibile, se non economicamente insostenibile; il secondo relativo al regime di TPA (traffico di perfezionamento attivo) o temporanea importazione, attraverso cui viene importato circa il 90% del concentrato di pomodoro da Paesi extracomunitari, Cina compresa. In base a questo sistema il concentrato – prodotto liquido – entra temporaneamente nel territorio nazionale a scopo di perfezionamento (lavorazione, trasformazione o riparazione), per poi essere ri-esportato verso Paesi dell’Africa e Medio Oriente con la dicitura in etichetta “confezionato in Italia”. Tutto il percorso è documentato e sottoposto a controlli da parte della Guardia di Finanza, delle Dogane e delle autorità sanitarie.
Uno scenario complesso, che diventa ancor più difficile sul piano internazionale, dove la competizione è elevatissima e il prestigio di questa filiera è per certi versi a rischio. Un esempio su tutti, le accuse di dumping che di tanto in tanto arrivano da alcuni Paesi, quali l’Australia; una critica più volte giudicata dallo stesso De Angelis come “una questione meramente politica, fondata sulla volontà del governo australiano di tutelare la produzione e la trasformazione interna”.
Per risollevare l’immagine del comparto agli occhi dell’opinione pubblica e rimandare di fatto le accuse ai mittenti, ANICAV da tempo si è impegnata su più fronti mettendo a punto codici etici e progetti per il monitoraggio e la tutela delle produzioni. 
Oltre a seguire specifiche linee di condotta e disciplinari di produzione e certificazioni, si sta lavorando per il riconoscimento di un regime facoltativo di certificazione per la filiera italiana del pomodoro da industria, ai sensi del Regolamento (UE) 1305/2013, oltre a portare avanti due importanti progetti. Il primo, in essere ormai da 7 anni, è dedicato alla rilevazione satellitare dei campi al Centro Sud per mappare le produzioni, lo stadio di maturazione dei prodotti per la raccolta e, di conseguenza, fornire informazioni fondamentali per il reclutamento e la mobilità da e per i campi della manodopera, intervento inserito nel più ampio progetto FI.LE. (Filiera Legale) finanziato con le risorse del “PON Legalità” con il coinvolgimento dei Ministeri dell’Agricoltura, Interni e Lavoro con capofila la Borsa Merci di Unioncamere. L’altro è in fase di avviamento in Emilia-Romagna, dove si sta implementando un secondo programma di monitoraggio via satellite, per la verifica dell’aspetto qualitativo dei pomodori coltivati tra le province di Parma, Piacenza e Ferrara.
“Si tratta di progetti che perseguono un obiettivo di miglioramento verticale del sistema in entrambi i bacini produttivi a vantaggio di tutti gli stakeholder, anche in un’ottica di semplificazione dello scenario. Dati e statistiche condivisi e inconfutabili sono infatti utili laddove industria e produzione talvolta faticano a fare sistema per le difficoltà legate al numero di interlocutori. Al Nord il confronto è tra quindicina di OP e circa 25 industrie conserviere mentre al Sud il rapporto è di circa 30 OP a fronte di 85-90 trasformatori, perlopiù di medio piccole dimensioni, basti pensare che le prime 20 realtà fanno l’80% circa della produzione trasformata finale”, precisa De Angelis.
Sul fronte internazionale lo stesso obiettivo di promozione e supporto alla filiera è perseguito da ANICAV grazie a due progetti realizzati nell’ambito del Regolamento 1144/2014 e finanziati dalla stessa associazione per circa 6 milioni di euro nel triennio 2020/2022. Il primo per il mercato americano “Greatest Tomato from Europe”, dove è forte il problema dell’Italian Sounding, mentre l’altro rivolto a Cina, Corea del Sud e Giappone, “Red Gold from Europe”, con lo scopo principale di educare i consumatori locali all’acquisto dei derivati di pomodoro e, al contempo, accrescere e consolidare l’export in queste aree.
Chiara Brandi

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