PERCHÉ L’INTERPROFESSIONE COSÌ NON FUNZIONA (E NON PUÒ FUNZIONARE). I MALI DELL’ORGANIZZAZIONE POLITICO-SINDACALE DELLA NOSTRA AGRICOLTURA

Ho letto la lettera di dimissioni di Nazario Battelli, presidente dal 2012 di Ortofrutta Italia, sul Corriere Ortofrutticolo. In una mia replica a Battelli sempre sul Corriere Ortofrutticolo avevo scritto che lo “stimo” e ora lo confermo.
Mi dispiace molto per la tristezza che traspare dal tono, per le ragioni che lo hanno portato alla decisione e per Ortofrutta Italia. Le dimissioni del presidente di una associazione, quando non sono per ragioni personali, dipendono o da sue dirette responsabilità o dal fatto che onestamente prende atto che non è più in grado di raggiungere l’obiettivo promesso. Sono certo che la ragione delle dimissioni di Battelli è la seconda, perché malgrado gli stimoli ai soci è rimasto solo, rischiando che l’Organizzazione Interprofessionale (OI) resti impantanata, come scrive: in un defatigante stillicidio di inutili e stancanti “secondo me”.
L’ultima volta che mi sono confrontato con Battelli è stato in occasione della tavola rotonda che concludeva i lavori dell’ultimo Protagonisti dell’Ortofrutta Italiana a Genova. In quell’occasione, più che segnalare l’assenza del presidente dell’OI di settore, denunciavo come nessuna delle organizzazioni professionali presenti, compresa la GDO, tutte associate a Ortofrutta Italia, avesse sentito la necessità di fare riferimento ad essa e di portare la posizione dell’OI a cui appartiene. Concludevo, che quelle stesse organizzazioni professionali che nella tavola rotonda avevano denunciato i mali della nostra ortofrutticoltura e chiedevano l’intervento del MIPAAF dimostravano così di non credere nella loro organizzazione di filiera. Non voglio tornare al confronto tra il sito di INTERFEL, l’OI di settore in Francia nata nel 1976, e quello di Ortofrutta Italia, perché sarebbe impietoso, ma basta soffermarsi un momento su quest’ultimo per rendersi conto della povertà dell’azione della nostra Organizzazione: tre accordi interprofessionali per il kiwi tra il 2014 e il 2018, una intesa di filiera per l’uva da tavola e delle campagne promozionali solo di tipo istituzionale. Se poi si va ai sedici comitati di prodotto, è una desolazione, soltanto quelli degli agrumi (Arance, Limoni e Piccoli Agrumi) riportano il comune accordo interprofessionale “succhi di frutta ottenuti da agrumi” valido per la sola stagione 2014. Può succedere che il sito non sia aggiornato, ma è tanto che non mi capita di visionarlo e siamo sempre allo stesso punto.
Certamente se una associazione non è attiva per raggiungere lo scopo per cui è stata costituita, il presidente ne è responsabile assieme al consiglio di amministrazione, ma quando leggo che i soci sono Alleanza delle Cooperative Italiane (ACI), Coldiretti, Confagricoltura, CIA, Copagri, UNAPROA, Italia Ortofrutta, ANCC-COOP, ANCD-CONAD, Federdistribuzione, FIDA, Fruitimprese, Fedagromercati, che esprimono i membri del consiglio di amministrazione, non posso che chiedermi che cosa ci stanno a fare in una OI, riconosciuta dal MIPAAF per la prima volta nel 2005, che finora non ha fatto nulla o quasi nulla. Voglio fare una scommessa, ma in tutti questi anni nei quali si sono succedute molte crisi di settore, nelle quali non mancavano contrasti tra produzione e distribuzione, come pure si sono aperti tanti tavoli promossi dal Ministero (quasi sempre inutili) per affrontarle, credo sia difficile trovare qualcuno che si ricordi un intervento significativo di Ortofrutta Italia. Il vero problema è che tutta l’esperienza dell’interprofessione nel nostro Paese, salvo il caso dell’OI Pomodoro da Industria del Nord Italia (ma questa è un’altra storia) è un fallimento. Nel sito del Ministero sono riconosciute 8 OI (contro le 63 in Francia): l’OI Consorzio di garanzia per l’olio, l’OI Tabacco Italia, l’OI Ortofrutta Italia, l’OI Pomodoro da industria Nord Italia, l’OI Pomodoro da industria Bacino Centro Sud-Italia, l’OI Latte ovino sardo, l’OI Assoavi (settore avicunicolo), l’OI IntercarneItalia. Per 4 di queste il riconoscimento è avvenuto solo dal 2018 in poi, per cui sarebbe ingiusto pronosticare anche per queste il fallimento, ma il caso di Ortofrutta Italia può aiutarci a cercarne le cause. Senza tornare sullo scarso entusiasmo o peggio ostilità, con cui le nostre organizzazioni professionali e cooperative hanno accolto il modello di organizzazione dell’offerta in agricoltura proposta dalla Unione Europea basato sulle organizzazioni di produttori (OP) e sulle organizzazioni interprofessionali (OI) che, secondo loro, andavano a competere sullo stesso spazio organizzativo. Secondo loro, perché in realtà le OP non sono una alternativa alla forma cooperativa, ma il riconoscimento a OP aggiunge soltanto funzioni molto importanti a quelle che già la cooperativa svolge e le OI possono consentire alle imprese socie delle stesse organizzazioni professionali di meglio tutelare i propri interessi nei rapporti di filiera, di cui l’OI fornisce il quadro formale degli obiettivi e dei rapporti tra le diverse fasi.
Secondo me, il vero punto debole dell’OI Ortofrutta Italia sta nel fatto che mentre dalla parte distributiva partecipano sia le associazioni di impresa che direttamente COOP e CONAD, da parte della produzione sono socie le organizzazioni professionali a vocazione generale, l’organizzazione  della cooperazione e le Unioni nazionali di OP (Unaproa e Italia Ortofrutta) che non hanno direttamente il controllo del prodotto dei soci e, perdipiù, sono in concorrenza tra loro per accreditarsi verso le rispettive basi sociali. L’aspetto, quasi incredibile, è che le cooperative sono rappresentate ben due volte nella compagine sociale dell’OI: dall’ACI e dalle Unioni nazionali di OP, perché quasi tutte sono anche cooperative. Purtroppo, qui bisognerebbe affrontare i mali dell’organizzazione politico-sindacale della nostra agricoltura, ma su questo mi sono soffermato altre volte, né si dovrebbero dimenticare i ritardi e le colpe del Ministero. Se si considera poi, che l’interprofessione in questo settore deve giungere ad accordi tra la distribuzione e la produzione, che già sono in concorrenza tra loro, è evidente che una produzione poco coesa e che non sente la spinta diretta di chi ha in mano il prodotto non può dare all’interprofessione quella forza che sarebbe richiesta per affrontare le sfide del mercato. La base di questo ragionamento è il confronto con il successo ormai consolidato nel tempo dell’OI Pomodoro da Industria del Nord Italia, nata nel 2006 come  Distretto del Pomodoro da Industria del Nord Italia, perché l’industria del pomodoro delle regioni settentrionali e le OP produttrici del pomodoro da industria delle stessa area, anche per competere con le industrie del Sud Italia, hanno capito di aver interessi comuni da tutelare, appunto, con una organizzazione di filiera.  La base sociale prevista e la distribuzione dei pesi nei diritti di voto tra l’industria, le OP, le organizzazioni professionali e anche le istituzioni esprimono chiaramente il prevalente e comune interesse della produzione e distribuzione che hanno dato vita all’OI.
La stessa cosa forse non sarebbe ripetibile per una OI che volesse rappresentare i prodotti di tutto il settore ortofrutticolo, ma certamente la composizione della base sociale e l’espressione di voto in assemblea e in Consiglio di amministrazione meriterebbero di essere oggetto di una riflessione. Forse c’è poco tempo per farlo o forse non si vuole farlo, perché la nostra maggiore organizzazione professionale, la Coldiretti, sta già portando avanti un modello di organizzazione dell’offerta alternativo a quello della UE. Non so come potrà continuare in Italia l’esperienza di OP e OI, perché le proposte di regolamento della nuova PAC, proprio dopo gli emendamenti del Parlamento Europeo, rafforzano quel modello e, in particolare, il ruolo delle OI.
Corrado Giacomini
*economista agrario , Comitato di indirizzo del Corriere Ortofrutticolo

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