GRAND HOTEL MIPAAF ANCORA SENZA GUIDA. ALLA FINE POTREMMO ANCHE RIMPIANGERE LA BELLANOVA

A crisi di governo conclamata, mentre va in onda il film già visto mille volte del rituale delle consultazioni e dell’incarico (esplorativo?  a chi? ), la noia, l’indifferenza, la delusione, a volte la rabbia, sentimenti con cui gli italiani guardano ormai alle vicende della politica nazionale, circondano anche l’ennesimo toto-nomi per la poltrona di ministro dell’Agricoltura. Diciamo subito che la cosa interessa solo noi addetti ai lavori, perché il tema Mipaaf oggi è l’ultimo dei problemi perché,  finché va in scena la partita a scacchi Conte-Renzi, nessuno può dire come andrà a finire.

Per il mondo agricolo il ministero di via XX settembre ovviamente è importante ma, diciamolo francamente, il settore primario da noi non gode dell’attenzione o della considerazione cha ha in Francia o in Spagna. Qui tutti chiedono un ministro ‘competente’ ma questa non è la preoccupazione principale dei partiti, neppure del PD o della Lega, che pure (a parole) si dicono paladini e difensori del nostro settore primario. Un salto di qualità il ministero avrebbe potuto farlo se fosse diventato ministero dell’agricoltura “e dell’alimentazione” , come si era detto di fare, perché in quel caso avrebbe rappresentato un sistema che vale il 15% del PIL nazionale (522 miliardi di euro). Ma anche questa riforma è finita in cavalleria, assieme alle altre.

Il Mipaaf – che ha cambiato nome più volte, che è risorto dalle ceneri di un referendum abolizionista – vive quindi di ricordi gloriosi, perché su quella poltrona prese posto anche Cavour, ma è ormai come un grand hotel di passaggio, il suo motto è “chi va e chi viene”, ma soprattutto “chi va” perché in poco più di settant’anni di storia repubblicana si sono alternati quaranta ministri, uno ogni venti mesi.

Teresa Bellanova non ha fatto eccezione: ha abbassato la media, è durata 16 mesi. Per la sua successione sta circolando una ridda di nomi, alcuni presentabili, altri molto meno.

Certamente nella prima categoria più che presentabile è Simona Caselli, ex assessore dell’Emilia Romagna, oggi presidente Areflh, con ottimi rapporti a Bruxelles, conoscenza dei dossier comunitari,  e capacità di lavoro e risoluzione-problemi  dimostrate sul campo. Il suo problema è che è fuori dai giochi correntizi del PD e che a Roma  il suo partito non la appoggia come dovrebbe. Una volta la competenza era una qualità apprezzata nel vecchio Pci-Pds, adesso sembra quasi un problema. Per quello che conta, noi come Corriere Ortofrutticolo abbiamo aderito alla campagna social #simonacaselliministra  e per lei  ci saremo sempre. Tra i presentabili ci sono anche Susanna Cenni, parlamentare Pd e vicepresidente Comagri alla Camera e Riccardo Nencini, leader del partito socialista, politico di lungo corso. Intendo per ‘presentabili’ persone normali , con qualche esperienza politico amministrativa alle spalle, non animati da pregiudizi anti-europeisti, non portatori di fantasiose teorie pseudo-scientifiche. Sollevano inquietudine invece  i nomi di altri aspiranti alla poltrona di via XX settembre, come il battitore libero Di Battista, o i senatori De Bonis, Ciampolillo, arruolati in extremis nella pattuglia dei “volonterosi –costruttori-responsabili”. C’è poi da considerare che al ministero ci sta un sottosegretario, Giuseppe l’Abbate dei 5Stelle, che il suo movimento “spinge” dopo aver garantito l’appoggio della Farnesina (quindi Di Maio) alla candidatura di Maurizio Martina alla Fao.

Tutto ciò premesso, e ribadito che le cose al monento sono in alto mare e quindi possono andare bene (?), benino ma anche malissimo, voglio dire una cosa a quanti sui social si scatenano contro l’ex ministra, contro la classe politica, contro i ministri “incompetenti” che non sanno cos’è l’agricoltura, “che non hanno mai preso una zappa in mano”. Primo: non c’è bisogno di conoscere un settore per fare bene come ministro, basta aver voglia di lavorare, di studiare, di circondarsi di bravi collaboratori, di impegnarsi, di parlare con le persone giuste. E non essere completamente digiuni di esperienze politico-amministrative.

Poi, scusate, se nella sfilza di ministri che si sono succeduti come trottole, gli incapaci, inutili (a volte dannosi) sono la stragrande maggioranza (e siamo d’accordo), se quella poltrona è diventata sempre più “merce di scambio”, premio di consolazione per chi era rimasto fuori dai ministeri ‘che contano’, perché le organizzazioni rappresentative del mondo agricolo non lo hanno mai denunciato pubblicamente, non hanno mai aperto bocca, correndo invece sempre e comunque a baciare “la pantofola” del ministro o della politica? Quindi se il ministero si è svalutato negli anni come importanza e autorevolezza, se ha perso carisma (e con esso efficienza amministrativa e bravi direttori generali) , il mondo agricolo deve fare mea  culpa, non può sempre presentarsi col piattino in mano, accontentarsi delle briciole, di “sovvenzioni e detassazioni”. Deve ritrovare un minimo di schiena diritta.

Infine che dire della gestione Bellanova, iniziata ai primi di settembre 2019? Non c’è dubbio che ha lavorato molto e in condizioni difficili, dovendo affrontare un’emergenza sanitaria straordinaria e senza precedenti. Nel gran marasma l’ortofrutta è rimasta ai margini della sua azione , il settore è rimasto escluso dalle agevolazioni fiscali e previdenziali , sono mancati gli aiuti economici diretti al settore che ha sempre lavorato e si è caricato di costi extra per le misure sanitarie; sul costo del lavoro non si è fatto quasi niente, la crisi-manodopera è stata affrontata senza tenere conto delle esigenze delle imprese che si sono dovute arrangiare in proprio.

Però la Bellanova si è vista a Berlino a Fruit Logistica (dopo anni e anni di assenza di un ministro) ed è già qualcosa, e si è battuta per evitare discriminazioni al nostro export.  Ed ha capito che il settore ha bisogno di esportare come dell’aria che si respira. Ma un ministro da solo può far poco. Ha bisogno di una tecno-struttura efficiente al suo fianco e di un governo compatto al suo fianco che si impegni in battaglie politico-diplomatiche per aprire nuovi mercati. E soprattutto ha bisogno di un governo che duri. Cosa che in Italia non succede  (quasi) mai. Detto questo, vediamo che succede. Potremo anche ritrovarci qui a rimpiangere la Bellanova, o potremmo anche ritrovarci la Bellanova , perché nella tragicommedia infinita della politica italiana i colpi di scena sono all’ordine del giorno.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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