L’OPERA COMPIUTA A METÀ DI LUCA GRANATA

Cosa farà adesso Luca Granata? Il vulcanico manager ex Dupont, ex Melinda, oggi anche ex Opera, andrà davvero in pensione?

Nel comunicato di addio con Opera si parla di “realizzazione dei propri sogni ed obiettivi di carattere extra-professionale” . Quindi? Andrà in giro per il mondo in motocicletta (Covid permettendo) , sua grande passione? Farà il pensionato di lusso o accetterà un’altra sfida professionale dopo i sei anni trascorsi come direttore generale del consorzio (oggi con una base solo cooperativa) leader nel settore pera in Italia con 14 aziende socie, circa 1.000 frutticoltori, oltre 5.000 ettari coltivati a pero e circa il 22,5% della produzione italiana di pere?

Nel mondo ApoConerpo si sta cercando il nuovo direttore generale cui affidare “l’ulteriore sviluppo di Opera e il conseguimento di risultati sempre migliori per i frutticoltori facenti riferimento a Consorzio”.

L’uscita di scena di Granata ripropone in pieno il tema dell’aggregazione in ortofrutta: s’ha da fare? funziona? È davvero vincente? Il rapporto costi/benefici porta a risultati concreti?

So qual è la risposta più facile e comune: l’aggregazione s’ha da fare. Punto. E magari è così. Però le pere dell’Emilia Romagna non sono le mele della Val di Non e anche nel mondo cooperativo è difficile far ragionare tutti con una testa unica (o con un unico ufficio commerciale) .

Quando nel 2019 il progetto Opera subì il primo verro scossone con l’uscita dalla base societaria della componente privata (Gruppo Mazzoni, OP La Diamantina e I.A.F.F.A.), con la perdita del 4% della produzione complessiva, il n.1 di Confcooperative, Maurizio Gardini, parlò di Opera come di una operazione coraggiosa ma anche “rischiosa” , forse “non matura”, ma che comunque doveva andare avanti.

“Non esistano alternative al processo avviato”, disse il CdA. Il progetto finale resta sempre lo stesso: far diventare Opera “la più grande azienda di commercializzazione di pere del mondo”, “lavorare come un’azienda realmente unica”, però le difficoltà sul cammino non mancano. Anche perché il mondo delle pere è diviso tra due poli e chi non è confluito in Opera (tanti privati ma anche una grande coop come Apofruit) , non condividendo le “regole d’ingaggio” messe da Granata, ha scelto Origine Group, che lascia più libertà commerciale ai propri soci. L’azione di Granata ha puntato su due direttrici: reale aggregazione e politica di marca. Del livello di aggregazione raggiunto il manager rodigino si è sempre detto insoddisfatto, perché per dare sostenibilità economica alla pericoltura servirebbe almeno il 50%, e qui siamo a meno della metà.

Su altri fronti (politica di marca, promozione del marchio, sviluppo organizzativo,) la sua azione ha ottenuto risultati più tangibili e che resteranno in dote al successore. Erano anni che non si vedevano sui media campagne massicce di promozione delle qualità organolettiche e salutari della pera italiana. Il cambiamento climatico, insetti alieni, nuove emergenze fitosanitarie hanno colpito duramente il settore negli ultimi anni sia in quantità che in qualità. Tanto che è stato messo in cantiere- sotto la regia di Cso Italy e con l’appoggio della Regione – un progetto di rilancio della pera dell’Emilia-Romagna attraverso la valorizzazione dell’IGP su cui c’è la convergenza dei due player regionali (e nazionali) Opera e Origine Group. Siamo arrivati ad una fase di emergenza in cui è a forte rischio lo stesso futuro della pericoltura nazionale. Il dibattito teorico sull’aggregazione deve lasciare spazio all’individuazione di strategie concrete e vincenti, condivise fra i due principali player del settore. Porsi obiettivi troppo alti, troppo ambiziosi, in un Paese ad individualismo esasperato come l’Italia non funziona. Meglio cercare di far funzionare quello che c’è, trarre tutto il positivo possibile dalla nostra “disorganizzazione organizzata”.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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