LOGISTICA, LE INFRASTRUTTURE E LA FORMAZIONE SONO I DUE GAP DA COLMARE

La logistica: parola grossa. Eppure così semplice, da capire e da applicare. Oggi se ne parla tanto (e per fortuna sempre di più a proposito) ma è stata dura e se ne è fatta di strada, è proprio il caso di dirlo. Uno dei primi libri sul tema in Italia si chiamava “Dalla logistica al supply chain management”, aveva un taglio molto consulting applicativo e gli autori ricordavano nell’introduzione come “siamo già nella fase di superamento della logistica verso il supply chain management ed ancora le aziende non sanno nulla di logistica ed abbiamo forti difficoltà a fargliela applicare”. Era la fine degli anni ’80, pensate un po’.
Siamo così passati in trent’anni da “.. questa sconosciuta” a “è tutta questione di logistica”, eppure ancora oggi in troppe aziende la logistica è la “parente povera” nelle business unit, spesso unita all’ufficio acquisti o vendita o peggio ancora al marketing, troppo spesso sottovalutata per quello che effettivamente essa è: una fondamentale leva di razionalizzazione dei processi, di efficienza ed efficacia attraverso la riduzione dei costi e l’aumento del servizio e quindi, per dirla con un’altra parola grossa, di “vantaggio competitivo”.
Oggi la grande famiglia della logistica è al servizio delle imprese produttive e commerciali e le accompagna nei nuovi mercati interni e in export, in ogni canale di vendita (moderno, horeca, online), con valide imprese di trasporto e di spedizione, con reti di piattaforme localizzate spesso in aree dedicate ed in poli logistici attrezzati, potendo contare su una gestione efficiente della catena del freddo e della tracciabilità. Un kiwi della Nuova Zelanda dopo 26 giorni di navigazione non è troppo diverso da un kiwi italiano sulle tavole dei consumatori, sia nel prezzo sia nella qualità organolettica, perché il servizio logistico, i container reefer ed il monitoraggio via GPS della temperatura e dell’umidità hanno fatto bene il loro mestiere, mentre in Medio Oriente si mangiano regolarmente le nostre fragole (via aerea) e in India e nel Far East le nostre mele (via mare) grazie ad una ormai rodata catena di trasporto.
IL DIVARIO
Certo, l’Italia paga ancora oggi il peso ed il costo di alcuni ritardi strutturali che hanno fortemente rallentato la modernizzazione logistica, fatto questo che ha contribuito in gran parte al particolare “nanismo” del settore rendendo tra l’altro le imprese italiane “gracili” e facilmente aggredibili dalle più moderne e meglio strutturate imprese internazionali. Il GAP infrastrutturale resta ancora importante, mentre le burocrazie doganali e il divario digitale incidono forte sull’efficienza dell’intero sistema-Paese. Ancora oggi l’Italia è molto indietro rispetto ai principali Paesi nei principali indicatori internazionali di misurazione dell’efficienza competitiva, quali il Logistics Performance Index (LPI) della World Bank ed il Global Competitiveness Index (GCI) del World Economic Forum. Indietro vuol dire “molto indietro”, fra il ventesimo e l’ottantesimo posto su 140 Paesi a seconda delle varie classifiche (infrastrutture, dogane, digitalizzazione, tracciabilità, ecc.), per non voler qui entrare nei dettagli.
LA FORMAZIONE
Poi c’è la formazione logistica e qui l’Italia è ancora indietro anni luce rispetto all’Europa, seppur con significativi miglioramenti recenti. Oggi la logistica si comincia a trovare in (pochi) corsi tecnici di scuola superiore, poi ci sono i corsi annuali e biennali di post diploma con molto stage aziendale (gli IFTS e gli ITS) poi qualcosa all’Università (un po’ in economia e qualche buona ingegneria gestionale) e ancora troppo pochi master. Se parliamo poi di logistica agroalimentare non c’è da vantarsi se ancora oggi l’unico (primo e ultimo) Master universitario specifico di logistica agroalimentare resta quello che insieme a Corrado Giacomini inventammo a Parma ormai vent’anni fa mentre l’unico corso tecnico specialistico biennale post-diploma (ITS) dedicato alla logistica dell’ortofrutta resta quello da me coordinato a Cesena e operativo solo due stagioni, nonostante il grande interesse riscontrato nelle aziende ortofrutticole e negli operatori logistici del territorio. È triste ricordarlo, ma un sistema-Paese senza un’adeguata (e diffusa) formazione tecnica su un tema così centrale come la logistica è destinato alla sconfitta sul piano della competizione globale.
LO SPARTIACQUE 
Ma il 2020 è stato uno spartiacque ed abbiamo tutti la sensazione che “il debito si sia azzerato” e che si riparta tutti dal via, con la medesima possibilità di vincere il campionato. Non è così, naturalmente, non si azzera un bel niente ma è pur vero che la nuova éra del post-Covid si muoverà verso scenari nuovi e sarà accompagnata da strumenti di sostegno e di indirizzo (leggi investimenti innovativi) che potranno davvero impattare potentemente sugli asset aziendali e sulle strategie delle imprese. Siamo pronti a ri-partire alzando l’asticella?
Proviamo allora ad essere ottimisti ed a suggerire un indirizzo per il futuro. La logistica (soprattutto nel fresco deperibile) ha bisogno come il pane di infrastrutture. Ma ancora stiamo lamentandoci (incessantemente da trent’anni, dal tempo delle MOC) della carenza storica di “freddo”, di tunnel, passanti, piattaforme logistiche, snodi intermodali, ecc. e oggi siamo sopraffatti dalle nuove esigenze della distribuzione finale e dalla sfida dentro/fuori della digitalizzazione. Oggi la sfida logistica è sull’ultimo miglio, city logistics, e-commerce, delivery sempre più parcellizzate, lead time sempre più ridotti, aumento delle rotture di carico, servizio al cliente sempre più spinto. Sulla digitalizzazione siamo messi proprio male e non a caso una buona parte dei finanziamenti europei (fino al Recovery Fund) spinge le imprese alla smaterializzazione, alla digitalizzazione di tutti i passaggi delle merci lungo la supply chain e quindi alla completa rintracciabilità, allo scambio documentale fra tutti gli attori, alla creazione di piattaforme digitali di e-commerce sia B2B che B2C. L’altra “parola grossa” e assai alla moda, “blockchain”, parte proprio da tutto questo.
Nel campo delle infrastrutture, quindi, la logistica del futuro si muoverà dentro tutte queste “parole-chiave” che abbiamo appena declinato. Lo so, molte imprese potrebbero ricordarmi che l’unico vero loro problema resta sempre e solo quello della saturazione del carico ma io rispondo che sono cambiati i modi e i termini per arrivare alle soluzioni.
La sfida della sostenibilità è fantastica e gigantesca, sia per la sua dimensione ideale che per le sue concrete realizzazioni. Ma è “la” sfida. La logistica è tutta dentro il risparmio energetico ed il conseguente abbattimento della CO2 (la cosiddetta impronta energetica o carbon footprint), se pensiamo alla co-generazione nelle piattaforme, alla movimentazione interna di magazzino, alla mobilità elettrica per le consegne a corto raggio  e nell’ultimo miglio.
Spero non sia sfuggito a nessuno che gli assi di finanziamento del Recovery Fund in linea con il Green New Deal (il nuovo piano programmatico europeo) sono fortemente orientati alla riduzione della CO2. Su questo nuovo approccio si giocheranno i co-finanziamenti futuri e le imprese dovranno dotarsi di una nuova contabilità ambientale per calcolare l’impronta energetica e imparare a “misurare” ogni innovazione risparmiatrice di energia in termini di CO2 risparmiata (ossia “non prodotta”).
Ma anche il trasporto a lungo raggio è fortemente coinvolto se pensiamo all’intermodalità “green” ed allo shift modale, cioè il passaggio delle merci dalla strada verso il trasporto ferroviario. Forse non tutti sanno che dall’interporto di Verona Quadrante Europa transitano ogni anno 14 mila treni intermodali (circa 50 al giorno) per il 70% composti da camion semirimorchi sottratti alla strada e diretti principalmente verso il Nord e Centro Europa. E quando le innovazioni tecniche in corso di perfezionamento sui carri ferroviari garantiranno il mantenimento della refrigerazione su container e casse mobili, allora la Via della Seta terrestre (via treno) sarà un perfetto spazio di competizione globale.
Il problema non è “quando” sarà possibile trasportare ortofrutta in treno ma “chi”, perché arrivare in Cina con prodotti italiani piuttosto che ricevere in Italia prodotti cinesi via ferro sarà questione di scelte da fare (leggi strategia geopolitica) più che di tempo.
Non voglio però dimenticare di citare la dimensione sociale ed etica della sostenibilità, solo apparentemente scollegata dalla logistica, che in modo nuovo e dirompente condizionerà sempre di più la vita sociale e le scelte del consumatore, attraverso la lotta allo spreco alimentare e l’economia circolare.
L’internazionalizzazione, infine, non è uno slogan, ma semplicemente uno “stato delle cose”. L’ortofrutta italiana ha come ultimo asso da giocare quello dell’allargamento del suo orizzonte competitivo verso nuovi mercati e nuovi canali di vendita, lavorando sul valore aggiunto, sul marketing, sull’aggregazione dei volumi, sulla corretta identificazione e segmentazione della gamma, su nuovi servizi per nuovi consumatori in trasformazione.
L’allungamento della shelf life, promosso con investimenti in tecnologie di gestione del freddo o di misurazione delle qualità organolettiche, giocherà un ruolo importante nella competizione globale per le sue enormi implicazioni in termini di miglioramento della salubrità (e quindi della qualità) dei prodotti e di conseguenza sul valore commerciale del prodotto.
La logistica serve proprio per marciare in avanti, al servizio delle imprese e del mercato. Il tempo è adesso. Il futuro è già cominciato e, finalmente, ce ne siamo accorti.

Luca Lanini

professore di Logistica e Supply Chain Management, Università Cattolica

membro del Comitato scientifico del Freight Leaders Council

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