LA LEZIONE DI SUEZ: I RISCHI DEL GIGANTISMO NAVALE CON I COSTI DEI NOLI SCHIZZATI ALLE STELLE

Ora che la nave portacontainer Ever Given è stata disincagliata nel Canale di Suez, anche i più distratti hanno improvvisamente capito il ruolo portante della logistica e delle infrastrutture a supporto delle catene globali di fornitura e di vendita. E i danni globali di questo “micro” evento hanno d’un colpo confermato la teoria del caos del matematico Lorenz, meglio conosciuta come ”effetto farfalla” (“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”), se è vero che il costo del petrolio è cresciuto del 6% solo nella giornata di mercoledi 23 marzo, andando oltre i 60 dollari al barile.
Vediamo perché questo è vero. E perché potrebbe succedere ancora. Partiamo dalla nave. La portacontainer Ever Given, come tutti hanno ormai imparato nei giorni scorsi,  è lunga 400 metri e larga 59 (4 campi da calcio in fila), alta circa 60 metri di cui 16 metri sotto acqua (il pescaggio), con 200 mila tonnellate di carico massimo (la cosiddetta “portata a peso morto). In realtà,  come sanno i nostri studenti di logistica, l’unità di misura più usata per le portacontainer è il numero di TEU trasportati e qui si arriva a 20 mila. I container marittimi sono lunghi 20 piedi o 40 piedi e per contarli si usa il TEU (Twenty foot Equivalent Unit, unità di misura equivalente a 20 piedi, così un 20 piedi vale 1 TEU, un 40 piedi vale 2 TEU e così via). Per “vedere” 20 mila TEU basti pensare che corrispondono a 400 treni, 10 mila camion, mentre messi in fila indiana farebbero 120 km.
È unica la Ever Given? È la più grande? Certo che no, la più grande arriva ad oltre 24 mila TEU, però fa parte delle 77 Ultra Large Containers Ship (ULCS), le portacontainer con capacità di oltre 20 mila TEU, a cui se ne aggiungeranno altre 12 in costruzione e pronte a salpare entro fine 2022.
Questo è il “gigantismo navale”, l’espressione che denota l’attuale forte crescita della capacità media delle navi, la cui taglia media è triplicata in dieci anni. Si era partiti ai primi anni ’60 con le prime portacontainer di poco più di mille TEU, per arrivare alle cosiddette “post-panamax” a metà degli anni ’90 (troppo grandi per il Canale di Panama che infatti è stato recentemente allargato e potenziato, proprio come Suez). Oggi circolano più di 4 mila navi portacontainer di cui 3.600 navi concentrate fra i primi dieci gruppi  al mondo che insieme controllano l’88% della capacità di stiva complessiva, valutata in 23 milioni di TEU. Il gruppo danese AP Moller-Maersk è il primo al mondo (4,1 milioni di TEU) seguito da MSC, COSCO, CMA CGM. Il gruppo taiwanese Evergreen, armatore della Ever Given, è settimo con 1,2 milioni di TEU.
Veniamo adesso a Suez. Lungo 193 km, largo 205 metri e profondo 24, il canale fu disegnato da un ingegnere italiano (Negrelli) e inaugurato nel 1869. L’ultimo importante ammodernamento del 2015 gli ha permesso di garantire l’accesso alle navi ULCS  grazie a un canale parallelo di 22 miglia, mentre gli attuali lavori in corso consentiranno nel 2023 il raddoppio delle navi in transito, portandole a 100 (ma nelle prime 24 ore di riapertura dopo l’incidente di navi ne sono però passate 146!).
Perché è così importante il canale di Suez per l’economia globale? Semplice, questione di miglia e quindi di risparmio di tempi e costi di carburante! La principale rotta commerciale del mondo, tra Singapore e Rotterdam, si fa via Suez in circa 30 giorni medi (dipende dal numero delle soste intermedie), ossia almeno 10 giorni e 6 mila chilometri in meno rispetto al giro dal Capo di Buona Speranza in Sudafrica. Questo spiega perché da qui passa il 12% del traffico commerciale mondiale, il 30% delle navi del mondo con a bordo il 40% di tutto l’import-export del pianeta, così come da qui passano il 10% dei prodotti petroliferi (tra quelli trasportati via mare) ed il 9% del gas naturale liquefatto (GNL).
Quanto conta Suez per l’Italia? Moltissimo: il 40,1% del nostro commercio marittimo passa per il canale, con un valore di 82,8 miliardi di euro nel 2020 (fonte SRM), mentre i nostri porti di Genova, La Spezia, Gioia Tauro e Trieste sono gli spoke di arrivo e partenza nell’hub mediterraneo della nostra via della seta verso l’Asia.
Un po’ di geopolitica. L’economia globale dipende da Suez non meno di quanto l’Egitto non dipenda dal suo canale. Le news di questi ultimi giorni hanno fatto davvero capire quanto evidenti siano stati gli effetti a cascata sulle catene logistiche e sulle supply chain globali. I centoventi container bloccati di IKEA, gli ottanta container di té del gruppo olandese Van Rees distributi su 15 navi diverse, le 130 mila pecore romene rimaste a bordo nave per una settimana in più sono solo gli esempi più eclatanti citati dalla stampa che illuminano un “effetto farfalla” i cui effetti completi dobbiamo ancora misurare nelle nostre tasche di consumatori.
Tutto è finito qui? No, una nuova riflessione è appena cominciata. Il tempo dirà se avremo anche imparato. Sto parlando del “gigantismo navale” che, se fino a ieri riscuoteva qualche mal di pancia, da oggi si è cominciato a metterlo in discussione. E non solo per la paura degli effetti di un altro simile disastro ma soprattutto per la valutazione complessiva dei costi/benefici che si hanno con l’utilizzo di queste navi. Un recente studio dell’International Transport Forum (riportato anche in un bell’articolo dell’Hoffington Post di pochi giorni fa) ricorda che nel lungo periodo i benefici derivanti da navi sempre più grandi rischiano di essere inferiori ai rischi: i risparmi di costi per container con le mega navi ULCS non sono così grandi (non oltre il 20%) mentre la metà dei risparmi sui costi delle nuove imbarcazioni arriva dall’efficienza dei motori di nuova generazione, non tanto dalle economie di scala. A questo si aggiunge un effetto “oligopolio” legato alla concentrazione di mercato in pochi operatori con tutti i rischi di una riduzione della concorrenza. Ultimo elemento critico, l’eccessivo costo di adeguamento infrastrutturale di porti e canali per il passaggio delle mega-navi e per le operazioni di banchina (basti pensare al solo pescaggio, 16 metri di fondale per le ULCS, disponibile in pochissimi porti in assenza di adeguamenti).
Come se non bastasse, siamo in “tempesta perfetta” sui noli. Il fatto congiunturale del blocco di Suez a fine marzo 2021 non deve far distogliere l’attenzione dal ben più vasto e impattante fenomeno dell’aumento spropositato del costo dei noli. Il commercio marittimo è sotto quella che il Financial Times ha chiamato la “tempesta perfetta”, ossia la sotto capacità di rispondere alla domanda con un prezzo dei noli che è cresciuto del 400% in media ed anche dell’800% in alcuni mesi. In pratica sono “spariti” i contenitori, non si riesce a farli tornare indietro nei luoghi di produzione una volta arrivati a destino. Giacciono accumulati ai porti, nelle aziende spesso chiuse dalla crisi economica post-covid, su navi che sono state fermate per il calo del commercio. La mancanza di container “là dove servono” e gli effetti potenti sul costo del trasporto ha acceso una spia allarmante sulla capacità di autoregolamentazione del mercato, in un contesto dove il connubio fra logistica e commercio è sempre più stretto e interdipendente.
Mentre scrivo la Ever Given è ferma per controlli al centro del Lago Amaro, a metà Canale. A bordo ci sono molti più avvocati e assicuratori che marinai. Nei prossimi mesi vedremo se il gioco (del gigantismo navale) vale davvero la candela dei risparmi sui costi.
Luca Lanini
professore di logistica e supply chain management, facoltà di Economia e Giurisprudenza Piacenza, Master SCHMIDT Piacenza e Master MEGSI Milano; membro del Comitato Scientifico del FLC (Freight Leaders Council)

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