STUDIO ISMEA, NELLE VENDITE DI ORTOFRUTTA AI PRODUTTORI RIMANGONO LE BRICIOLE: I NUMERI

Su cento euro venduti di prodotti ortofrutticoli freschi (non trasformati), al produttore ne rimangono solo 7,7 al netto dei salari (6 euro/percento) e degli ammortamenti (10 euro). Il resto va al settore del commercio e della logistica che complessivamente hanno una marginalità del 18,2 euro (al netto di salari, 16,7 euro e degli ammortamenti, 4,3 euro) e altri settori, come ad esempio l’intermediazione che registra una marginalità netta del 6,4 euro/percento.

È quanto è emerso da uno studio di Ismea presentato nel corso del webinar ‘Il valore dell’ortofrutta, dalla filiera al sistema. L’ortofrutta e la catena del valore’ che si è tenuta ieri dagli studi di Tele Romagna a Cesena, organizzata da Cia-Agricoltori italiani.

“La catena del valore – ha spiegato Fabio Del Bravo, responsabile Direzione Servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – è un tema assolutamente rilevante per l’agricoltura intera, a maggior ragione che siamo in fase di riprogrammazione della Pac 21-27. Ismea, per i lavori della Pac, sta conducendo uno studio sulla strategia ortofrutticola che consegnerà entro giugno alle autorità preposte europee, per fornire elementi sul funzionamento della politica ortofrutticola in Italia che verranno presi in considerazione anche per le future decisioni politiche dell’Unione”.

Secondo i dati elaborati da Ismea, il business dell’ortofrutta italiana vale 15 miliardi di euro, un quarto di quello agricolo in generale. Quello che crea amarezza, da questo spaccato, è che solo una percentuale minima, 1,2 miliardi di euro circa, rimane in mano all’attore principale di tutto il settore, ossia l’imprenditore agricolo.

Tra le cause di questa iniqua distribuzione del valore lungo la supply chain ortofrutticola, una mancanza di aggregazione endemica nel tessuto produttivo italiano, l’eccessivo numero di player lungo tutta la filiera composta da una pletora di operatori quali operatori logistici, confezionatori, intermediari e commercializzatori a vario titolo.

Le superficI

Lo spaccato di Ismea, ci riporta un’Italia agricola che impegna 1,2 milioni di ettari nella produzione ortofrutticola nazionale, dei quali il 3%, circa 39mila ettari, riguarda la produzione di ortaggi in serra. Il 34% è dedicato alla frutta fresca, un altro 34% alla produzione di ortaggi a campo aperto, il 12% agli agrumi, il 10% alla produzione dei legumi secchi, il 4% alle piante da tubero e il 3% all’uva da tavola. “I dati – precisa Del Bravo – non tengono conto dei processi di riconversione varietale in atto, portati avanti da alcune aziende agricole che cercano di mettersi a pari con i cambiamenti della domanda che si deve misurare con un’offerta in costante crescita”.

Tra le varietà che sono cresciute di più negli ultimi cinque anni, spiccano su tutti i legumi secchi, mentre per le altre categorie di prodotto non si registrano particolari evidenze. Se non per le superfici coltivate ad uva da tavola, che in cinque anni hanno perso il 15% degli ettari (-15,3% gli ettari persi tra il 2019 e il 2020). In crescita, seppur lieve, rispetto al 2005, le superfici destinate alla produzione di ortofrutta (+1,7%) e alla frutta fresca (+1,4%).

La produzione

Complessivamente nel 2020 sono stati prodotti 24 milioni di tonnellate di ortofrutta con un incremento dell’1,4% rispetto al 2019 e una flessione del 2% rispetto al 2015.

Di queste, il 48% sono ortaggi a campo aperto, il 21% frutta fresca, il 13% agrumi, il 7% ortaggi in serra, il 6% piante da tubero, il 4% uva da tavola, l’1% sono legumi secchi (in crescita).

Nel trend evolutivo della produzione, il fattore che incide maggiormente è il clima. “Nonostante le superfici in calo – specifica Del Bravo – e al di là dell’influenza climatica, la riconversione varietale ha effetti positivi anche sull’offerta agrumicola che cresce del 15,5% tra il 2020 e il 2015 e dell’11,8% tra il 2020 e il 2019.

L’organizzazione

Dal punto di vista organizzativo, quello che emerge è che, se normalmente le aziende piccole producono poco, in ortofrutta questo parametro è ribaltato perché le aziende inferiori ai 5 ettari, contribuiscono molto alla produzione dell’intero settore dato che il 43% dell’output standard si deve ad aziende di 5-20 ettari. “Questo – chiosa Del Bravo – è in parte dovuto all’intensità produttiva e in parte anche ad un livello buono (ma non ottimo) di aggregazione, stante il fatto che sono 297 le OP attive in Italia, che raccolgono, complessivamente (insieme alle AOP), il 30% della superficie coltivata.

La catena del valore

Se nel settore dell’ortofrutta fresca, su cento euro di prodotto, rimane al produttore solo il 7,7%, nel settore dell’ortofrutta trasformata, questa cifra si abbassa ancora di più, fino all’1,9 percento/euro contro il 12,6% della marginalità del mondo del trasporto e della commercializzazione di prodotti industriali e il 6,3% degli altri settori quali quello dell’intermediazione.

Il Biologico

Secondo lo studio Ismea, la superficie coltivata ad ortofrutta Biologica in Italia, è di circa 194mila ettari pari al 17% della del totale. La frutta a guscio e gli agrumi sono le categorie con maggiore incidenza della superficie BIO su quella totale (sia BIO che non BIO) e rispettivamente si attestano al 37% e al 26% contro l’11% di ortaggi e patate BIO e il 14% di frutta fresca BIO.

Gli ortaggi e le patate sono il segmento che è cresciuto più, nel settore biologico, guardando agli ultimi 5 anni (+78,5%), segue l’ortofrutta (+41,2), la frutta in guscio (+37,9%) e la frutta fresca (+37,2%). Gli agrumi crescono ma meno del resto con un +8,3 negli ultimi cinque anni ed una spinta, tra il 2019 e il 2020 del +3,2%.

Import ed Export

Nel 2020, la bilancia commerciale ortofrutticola, nel suo complesso, ha avuto un saldo attivo di 2,6 miliardi di euro (+27% sul 2019; +15% sul 2015) con un incremento dell’export sul 2019, del 4%, per un valore di 8,9 miliardi di euro, ed una riduzione del 3% delle importazioni (che hanno un giro d’affari di 6,3 miliardi di euro) le quali, però crescono dell’8% se si prende a riferimento l’ultimo quinquennio.

Rallentano la crescita dell’export la frutta in guscio e gli agrumi che, rispettivamente hanno perso quote sul mercato internazionale, del 9 e del 1,8% rispetto al 2019.

Mariangela Latella

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