SOS CONSERVE DI POMODORO E LEGUMI: MANCA LA LATTA DEI BARATTOLI

L’estate rischia di portare con sé un grosso problema: la crisi delle conserve di pomodoro. A mancare non è la materia prima, che è presente nei campi italiani dove i pomodori abbondano, ma i contenitori. Sono 5 milioni le tonnellate di conserva che l’Italia processa ogni anno, da leader di mercato accanto a un gigante come la Cina e dietro solo agli Stati Uniti d’America. Ma mancano le bobine da cui altre imprese italiane concentrate in Emilia-Romagna producono le lattine, contenitori nei quali finiscono i due terzi della produzione di passate, polpe e pelati.

Prezzo delle bobine più che raddoppiato

A riportare la notizia sono in particolare Repubblica e il Corriere della Sera. Secondo quanto riferito da Natasha Linhart, ceo dell’azienda bolognese Atlante, “in pochi mesi il prezzo delle bobine è passato da 400 a oltre mille dollari a tonnellata“. Un aumento del prezzo che è uno degli effetti perversi della pandemia sulla produzione industriale: mentre infatti l’’industria siderurgica contraeva le produzioni per effetto della riduzione della domanda di automobili, la richiesta per alcuni prodotti alimentari si gonfiava e la crisi della latta colpiva prima la birra, con i fornitori che hanno iniziato a tagliare i marchi minori, per poi arrivare alle conserve.

Aumentati anche i costi di trasporto

Mentre i prodotti alimentari a lunga scadenza diventavano una merce preziosissima e venivano presi d’assalto sparendo dagli scaffali, la produzione di latta si contraeva. Contestualmente sono aumentati i costi di trasporto e per un materiale che è in buona misura importato dall’estero (in Italia le tonnellate prodotte sono 100mila contro un fabbisogno nazionale di otto volte superiore), con i sindacati spingono per ottenere nuovi investimenti all’ex Ilva di Genova per un incremento della produzione di banda stagnata.

Sul Corriere della Sera Giovanni De Angelis, direttore di ANICAV, l’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, sottolinea che “per quanto riguarda il settore delle conserve, abbiamo un consumo di scatole importante, perché l’acciaio rappresenta da sempre il principale packaging sia per i legumi che per il pomodoro. Oltre i due terzi del nostro prodotto viene confezionato in scatole di acciaio, ciò che con un francesismo napoletano chiamiamo buatta”.

I problemi di approvvigionamento di scatole sta creando preoccupazioni per la raccolta dei pomodori, che rischiano di rimanere nei campi. Lo spiega ancora De Angelis: “Stiamo monitorando il fenomeno. L’organizzazione della produzione delle scatole viene pianificata in anticipo, fino ad arrivare alla campagna di trasformazione, che per il pomodoro, diversamente dai legumi, è guidata dal processo di maturazione del prodotto, che non può andare oltre le 12-24 ore da quando viene raccolto. C’è dunque un’attività in parallelo che nei mesi tra agosto e settembre, in particolare, deve essere coordinata e programmata”.

L’unica certezza, al momento, è l’aumento del costo dell’acciaio (che sta avendo variazioni con picchi del 60%) come diretta conseguenza di una situazione di difficoltà dell’offerta di prodotto. “Un trend di crescita senza precedenti. Un costo — spiega ancora De Angelis — che incide sulle scatole in modo significativo, un 60-65% con un impatto sul prodotto finito”. Costi che aumentano, se sommati ai rincari di energia, il costo delle etichette, inchiostro, plastica. “Vendiamo circa 3,5 miliardi di barattoli all’anno, che se messi uno accanto all’altro sarebbe come percorrere circa 600 mila chilometri, 15 volte il giro della terra. In questo momento abbiamo contratti in essere con fornitori che esprimono criticità, ma che stanno lavorando per risolverle. Chi aveva scorte di materia prima le ha già trasformata in barattoli. Al momento è difficile dare numeri precisi sul fenomeno. Inizieremo a inscatolare a fine luglio. Una programmazione di una campagna di pomodoro inizia a gennaio. C’è una sola variabile indipendente: la difficoltà di programmare la materia prima sperando che il raccolto sia buono per poi essere trasformato. Tutto il resto dipende dall’organizzazione dell’impresa”.

(fonte: Corriere della Sera, Repubblica)

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