CARO ENERGIA, SERRE (E NON SOLO) AL LIMITE DELLA SOPRAVVIVENZA

Il caro energia sta mettendo in difficoltà le coltivazioni in serra. Frutta, verdura, ortaggi, fiori sono a rischio produzione per l’impatto che il rincaro dei costi di elettricità e gas stanno avendo sui conti economici delle aziende agricole.

A ribadirlo in un lungo articolo di approfondimento è anche Repubblica. Il quotidiano sottolinea come gli aumenti incontrollabili di questo periodo sia di fatto un colpo quasi insostenibile a sentire chi sta sul campo e che potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla qualità e i volumi degli stock di prodotto per la prossima stagione.

“A livello quantitativo, il problema c’è già. Non sempre è diretta conseguenza del rincaro energetico ma sicuramente maggiori costi di produzione inducono le aziende a fare qualche calcolo. Soprattutto se, come capitato per la pera (-70% di produzione rispetto allo scorso anno a livello nazionale, ndr) o con il kiwi, al rincaro energetico si aggiungono anche difficoltà ambientali che vanno dalle gelate alle malattie, passando per i parassiti”, spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti.

Secondo l’associazione di categoria, che ha lanciato un vero e proprio sos, per quanto riguarda la produzione in serra, tipica del periodo invernale, sono circa 15-20mila le aziende in crisi mentre altre “hanno deciso di non rischiare proprio e stoppare gli investimenti programmati oppure sono state costrette a ridurre i volumi perché i costi avrebbero superato i guadagni”, precisa Bazzana. Certo, molto dipende dal tipo di coltura introdotta dalle aziende. Detto diversamente, da quanti gradi è necessario garantire all’interno delle strutture. Ne sa qualcosa Gianvito Altieri, titolare di Fungo Puglia, circa 20mila metri quadri di coltivazioni coperte di cui 14mila in serra. Specialità funghi, ovviamente. “Per far fronte al caro energetico, abbiamo scelto di utilizzare al minimo possibile il gasolio o l’elettricità. Questo significa avere 8-10° in serra contro i 16° ideali per la produzione. La conseguenza è un dimezzamento della produzione. Solo così il conto economico risulta sostenibile”, racconta Altieri la cui azienda si era trovata solo una volta in una situazione simile negli anni ’70 al tempo della crisi petrolifera. E tutto ciò anche considerando che l’azienda agricola sfrutta per il 50% energia fotovoltaica; “ma l’altro 50% lo pago due volte e mezza in più rispetto allo scorso anno”, confida il produttore.

Incrementi vertiginosi che sono stati registrati anche da Stefano Valleri, titolare dell’omonima azienda agricola veneta specializzata nella produzione di verdure e ortaggi, con una linea di prodotti trasformati e, soprattutto, una specializzazione nelle erbe aromatiche. “Già a ottobre abbiamo registrato un +100% sulla bolletta dell’energia elettrica rispetto allo scorso anno. Il gasolio, invece, ha toccato il +80% mentre il gas costa due volte in più rispetto all’anno precedente”, afferma Valleri. Conseguenza? “Quest’anno le aziende riusciranno in qualche modo a sopravvivere, grazie anche alle scorte di magazzino. Ma il prossimo anno i nodi arriveranno al pettine“, taglia corto Valleri che ricorda come negli ultimi 25 anni in Veneto siano scomparse qualcosa come 550 aziende attive nel settore della coltivazione in serra. Il prezzo della bolletta, infatti, è solo una parte di un problema globale che, a partire dall’aumento dei costi energetici, condiziona diversi aspetti produttivi.

Secondo la Coldiretti, l’impennata del costo del gas utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, per esempio, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con il composto chimico dell’urea passato da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%), il fosfato biammonico Dap raddoppiato (+100%) da 350 a 700 euro a tonnellata, mentre prodotti di estrazione come il perfosfato minerale registrano +65%. Costi vivi che incidono sul conto economico delle aziende e mettono a repentaglio il fiore all’occhiello del Made in Italy: l’agroalimentare. “Se anche gli ultimi dati dell’export verranno confermati, il cibo italiano all’estero dovrebbe superare quota 52 miliardi di euro. Un record che, tuttavia, rischia di essere un fuoco di paglia se non si interviene per tutelare la produzione agricola”, ricorda Bazzana.

A cascata, poi, dalle coltivazioni in serra ai consumatori il passo è breve. Con effetti che risulterebbero disastrosi sulla tenuta delle aziende. “Al momento non è ancora stagione di fragole, ma speriamo che tutto questa situazione si possa risolvere nel primo trimestre così da permetterci di assorbire l’aumento dei costi di produzione che stiamo registrando in questo momento, sull’ordine del 40-50% in più rispetto allo scorso anno, grazie alla vendita”, rivela Manuel Sucamele che gestisce l’omonima azienda agricola di famiglia fondata dal padre a Marsala. In totale, circa 60mila piantine coltivate in serre (nella foto di apertura) non riscaldate che formano il cuore dell’offerta 2022. A patto che ci sia qualcuno disposto a comprarle.

Perché gli stessi rincari denunciati dalle aziende si abbattono anche sulle famiglie con il conseguente cambiamento delle abitudini di consumo alimentare. “Si passerà sempre più dal fresco al prodotto surgelato, con un depauperamento dell’offerta Made in Italy a fronte di prodotti industriali, importati e spesso con l’aggiunta di glutammato per spingere il sapore”, afferma Altieri. Dello stesso avviso anche Valleri: “Nonostante le politiche adottate dalla grande distribuzione, alla lunga il contenimento dei prezzi non è sostenibile. Rosicchiando sempre più margini di guadagno ne risentirà tutta la filiera. A cominciare dagli addetti i cui contratti, nel frattempo, rimangono sempre gli stessi”. Una prospettiva che spaventa anche i ristoratori: “Diversi nostri partner commerciali attivi in questo settore che stanno programmando l’apertura a primavera del proprio locale sono preoccupati di ritrovarsi con una clientela il cui potere d’acquisto gli impedirà di concedersi le stesse uscite di prima”, conclude Valleri.

E a proposito di ristoranti, nemmeno alla voce “fiori edibili” le cose sembrano andare bene. “Si tratta di una nicchia di mercato il cui boom annunciato alla fine non è mai scattato, nonostante ci siano delle aziende di assoluta eccellenza specializzate in questo settore”, afferma Cristiano Genovali, titolare dell’azienda agricola La Sassaia e presidente di Affi (Associazione floricoltori e fioristi italiani). E vista la situazione, non sembra che le cose cambieranno a breve: “La floricoltura in serra è oggettivamente di fronte a rincari non sostenibili. Nell’arco di due settimane il costo di un litro di gasolio agricolo è passato da uno a 1,20 euro. E si prevede che salga ancora di 10-15 centesimi. Chi utilizza il gas metano o il gpl per riscaldare le serre, dal 2018 a oggi ha visto aumentare i costi del +400%. Mentre l’elettricità nell’ultimo anno è andata su del +50% – sottolinea Genovali – Di questo passo, le aziende faranno i propri conti e molte scopriranno che 2+2 fa 3 e non 4. Saranno quindi costrette a chiudere, fermare gli investimenti o interrompere la produzione con conseguenti perdite di quote di mercato”.

(fonte: Repubblica)

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