CHI PAGA GLI SCONTI NEI SUPERMERCATI?

L’articolo sui contributi promozionali che le industrie alimentari versano alle catene di supermercati per realizzare campagne di sconti e prezzi speciali pubblicato da Il Fatto Alimentare, ha sollecitato diverse reazioni.

Il Fatto Alimentare ha pubblicato una lettera (che riportiamo integralmente qui sotto) che focalizza molto bene il problema. L’autore è una persona che ha lavorato per anni nel settore e conosce bene quali sono le dinamiche e le regole del mercato.

Buongiorno, ho letto il vostro articolo titolato “Contributi ai supermercati e prezzi. Chi paga veramente gli sconti e le promozioni sui prodotti?” e vorrei proporre la mia personale risposta. Avendo lavorato per lungo tempo nel campo alimentare con vista privilegiata sul mondo delle catene di supermercati, ed essendo al contempo cliente anche cliente e consumatore, vi racconto il mio punto di vista che mi sembra in linea con le vostre considerazioni.

Essendo il mondo della distribuzione alimentare un settore importante ma anche molto vasto, discutere significa spaziare tra un insieme assai complesso di discipline, su cui difficilmente si troveranno due persone che la pensano allo stesso modo, lo metto in preventivo. Tutti siamo interessati alle qualità alla quantità dei prodotti, ai prezzi, alla spietata concorrenza tra le aziende e alla concorrenza,  oltre a muoverci in un mondo dove il sistema di vendita tradizionale si affianca ai negozi online, alla vendita diretta e ad altre tipologie. Guardandoci intorno sembra però che l’elemento comune ai vari  sistema di vendita sia ancora collegato a promozioni e sconti (che comunque le persone apprezzano e preferiscono). Fatte queste premesse per proseguire bisogna distinguere due fasi, la prima riguarda il rapporto tra fornitori e supermercati, la seconda il rapporto tra supermercati e consumatori.

Dal punto di vista dei fornitori delle catene le criticità più frequenti sono le richieste di variazioni unilaterali dei contratti già firmati attraverso modifiche che sempre penalizzano le aziende.  Un altro problema è la valenza retroattiva delle richieste di variazione, oltre al mancato rispetto dei termini di pagamento, soprattutto nei confronti delle industrie più piccole. Un capitolo a parte meritano le numerose forme di sconto richieste per le varie occasioni (promozioni, vendite 3×2, sconti speciali, anniversari, cambiamenti di insegna, nuove aperture, ricorrenze di Pasqua e Natale, sottocosto…) che sono sempre a carico dell’azienda. Poi ci sono i  contributi vari da versare come extra per migliorare l’esposizione sugli scaffali, per introdurre nuovi prodotti, per essere presenti sui volantini che arrivano nella cassetta della posta. Considerando tutte le voci di sconto e promozioni previste complessivamente si arriva a oltre il 15% del fatturato.  Queste trattative sono fatte singolarmente con ogni azienda e i numeri e gli sconti variano in funzione della rispettiva forza contrattuale, delle caratteristiche e dell’importanza dei prodotti e del marchio.

Tutte queste operazioni incidono inevitabilmente sul costo complessivo e fanno lievitare i prezzi di vendita al dettaglio, oltre che comportare per la ditta fornitrice un dispendio di tempo considerevole per fare calcoli e continui controlli nei punti vendita. Naturalmente questi costi alla fine determinano un incremento dei prezzi di vendita al dettaglio. L’estrema variabilità di ordini in periodo di sconto è terrorizzante per quello che ricordo. La presenza di offerte sempre più ravvicinate nel tempo e realizzate da più supermercati contemporaneamente, a volte fa sbagliare i calcoli e restano notevoli quantità di prodotto invenduto che l’azienda deve riprendersi. Da lunghi anni la stragrande maggioranza dei rivenditori applica questo sistema, ed è vero che a volte i fornitori stessi chiedono di aderire a promozioni a proprio vantaggio, ma in ogni caso è illogico affermare che questo sia il sistema più conveniente e sostenibile per i consumatori.

Per esempio quando vado al supermercato con mia moglie ho sempre una lista di prodotti preparata in anticipo, ma succede spesso di uscire con più mercanzia del previsto, quasi senza accorgercene. Questo vuol dire che il supermercato  aumentato le vendite (e il fornitore pure) e io mi ritrovo con cose che hanno colpito la curiosità momentanea, ma che realmente non erano necessarie. L’enorme numero di articoli presenti sugli scaffali e il loro scientifico posizionamento amplifica la suggestione e induce ad aumentare i volumi di acquisto impulsivo. A maggior ragione durante sconti e promozioni questo succede di frequente anche ai consumatori più attenti. Voler fare il bilancio annuale di tutte queste operazioni richiederebbe una laurea in economia e conoscenza avanzata di astrologia, ma sono più propenso a pensare al danno, l’incognita riguarda solo l’entità.

Le catene di supermercati che rinunciano a tutte le varie forme di promozioni e adottano sistemi di vendita diversi sono poche. In genere usano il sistema del prezzo netto e fisso per lunghi periodi  con contratti che non prevedono forniture di prodotti scontati e contributi di qualsiasi genere. Essendo libero da contributi onerosi, il prezzo netto valido per tutto l’anno richiede meno burocrazia e, in quasi tutti i supermercati dove viene applicato è più conveniente per il consumatore, anche se manca l’effetto magico dello sconto e dell’offerta speciale. Quando si fa la spesa in questi punti vendita non c’è infatti la scossa  adrenalina di riempire il carrello con prodotti scontati, anche se poi  facendo un bilancio annuale si scopre che il risparmio è in parte fittizio.

Un documento che descrive in modo meticoloso queste strane regole tra aziende e catene di supermercati è stato redatto anni fa dall’Antitrust, denunciando il carattere ambiguo degli accordi. Si tratta di un dossier di 200 pagine pubblicato nel 2013 unico nel suo genere, che mette a nudo il meccanismo e spiega come funzionano gli affari in questo settore.

Gianni E.

(fonte: Il Fatto Alimentare)

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