La tempesta giudiziaria che si è abbattuta sulla OP Alma Seges di Eboli (SA) ha scosso il mondo dell’ortofrutta. I particolari della vicenda: 12 persone arrestate tra cui l’intero Cda della cooperativa (arresti poi revocati) ; sequestro di beni e accuse di frode ai danni dell’UE (i beni sequestrati sono stati poi restituiti dal Tribunale del Riesame di Salerno sia a tutti gli indagati personalmente sia alla società Alma Seges, che è tornata così pienamente operativa). La vicenda comunque ha sollevato sconcerto e polemiche nel mondo dell’ortofrutta campana. Ovviamente tutto va preso con beneficio di inventario anche perché c’è l’impressione che l’inchiesta, dopo il clamore iniziale, si stia sgonfiando. Ma la vicenda squarcia un velo sul tema OP su cui vale la pena soffermarsi. Intanto perché finora le OP e le loro Unioni (che sono due: Italia Ortofrutta e Unaproa) hanno navigato un po’ sottotraccia a livello di comunicazione e di immagine, quasi che il loro fosse solo un ruolo di mera burocrazia, di disbrigo degli affari correnti, pratiche, Piani operativi, contributi Ocm, ecc. E non di attori di primo piano del sistema ortofrutta Italia, centrali nell’aggregazione della produzione e dell’offerta ortofrutticola , in grado di raccogliere le istanze del mondo produttivo, delle imprese, e di fungere da raccordo col mondo della Distribuzione moderna. In questa ottica le pratiche Ocm e l’organizzazione della presenza degli associati alle fiere finiscono quasi in secondo piano. (Se poi qualcuno si chiede perché le Unioni che predicano l’aggregazione non danno l’esempio aggregandosi, sappia che questa domanda è ‘politicamente scorretta’ !).
La principale unione, Italia Ortofrutta (146 OP associate per un fatturato di 2,7 miliardi di euro), a Macfrut e nel corso della sua recente assemblea (in cui ha lanciato diversi progetti di grande interesse) ha dato segnali di volere battere un colpo sul fronte della comunicazione, come a dire: “ci siamo anche noi”. Quasi un nuovo inizio. In contemporanea Davide Vernocchi, n.1 dell’ortofrutta di Confcooperative, in un editoriale su Terra e Vita dal titolo “Non basta una OP per fare aggregazione” lanciava un sasso nello stagno, proprio alla vigilia dell’esplodere del caso Alma Seges.
Vernocchi – solitamente abbastanza diplomatico – questa volta non usa mezzi termini, va giù pari. Se l’aggregazione dell’ortofrutta in Italia ha raggiunto un livello superiore al 50% (dal 30-35% di 20 anni fa) è merito delle oltre 300 OP – scrive Vernocchi –“ma questo non basta: quante di queste OP sono in grado realmente di offrire risposte concrete ed adeguate alle esigenze di redditività delle aziende associate? Quante sono in grado di incidere sul mercato? “
Poi , per chiarire: “Aggregare non significa fare trading o acquistare prodotti per rivenderli: significa valorizzare la produzione dei soci…saper stare sul mercato”. La cooperazione non può limitarsi alla semplice adesione formale ad una OP, “occorre costruire progetti concreti , pianificare strategie comuni e coinvolgere i soci in tutte le fasi , dalla produzione alla commercializzazione”. Spesso non accade “e assistiamo a una dispersione di risorse e competenze che impedisce il consolidamento delle filiere…di fronte alle attuali sfide non basta una cooperazione superficiale: servono realtà strutturate , capaci di adattarsi ed innovare, di rappresentare una vera garanzia per i produttori”.
Vernocchi non si ferma, si toglie altri sassolini dalle scarpe: gli alti livelli di aggregazione “iniziano a mostrare segni di fragilità”. Troppo bassa la dimensione economica media delle OP italiane (tra i 14 e i 15 milioni di euro) , “serve fissare soglie minime di riconoscimento ..Le istituzioni devono supportare processi di crescita strutturale, monitorando e intervenendo laddove ci si aggrega solo per accaparrarsi risorse, e incentivando invece chi opera per crescere davvero”. “E’ il momento – conclude Vernocchi – di ripensare i modelli aggregativi , puntando su qualità, sostenibilità e reale partecipazione dei produttori. Puntando su una cooperazione che metta al centro la valorizzazione dei territori”. Più chiaro di così il n.1 dell’ortofrutta di Confcooperative non poteva essere. Un intervento davvero polemico il suo , che mette il dito nella piaga, e chiama la cooperazione (e di conseguenza le OP) al suo dovere primario: valorizzare la produzione dei soci e promuovere i territori dove i soci operano.
Il non detto del suo intervento si può riassumere così: se la nostra aggregazione è cresciuta così tanto, perché le imprese di base lamentano di non fare un reddito decente e la nostra produzione frutticola continua a perdere superfici. Perché non è sufficientemente aggregata, potrebbe rispondere qualcuno. Ma non è che il problema sta nell’attuale sistema delle OP, che spesso nascono e muoiono solo per intercettare i contributi Ocm senza porsi il problema di efficienza e competitività? Vernocchi dà la sveglia al mondo delle OP, quasi a dire – come diceva Draghi del debito – che esiste una aggregazione buona e una cattiva , la prima fa crescita e sviluppo nei territori, la seconda drena solo risorse e non lascia niente.
Siamo tutti d’accordo che il sistema OP è importante, importantissimo per dare un futuro alla nostra ortofrutta. Però è venuto forse il momento di fare un esame di coscienza, di valutare efficienza e risultati economici, di creare magari un osservatorio economico affidato a un ente terzo (Ismea?) per capire cosa funziona e cosa non funziona, e dove vanno a finire i cospicui contributi Ocm (181,4 milioni solo in Emilia Romagna). Più trasparenza per arrivare ad una maggiore efficienza, e per ridare valore strategico ad un fattore troppo tempo dimenticato: il territorio.
Lorenzo Frassoldati
direttore di Corriere Ortofrutticolo e corriereortofrutticolo.it
frasso51@gmail.com
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AGGREGAZIONE BUONA (E CATTIVA). DALLA VICENDA ALMA SEGES ALLE FRECCIATE DI VERNOCCHI
La tempesta giudiziaria che si è abbattuta sulla OP Alma Seges di Eboli (SA) ha scosso il mondo dell’ortofrutta. I particolari della vicenda: 12 persone arrestate tra cui l’intero Cda della cooperativa (arresti poi revocati) ; sequestro di beni e accuse di frode ai danni dell’UE (i beni sequestrati sono stati poi restituiti dal Tribunale del Riesame di Salerno sia a tutti gli indagati personalmente sia alla società Alma Seges, che è tornata così pienamente operativa). La vicenda comunque ha sollevato sconcerto e polemiche nel mondo dell’ortofrutta campana. Ovviamente tutto va preso con beneficio di inventario anche perché c’è l’impressione che l’inchiesta, dopo il clamore iniziale, si stia sgonfiando. Ma la vicenda squarcia un velo sul tema OP su cui vale la pena soffermarsi. Intanto perché finora le OP e le loro Unioni (che sono due: Italia Ortofrutta e Unaproa) hanno navigato un po’ sottotraccia a livello di comunicazione e di immagine, quasi che il loro fosse solo un ruolo di mera burocrazia, di disbrigo degli affari correnti, pratiche, Piani operativi, contributi Ocm, ecc. E non di attori di primo piano del sistema ortofrutta Italia, centrali nell’aggregazione della produzione e dell’offerta ortofrutticola , in grado di raccogliere le istanze del mondo produttivo, delle imprese, e di fungere da raccordo col mondo della Distribuzione moderna. In questa ottica le pratiche Ocm e l’organizzazione della presenza degli associati alle fiere finiscono quasi in secondo piano. (Se poi qualcuno si chiede perché le Unioni che predicano l’aggregazione non danno l’esempio aggregandosi, sappia che questa domanda è ‘politicamente scorretta’ !).
La principale unione, Italia Ortofrutta (146 OP associate per un fatturato di 2,7 miliardi di euro), a Macfrut e nel corso della sua recente assemblea (in cui ha lanciato diversi progetti di grande interesse) ha dato segnali di volere battere un colpo sul fronte della comunicazione, come a dire: “ci siamo anche noi”. Quasi un nuovo inizio. In contemporanea Davide Vernocchi, n.1 dell’ortofrutta di Confcooperative, in un editoriale su Terra e Vita dal titolo “Non basta una OP per fare aggregazione” lanciava un sasso nello stagno, proprio alla vigilia dell’esplodere del caso Alma Seges.
Vernocchi – solitamente abbastanza diplomatico – questa volta non usa mezzi termini, va giù pari. Se l’aggregazione dell’ortofrutta in Italia ha raggiunto un livello superiore al 50% (dal 30-35% di 20 anni fa) è merito delle oltre 300 OP – scrive Vernocchi –“ma questo non basta: quante di queste OP sono in grado realmente di offrire risposte concrete ed adeguate alle esigenze di redditività delle aziende associate? Quante sono in grado di incidere sul mercato? “
Poi , per chiarire: “Aggregare non significa fare trading o acquistare prodotti per rivenderli: significa valorizzare la produzione dei soci…saper stare sul mercato”. La cooperazione non può limitarsi alla semplice adesione formale ad una OP, “occorre costruire progetti concreti , pianificare strategie comuni e coinvolgere i soci in tutte le fasi , dalla produzione alla commercializzazione”. Spesso non accade “e assistiamo a una dispersione di risorse e competenze che impedisce il consolidamento delle filiere…di fronte alle attuali sfide non basta una cooperazione superficiale: servono realtà strutturate , capaci di adattarsi ed innovare, di rappresentare una vera garanzia per i produttori”.
Vernocchi non si ferma, si toglie altri sassolini dalle scarpe: gli alti livelli di aggregazione “iniziano a mostrare segni di fragilità”. Troppo bassa la dimensione economica media delle OP italiane (tra i 14 e i 15 milioni di euro) , “serve fissare soglie minime di riconoscimento ..Le istituzioni devono supportare processi di crescita strutturale, monitorando e intervenendo laddove ci si aggrega solo per accaparrarsi risorse, e incentivando invece chi opera per crescere davvero”. “E’ il momento – conclude Vernocchi – di ripensare i modelli aggregativi , puntando su qualità, sostenibilità e reale partecipazione dei produttori. Puntando su una cooperazione che metta al centro la valorizzazione dei territori”. Più chiaro di così il n.1 dell’ortofrutta di Confcooperative non poteva essere. Un intervento davvero polemico il suo , che mette il dito nella piaga, e chiama la cooperazione (e di conseguenza le OP) al suo dovere primario: valorizzare la produzione dei soci e promuovere i territori dove i soci operano.
Il non detto del suo intervento si può riassumere così: se la nostra aggregazione è cresciuta così tanto, perché le imprese di base lamentano di non fare un reddito decente e la nostra produzione frutticola continua a perdere superfici. Perché non è sufficientemente aggregata, potrebbe rispondere qualcuno. Ma non è che il problema sta nell’attuale sistema delle OP, che spesso nascono e muoiono solo per intercettare i contributi Ocm senza porsi il problema di efficienza e competitività? Vernocchi dà la sveglia al mondo delle OP, quasi a dire – come diceva Draghi del debito – che esiste una aggregazione buona e una cattiva , la prima fa crescita e sviluppo nei territori, la seconda drena solo risorse e non lascia niente.
Siamo tutti d’accordo che il sistema OP è importante, importantissimo per dare un futuro alla nostra ortofrutta. Però è venuto forse il momento di fare un esame di coscienza, di valutare efficienza e risultati economici, di creare magari un osservatorio economico affidato a un ente terzo (Ismea?) per capire cosa funziona e cosa non funziona, e dove vanno a finire i cospicui contributi Ocm (181,4 milioni solo in Emilia Romagna). Più trasparenza per arrivare ad una maggiore efficienza, e per ridare valore strategico ad un fattore troppo tempo dimenticato: il territorio.
Lorenzo Frassoldati
direttore di Corriere Ortofrutticolo e corriereortofrutticolo.it
frasso51@gmail.com
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