Dopo anni di crisi è finalmente arrivato l’anno della svolta? A giudicare dall’ottimismo di alcuni politici ed imprenditori del settore, sembrerebbe proprio di si. Il comparto dell’agroalimentare ha resistito meglio di altri alle difficoltà dovute alla complicata congiuntura economica di questi anni – dal 2010 al 2013 è l’unico ad aver registrato un aumento di fatturato sul mercato nazionale – ma per lasciarsi definitivamente il passato alle spalle la parola chiave è “internazionalizzare”.
In questi termini, il finanziamento da 260 milioni di euro annunciato dal MiSE per il Made in Italy sarà fondamentale per riuscire a portare l’export dai 33,3 miliardi di euro attuali a 50 miliardi entro il 2020. Al tema dell’internazionalizzazione è stata dedicata la 66°Assemblea annuale di Fruitimprese, tenutasi ieri a Roma, dal titolo “Un ‘Sistema’ per l’export la nuova sfida per il paese e le imprese".
Il comparto ortofrutticolo rappresenta la voce più importante del commercio estero dell’agroalimentare nostrano, anche se nel 2014 la bilancia commerciale ha mostrato un quadro contraddittorio: il saldo si è ridotto del 14,1% rispetto all’anno precedente (passando da 1.012.632 a 869.538 euro); nonostante l’aumento dei volumi esportati si è registrato un calo in termini di valore.
In particolare – ha spiegato il presidente di Fruitimprese Marco Salvi (nella foto) – al fianco di comparti virtuosi che si distinguono per un certo dinamismo all’estero – come quello del kiwi, delle albicocche e delle mele – ci sono altri – come nel caso degli agrumi – dove emerge un’evidente mancanza di competitività a livello internazionale. Il mercato attuale si sta preparando in modo propositivo ad affrontare le sfide future, forte dei segnali positivi che arrivano da chi all’estero riconosce l’elevata qualità del prodotto italiano e dalle nuove opportunità nate grazie al cambio favorevole euro/dollaro e alla crescente domanda sui mercati asiatici.
Non bisogna tuttavia sottovalutare il perdurare di alcune criticità, avverte Salvi. Tra queste: i maggiori costi della manodopera che l’imprenditore italiano deve sostenere rispetto a qualsiasi altro competitor straniero; gli elevati costi del trasporto; i nuovi adempimenti fiscali e burocratici, sorti contestualmente ai numerosi vantaggi apportati dall’articolo 62; e il reverse charge che “mette a rischio la liquidità delle imprese e la loro stessa sopravvivenza senza garantire benefici risolutivi alle casse dello Stato”.
Una proposta per ridimensionare il carico di burocrazia viene avanzata dal presidente dell’associzione degli esportatori e importatori ortofrutticoli italiani alla GDO suggerendo di imporre il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) come certificazione obbligatoria. Capitolo a parte per l’Irap, di cui si è negoziata la detrazione per i dipendenti a tempo determinato ma la cui modifica definitiva trova impedimenti a Bruxelles: “una situazione al quanto singolare visto che si tratta di una tassa tutta italiana”, commenta il presidente di Fruitimprese. Infine parlando della politica europea, Salvi si è tolto qualche sassolino dalla scarpa: “l’Europa dovrebbe incominciare a guardare di più a ciò che è necessario per gli Stati membri e ascoltare meno quello che suggeriscono dall’altra parte dell’Oceano”. Il riferimento è al modo in cui vengono affrontate a livello comunitario certe problematiche importanti – come la questione dell’embargo russo o dell’imposizione di barriere fitosanitarie da parte di Paesi extra Ue – che mancano di un coordinamento unico e armonizzato.
Ma allora come competere con successo all’estero? A questa domanda ha risposto il professor Matteo Giuliano Caroli, docente ordinario di economia e gestione delle imprese internazionali all’Università LUISS di Roma. "La competitività di un’impresa dipende dalla sua capacità di essere un nodo rilevante delle reti internazionali. In tal senso, da anni stanno prendendo forma sistemi internazionali di produzione che si caratterizzano per l’organizzazione e la distribuzione geografica delle varie attività della catena del valore". Ma poiché nel comparto agroalimentare è intrinseco un forte legame con il territorio in cui l’impresa opera si rende necessario perseguire l’efficienza a livello locale. Secondo Caroli, dunque, “la competitività internazionale è sempre più una competizione tra sistemi di attori integrati all’interno di un determinato territorio e contemporaneamente collegati a livello internazionale".
Inoltre, secondo quanto emerge da uno studio datato 2009, nella mente dell’imprenditore la "qualità del prodotto" e il "marketing di nicchia relazionale" sono due nodi fondamentali per l’internazionalizzazione delle PMI. Un altro importante fattore critico di successo è la variabile dimensionale delle imprese, che nel tessuto italiano si presentano spesso a carattere familiare. “Si tratta di un concetto relativo in base al contesto competitivo; si deve iniziare a considera la dimensione come una variabile dipendente", sottolinea Caroli. "La dimensione critica per competere con successo su mercati stranieri sta rapidamente aumentando in seguito alla pressione competitiva dei nuovi sfidanti globali". Dunque, conclude il professore, “la traiettoria strategica da seguire per l’internazionalizzazione passa dalla crescita, raggiungibile operando in sinergia con altri soggetti, oltre che dallo sviluppo innovativo e dal marketing. Inoltre è fondamentale costruire un eco-sistema in grado di ridurre i fattori di svantaggio del sistema Paese, di raggiungere la semplificazione amministrativa e di coinvolgere più soggetti generando conoscenza e innovazione”.
Tra le criticità che spesso ostacolano il libero scambio su scala internazionale ci sono le barriere fitosanitarie, uno strumento che ha assunto una vera e propria strategicità nella politica estera dei paesi. Ad approfondire l’argomento è intervenuto all’Assemblea Bruno Caio Faraglia, direttore del servizio fitosanitario del Ministero delle Politiche Agricole. In questo caso fare sistema e operare in sinergia sia a livello nazionale sia comunitario diventa indispensabile.
“Il problema – commenta il funzionario del Ministero – è la mancanza di una strategia comune; lo confermano la frammentazione del sistema sanitario e fitosanitario. Ancora oggi si rendono necessari accordi bilaterali, azioni dei singoli paesi”. Allo stato attuale, dunque, il suggerimento di Faraglia è di operare nell’ottica di una riduzione dei rischi, con l’elaborazione di dossier tecnici per il Pest Risk Analysis e l’individuazione di aree “pest free”, attraverso un approccio di sistema integrato e un programma di pre-clearence. Elencando diverse situazioni reali – al limite dell’assurdo – che vedono paesi membri avvantaggiati rispetto ad altri in termini esportazioni verso determinati mercati, è evidente che “ognuno gioca da solo”. È il caso delle pere in Cina, mercato a noi precluso se non per le spedizioni di kiwi, ma accessibile a Belgio e Olanda o della “questione Xylella” in Puglia, che il funzionario ha definito “assurda”. “Il blocco delle importazioni da parte della Francia – continua – sta provocando un effetto domino da parte del Paesi del Magreb rispetto anche a prodotti che con le zone interessate dal problema non hanno nulla a che fare. A questo punto – conclude – il concetto di sistema diventa fondamentale. Per superare le barriere fitosanitarie e valorizzare l’agricoltura nazionale abbiamo bisogno di azioni sinergiche tra il Servizio fitosanitario nazionale, le Università, gli enti di ricerca, i laboratori e i settori produttivi, come le associazioni di categoria e le organizzazioni di produttori”. Impegni concreti sono finalmente stati annunciati dai diversi esponenti della politica intervenuti ai lavori.
L’onorevole Francesco Boccia, presidente della V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione, ha annunciato che “il Governo accompagnerà il processo di trasformazione delle Banche Popolari mettendo a disposizione un maxi fondo di garanzia in grado di consentire agli Istituti di trasformare i loro crediti a breve termine verso le PMI in esposizioni a medio/lungo termine”. Un’azione importante a sostegno delle imprese perché “non possiamo chiedere alle aziende – sottolinea Boccia – di ristrutturarsi ai fini di una maggiore competitività all’estero senza dare loro la possibilità di farlo. L’Italia tuttavia è solo al sesto posto nel ranking europeo dell’export agroalimentare; avremmo potuto fare molto di più, dunque dobbiamo migliorarci”.
Un ulteriore sostegno in questo senso arriva – come si diceva all’inizio – dall’entrata nel vivo del “Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia” promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico e che si avvarrà del lavoro dell’ICE. A spiegarne i dettagli è intervenuto Riccardo Maria Monti, presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. “L’Italia è finalmente pronta a riportare a un livello decente la spesa a sostegno dei settori produttivi. Fino al 2013 abbiamo investito troppo nel tentativo di risanare le aziende in crisi mentre quasi nulla è stato fatto per dare slancio al made in Italy. E’ questo il motivo del piano straordinario: sostenere un comparto che non deve essere lasciato solo”, ha spiegato Monti.
Infine nel suo intervento l’europarlamentare Giovanni La Via ha sottolineato l’importanza che l’Europa può avere nel dare maggiore competitività alle imprese. E’ necessario – suggerisce La Via – che Bruxelles inserisca clausole di salvaguardia negli accordi bilaterali con paesi terzi evitando il ripetersi di singole e azioni fini a se stesse – come nel caso dell’embargo russo – e favorendo al contempo l’ingresso dei privati nelle OP, oltre a migliorare il sostegno a programmi di promozione dei consumi come “Frutta nelle Scuole”.
La 66°Assemblea di Fruitimprese si è conclusa con la rielezione per acclamazione di Marco Salvi a presidente – giunto al secondo mandato dopo l’elezione nel 2012 – chiesta con evidente emozione dal past president Pino Calcagni al termine dei lavori.
Chiara Brandi