Bayer cancellerà il marchio Monsanto. A farlo sapere è stata lo stesso gruppo tedesco, dopo l’annuncio di un aumento di capitale da 6 miliardi di euro per finanziare l’acquisizione del colosso americano di Ogm e pesticidi. Giovedì 7 giugno si concluderà l’acquisizione di Monsanto da parte di Bayer, per un valore di 66 miliardi di dollari che darà vita al più grande gruppo mondiale nel campo delle sementi e dei fertilizzanti agricoli.
“L’acquisizione di Monsanto rappresenta una pietra miliare strategica per rafforzare il nostro portafoglio di aziende leader nel campo della salute e della nutrizione”, commenta Werner Baumann (nella foto), presidente di Bayer, come riportato da Repubblica. “Raddoppieremo le dimensioni della nostra attività agricola e creeremo un motore di innovazione leader nell’agricoltura, posizionandoci per servire meglio i nostri clienti e sbloccare il potenziale di crescita a lungo termine nel settore”.
Nei giorni scorsi, dopo l’Europa, anche gli Stati Uniti hanno dato il via libera alle nozze. Il Dipartimento alla giustizia di Washington ha dettato nuove condizioni oltre a quelle già imposte da Bruxelles: alcune attività nei semi e alcune linee di prodotti sono state cedute alla Basf per 7 miliardi, si dovrebbe poi procedere anche al ridimensionamento di parte del business dell’agricoltura digitale. Con questi tasselli sistemati, il “matrimonio infernale” – come lo chamano gli ambientalisti contrarissimi all’operazione – può andare in porto. Denuncia ad esempio la Coldiretti: “Con l’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, dopo la fusione tra DuPont e Dow Chemical e l’acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina, il 63% del mercato delle sementi e il 75% di quello degli agrofarmaci è concentrato nelle mani di sole tre multinazionali con un evidente squilibrio di potere contrattuale nei confronti degli agricoltori”.
Bayer fa ovviamente valutazioni diverse: dall’acquisizione prevede già un contributo positivo all’utile di base per azione a partire dal 2019. Dal 2021 in poi, il beneficio dovrebbe essere in percentuale a due cifre.
(fonte: Repubblica, Il Sole24Ore)