“CHILOMETRO ZERO”, È FESSO CHI CI CREDE

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Ringrazio quanti mi hanno telefonato o scritto via mail per congratularsi per il commento di ieri qui sul sito del Corriere Ortofrutticolo (“Basta col km zero, voglio le arance a chilometri mille!”). Quando si scrivono queste cose, così un po’ di getto, l’impressione è che sia come far saltare un tappo, aprire un vaso di pandora di rancori e malumori repressi a lungo e che finalmente si sfogano.

Ormai il “km zero” è come la festa di Halloween: è fesso chi ci crede (tranne i bambini, per carità). E’ uno slogan che ha trovato facile presa nel conformismo della pubblica opinione e di un giornalismo che, soprattutto attraverso la televisione, rilancia slogan e ovvietà come i pappagalli, senza chiedersi mai ragione di nulla o approfondire quello che si dice. Le mode sono così, le assumiamo come certe medicine, senza pensarci. Ma basta un attimo di riflessione e cadono i veli.

Pensate ad altri trend modaioli: l’equo e solidale, la cucina etnica o anche crossover, cioè frutto di contaminazioni. Più “km mille o diecimila” di questi, col cacao che arriva dal Sudamerica o le spezie dai Caraibi o certi ortaggi dall’Africa….Insomma niente di personale con chi coltiva l’orto e cucina solo gli ortaggi di sua produzione, o chi gusta solo la frutta che coltiva, anzi. Ma evocare il “km zero” come ricetta salvifica per il nostro agroalimentare è veramente ridicolo. Vediamolo per quello che è: una scelta di vita per alcuni (pochi), uno slogan commerciale per altri (in assenza di controlli). PS Suggerisco la lettura del libro “Storia commestibile dell’umanità” di Tom Standage (Codice Edizioni) per chi vuole documentarsi sul “calderone globale dei cibi”. Un antidoto alle troppe banalità in circolazione.

Lorenzo Frassoldati

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