“Per noi è una grande opportunità; la nostra superficie a vocazione agricola è di 24 milioni di ettari ma di questi ne utilizziamo solo 7, cosicché ci troviamo ad importare circa il 30% di quello che consumiamo. In particolare parlando di ortofrutta, a fronte dei 9 milioni di tonnellate prodotti ne acquistiamo oltre 350 mila tons. Con l’Italia possiamo fare un grande lavoro di squadra, coniugando i nostri incentivi e le nostre terre alle vostre tecnologie innovative”. Commenta così l’ambasciatore della Colombia Juan Mesa Zuleta (nella foto) la partecipazione al Macfrut 2018 in qualità di Paese partner, durante la conferenza stampa di presentazione della kermesse tenutasi ieri a Roma (leggi news).
I presupposti per incrementare la produzione agricola del Paese sudamericano sono buoni; il governo locale considera il primo settore un pilastro fondamentale per lo sviluppo economico-sociale e sta implementando un piano ad hoc – Colombia Siembra – per la messa in produzione di un milione di ettari supplementari.
Un processo in atto da alcuni anni che mostra già i primi risultati: tra il 2010 e il 2016 la produzione agricola nazionale è aumentata del 23%. Nel 2016, di quei circa 9 milioni di tonnellate di ortofrutta citatati da Zuleta, 2.005.787 tonnellate erano di banane, 755.471 di ananas, 335.877 di avocado e 281.980 di mango. Ma la Colombia vanta anche una grande varietà di frutti tropicali molto ricercati nel mercato internazionale. Tra questi sono importanti le produzioni di pomodori da albero, specialità colombiana dal colore rosato e con un sapore che ricorda quello del kiwi di cui nel 2016 sono state prodotte 186.032 tonnellate, la papaya (172.391 tonnellate), la passiflora (170.628 tonnellate), il lime (136.505 tonnellate), l’Annona Muricata o guanabàna (40.038 tonnellate), l’alchechengio peruviano o uciuva (17.685 tonnellate) e la pitaya (10.621 tonnellate).
Instaurare rapporti Italia-Colombia potrebbe essere un’opportunità vantaggiosa per entrambe le parti. Dato il clima e le terre ricche di sostanze nutritive, la Colombia offre frutta e verdura 365 giorni l’anno; anche con certificazione biologica, HACCP, ISO, BCR, GlobalGap e Fairtrade. L’Italia per contro potrebbe riempire alcuni gap esistenti, fornendo macchinari per i trattamenti fitosanitari (per facilitare l’accesso in Ue di frutta come papaya, pitaya etc.), o investendo nella costruzione di centri di raccolta in loco idonei alla selezione della frutta destinata all’export, o ancora realizzando impianti con linee di surgelazione rapida individuale (IQF) per permettere l’accesso dei prodotti in paesi con i quali non esistono accordi commerciali. Alleanze strategiche infine potrebbero nascere tra i produttori colombiani e gli investitori nostrani in grado di portare tecnologie, know how e macchinari a fine di sviluppare nuovi progetti insieme.
Per sondare il terreno, lo scorso marzo il presidente del Macfrut Renzo Piraccini, Mauro Camicia dell’Istituto Italo-latinoamericano e il presidente di Cermac Enrico Turoni sono andati in missione a Bogotà; quello che hanno trovato è un Paese stabile con un’economia mediamente in crescita tra l’1 e il 2% annui. Il settore ortofrutticolo è in forte sviluppo ma – come detto – necessita di tecnologie e packaging per elevare i propri standard produttivi e accrescere la competitività delle proprie esportazioni.
Chiara Brandi