Se l’eterno tallone d’Achille, la incurabile debolezza strutturale del nostro sistema agroalimentare è la frammentazione, l’armata Brancaleone di sigle e siglette, la rappresentanza frantumata fra protagonisti storici e comprimari in cerca di uno strapuntino, non c’è dubbio che la nascita di Agrinsieme, il nuovo soggetto unitario di rappresentanza per le imprese e le cooperative agricole di Confagricoltura, Cia e ACI, è una buona notizia che ‘fa bene’ al sistema.
E non c’è dubbio che oggi non ci sarebbe Agrinsieme se prima non fosse sorta ACI, cioè l’alleanza tra centrali cooperative che nel settore agricolo è già una realtà operativa grazie alla presidenza e all’attivismo di Maurizio Gardini. L’unico punto debole, dicono i commentatori, è l’assenza di Coldiretti, meglio “l’autoesclusione” della confederazione di Sergio Marini.
Il fatto che Coldiretti “corra da sola” non è una novità, la notizia sarebbe stata che avesse aderito all’iniziativa unitaria. La corsa solitaria di Coldiretti sarebbe da attribuire ancora una volta al differente progetto, quello di una “filiera agricola tutta italiana”.
Progetto conflittuale con quello degli altri? Non mi sembra. Non credo che Cia, Confagricoltura e Aci perseguano il progetto di una filiera agricola “straniera” o “parzialmente italiana”. Anzi dentro Agrinsieme ci sono le cooperative che sono i primi testimonial della filiera agricola nazionale (trasformano all’85% il prodotto conferito) e che vedono come soci tantissime imprese aderenti a Coldiretti.
Altri motivi di disaccordo: il mercato globale? La necessità di aggregarsi per avere più dimensioni ed esportare di più? Credo che in Coldiretti siano i primi a rendersi conto che senza export non andiamo da nessuna parte e che produrre local per vendere global è non solo la nostra mission ma il nostro imperativo categorico per sopravvivere. Allora? I farmer market, la vendita diretta? Ma quelli li fanno tutti, l’unica differenza è la massiccia campagna mediatica che Coldiretti ci costruisce sopra.
La conclusione è una sola: tra Coldiretti e “il resto del mondo” non ci sono differenze sostanziali, progetti antagonisti. C’è solo volontà di differenziarsi, di fidelizzare le proprie truppe, di far sventolare le proprie bandiere. A ben vedere anche questa è campagna mediatica, è comunicazione. Accentuare le differenze per raccogliere consensi. Tutto qui.
Lorenzo Frassoldati
Direttore del Corriere Ortofrutticolo
lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it
COSA DIVIDE COLDIRETTI DAL “RESTO DEL MONDO”
Se l’eterno tallone d’Achille, la incurabile debolezza strutturale del nostro sistema agroalimentare è la frammentazione, l’armata Brancaleone di sigle e siglette, la rappresentanza frantumata fra protagonisti storici e comprimari in cerca di uno strapuntino, non c’è dubbio che la nascita di Agrinsieme, il nuovo soggetto unitario di rappresentanza per le imprese e le cooperative agricole di Confagricoltura, Cia e ACI, è una buona notizia che ‘fa bene’ al sistema.
E non c’è dubbio che oggi non ci sarebbe Agrinsieme se prima non fosse sorta ACI, cioè l’alleanza tra centrali cooperative che nel settore agricolo è già una realtà operativa grazie alla presidenza e all’attivismo di Maurizio Gardini. L’unico punto debole, dicono i commentatori, è l’assenza di Coldiretti, meglio “l’autoesclusione” della confederazione di Sergio Marini.
Il fatto che Coldiretti “corra da sola” non è una novità, la notizia sarebbe stata che avesse aderito all’iniziativa unitaria. La corsa solitaria di Coldiretti sarebbe da attribuire ancora una volta al differente progetto, quello di una “filiera agricola tutta italiana”.
Progetto conflittuale con quello degli altri? Non mi sembra. Non credo che Cia, Confagricoltura e Aci perseguano il progetto di una filiera agricola “straniera” o “parzialmente italiana”. Anzi dentro Agrinsieme ci sono le cooperative che sono i primi testimonial della filiera agricola nazionale (trasformano all’85% il prodotto conferito) e che vedono come soci tantissime imprese aderenti a Coldiretti.
Altri motivi di disaccordo: il mercato globale? La necessità di aggregarsi per avere più dimensioni ed esportare di più? Credo che in Coldiretti siano i primi a rendersi conto che senza export non andiamo da nessuna parte e che produrre local per vendere global è non solo la nostra mission ma il nostro imperativo categorico per sopravvivere. Allora? I farmer market, la vendita diretta? Ma quelli li fanno tutti, l’unica differenza è la massiccia campagna mediatica che Coldiretti ci costruisce sopra.
La conclusione è una sola: tra Coldiretti e “il resto del mondo” non ci sono differenze sostanziali, progetti antagonisti. C’è solo volontà di differenziarsi, di fidelizzare le proprie truppe, di far sventolare le proprie bandiere. A ben vedere anche questa è campagna mediatica, è comunicazione. Accentuare le differenze per raccogliere consensi. Tutto qui.
Lorenzo Frassoldati
Direttore del Corriere Ortofrutticolo
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