Sono in tanti gli imprenditori agricoli siciliani che in questi ultimi anni di siccità lamentano il fatto di non potere più utilizzare le acque prelevate dai pozzi. Il perchè è facile da intuire e le analisi chimiche poi lo dimostrano: presentano un’eccessiva presenza di solidi solubili a cui corrisponde un valore di conducibilità elettrica incompatibile con gran parte delle colture agrarie. Il fenomeno nelle zone marine si presenta con maggiore frequenza dopo la grave siccità che ha colpito la Sicilia negli ultimi due anni. Il motivo? A seguito dei maggiori prelievi, la falda freatica si è abbassata permettendo così l’intrusione della falda marina. Un fenomeno che purtroppo è irreversibile e mette a rischio buona parte delle colture irrigue vicine alle coste. Quelle più a rischio sono le ortive e gli agrumi. “Ma ci sono anche aree interne dell’Isola dove dai pozzi esce acqua con elevata salinità”, ha avvertito Antonio Cancelliere, ordinario di Idraulica agraria del dipartimento di Agricoltura dell’Università di Catania, intervenendo alla giornata di campagna sul progetto “Idro” (Irrigazione, Depurazione, Recupero, Opportunità) del Distretto produttivo Agrumi di Sicilia che si è svolta al “Golf Resort Madonie” di Collesano in provincia di Palermo.
Il progetto, l’ultimo di una lunga serie sul tema dell’irrigazione e del risparmio idrico in agrumicoltura realizzato dal Distretto Agrumi di Sicilia con il sostegno ormai decennale di Coca-Cola Foundation, ha coinvolto i dipartimenti Dicar (Ingegneria e Archiettura) e Di3a (ex Facoltà di Agraria) dell’Università di Catania e riguarda il potenziale uso dell’acqua desalinizzata con il processo dell’osmosi inversa. In campo, per dimostrare a tecnici e agricoltori come funziona, un impianto portatile costruito da un’azienda di Gela che ha già rifornito alcune aziende orticole del litorale Sud della Sicilia.
“Il Distretto – ha spiegato la presidente Federica Argentati – da anni è impegnato nel cercare di dare agli imprenditori e tecnici della filiera esempi di soluzioni innovative che possano aiutare a comprendere pro e contro e portare a scelte consapevoli ed efficaci. Il progetto Idro segna un‘altra tappa di questo processo virtuoso”.
La tecnologia della desalinizzazione è ormai matura, ma perché possa diventare tecnica diffusa ci sono da sciogliere alcuni nodi. Il primo riguarda i costi, soprattutto quelli di gestione: l’impianto è energivoro e per evitare ulteriori aggravi di costo, i tecnici suggeriscono di alimentarlo con un impianto fotovoltaico o agrifotovoltaico. Sui costi dell’investimento potrebbe viene incontro la misura 5.1 del Psr Sicilia e l’auspicabile riproposizione nella programmazione della nuova tornata dei fondi comunitari. Poi c’è la necessità di normare chiaramente la destinazione della salamoia residua – la soluzione acquosa dove si concentrano i sali a seguito dell’osmosi inversa – che oggi viene considerata un rifiuto speciale da smaltire non si sa bene come. “In una logica di economia circolare – ha proposto Cancelliere – dalla salamoia, per evaporazione, si potrebbero ottenere sali di vario tipo con destinazioni diverse”.
In ogni caso, la desalinizzazione è da considerare una scelta estrema che può affiancarsi ad altre scelte aziendali in campo irriguo e mirate alla riduzione dei consumi. “Impiegato in condizioni di emergenza come quelle verificatesi l’anno scorso, un impianto di trattamento di questo tipo avrebbe consentito di aiutare e supportare la produzione, tenendo in considerazione ovviamente l’impatto in termini energetici per l’azienda”, ha sottolineato Cancelliere.
Altra risorsa da non trascurare sono le acque depurate. “Ma su queste, che rappresentano una risorsa importante, gravano alcuni fattori ritardanti”, ha spiegato Alessia Marzo, ricercatrice di Idraulica Agraria presso il Dipartimento Di3A dell’Università di Catania. “In primo luogo – ha spiegato la ricercatrice etnea – c’è la resistenza da parte di agricoltori e soprattutto dei consumatori che non apprezzano ancora i vantaggi di questa forma di economia circolare. E poi la mancanza di infrastrutture, cioè delle condotte che devono portare l’acqua dai depuratori ai punti di utilizzo che devono essere separate da quelle in cui viene convogliata l’acqua di diversa origine”.
C’è poi da dire che molti depuratori comunali o consortili sono di vecchia generazione e non sono stati progettati per produrre un effluente utilizzabile in agricoltura. In casi simili, però, è possibile aggiungere alcuni moduli di fitodepurazione per ottenere acqua adatta all’uso irriguo. Servono però spazi ampi da destinare ai bacini di trattamento.
Una parte della mattina è stata infine dedicata all’illustrazione delle tecniche di irrigazione mirate attraverso l’utilizzo di droni. “Questo tipo di tecnologia – ha spiegato Cancelliere – ci consente di rilevare situazioni di stress idrico in anticipo. Monitorando lo stress idrico siamo in grado di capire, per esempio, quando andare a irrigare e quanto irrigare, evitando così sprechi di risorse idriche e potenziali danni alle piante o alle colture”.
Angela Sciortino