Il lavoro svolto in Francia sulla creazione di valore aggiunto per le produzioni ortofrutticole, ha determinato un aumento delle cifre di affari che però non è parallelo al rispettivo aumento dei consumi. Crescono entrambi (volumi +0,5%; valore +5,2%) ma in sostanza i francesi comprano, in proporzione, meno frutta pagandola di più anche per via, da un lato, della riduzione degli areali e, dall’altro, degli elevati standard qualitativi imposti dalle stringenti normative nazionali. Sul fronte produttivo, in sostanza, stiamo assistendo ad una specializzazione delle imprese agricole francesi.
Nel ripensamento delle politiche agroalimentari del Paese il livello qualitativo raggiunto per le produzioni rappresenta un fulcro dal quale ripartire.
“Il know-how raggiunto – spiega Bruno Dupont (nella foto), presidente di Interfel, l’interprofessione ortofrutticola francese, la più antica e meglio organizzata in Europa – è un patrimonio culturale che merita di essere sostenuto, anche politicamente, per potere trovare un proprio posto sul mercato globale. Anche su questa direttrice si sta ridisegnando la politica di export francese. D’altro canto è anche vero che il modello organizzativo agroalimentare francese che potrebbe essere assimilato su scala europea per ridisegnare tutto il settore primario dell’Unione”.
Presidente Dupont, quali sono i cambiamenti del mercato che hanno portato il settore primario a chiedere l’intervento del governo dopo decenni di attività con un modello organizzativo basato proprio sulla mancanza di un supporto pubblico?
“Non c’è un nesso di causa ed effetto – spiega Dupont – tra la presenza nel Paese di un’interprofessione forte e la mancanza di aiuti ministeriali. È vero che Interfel non ha mai aspettato aiuti dall’alto ma è anche vero che oggi le condizioni del mercato globale sono mutate. La Francia che vuole aprire nuovi mercati non lo fa per vendere un prodotto singolo ma per vendere know-how, savoir faire. Per dirla con una parola: cultura francese. Da più parti si chiede al ministero dell’Economia di essere più incisivo sui mercati esteri e di introdurre politiche pubbliche di export”.
Che cosa intende?
“Pensi all’accordo bilaterale con il Vietnam concluso l’anno scorso. L’apertura degli scambi non si rivolge ad un prodotto in particolare ma prevede anche la formazione, ad esempio, degli operatori vietnamiti, come ad esempio, i grossisti, o anche dei consumatori. La liberalizzazione degli scambi ha una matrice di tipo culturale. L’obiettivo è esportare cultura agroalimentare. Questo processo ha bisogno dell’appoggio ministeriale. In questo senso anche la commissione export adesso ha anche cambiato nome e si chiama Commissione internazionale”.
Quale sarà il prossimo passo dell’Interprofessione dopo l’assist annunciato dal presidente francese Emmanuel Macron nel suo primo bilancio sugli Stati Generali dell’Alimentazione?
“A Fruit Attraction di Madrid incontreremo le altre interprofessioni europee con le quali il dialogo è aperto dal 2012. L’obiettivo dei nostri incontri è la possibilità di essere delle entità forti a livello europeo per il nostro ambito di competenza e lasciando sempre il mercato ai mercati”.
L’interprofessione francese può avere un ruolo nel rafforzamento delle altre omologhe organizzazioni europee?
“Penso di si, perché attraverso il dialogo con i nostri colleghi possiamo lavorare per esportare il nostro modello riconosciuto a livello europeo. Certo le specificità dei singoli Paesi hanno un loro peso. Basti pensare, ad esempio, che in Spagna la Gdo non siede al tavolo interprofessionale a differenza di Francia e Italia”.
Quali novità emergono sul fronte produttivo francese in questo quadro in mutazione?
“Stiamo studiando nuove varietà di mele, pere, ad esempio, o anche drupacee che rispondano ai requisiti di gusto e resistenza sia alle fitopatologie che al trasporto su lunghe distanze”.
Come si coniugano gli obiettivi di export con la riduzione degli areali coltivati che si registra nel Paese?
“Non c’è una vera e propria volontà di ridurre gli areali ma è una tendenza in corso. Puntiamo ad un export che, a fronte di volumi inferiori, sia in grado di proporre sul mercato globale prodotti di primissima qualità garantiti dagli standard produttivi francesi che sono più stringenti di quelli definiti dalle norme europee. Vogliamo affermare nell’immaginario del consumatore l’idea che il prodotto francese voglia dire fiducia”.
Mariangela Latella