Sui mezzi di informazione fa notizia l’allarmismo, il terrorismo, non il buonismo. E’ la vecchia storia dell’uomo che morde il cane, e non viceversa. Quindi è quasi naturale che l’Espresso lanci un’inchiesta “Troppa chimica nel piatto” (leggi news). Sottotitolo: “Mele lucidate. Prugne tirate a cera. Peperoni patinati e pomodori tutti uguali.
Trattate per essere belle e sempre fresche, frutta e verdura perdono naturalezza”. I giornali non sono interessati alla normalità delle cose buone che mangiamo, ma alla eccezionalità dei potenziali scandali alimentari. Non fanno titoli sull’ortofrutta che costa poco, ma sulle “zucchine d’oro” a gennaio. Per fortuna nell’inchiesta dell’Espresso c’era una voce professionale quella di Marco Hrobat, direttore dell’Ortomercato di Brescia, che introduceva valutazioni e spiegazioni di buon senso nel tentativo di mettere un argine alla valanga di luoghi comuni elencati dal giornalista dell’Espresso.
Inevitabile che comunque il tono complessivo dell’articolo alla fine diventi negativo per il settore dell’ortofrutta e faccia capire perché i consumi stiano irrimediabilmente calando nel nostro Paese (e in Europa): perché l’atteggiamento dei media è proprio questo. Allarmistico, ansiogeno: attenzione, il nostro piatto è pieno di veleni…
In conclusione due valutazioni. Sarebbe curioso fare una prova al contrario: proporre in vendita ortofrutta brutta, ammaccata, surmatura, di varie pezzature alla rinfusa, non trattata né in campo né successivamente; e vedere cosa succede, quali sono le reazioni presso il consumatore.
Cioè proporgli frutta e verdura di pessimo aspetto e magari spiegargli che deve spendere di più proprio perché non è trattata, perché è più ‘naturale’. Sarebbe una bella sfida, no? E cosa direbbero le onnipresenti associazioni dei consumatori? Direbbero che è giusto far pagare di più?
Infine è poi inutile prendersela con i media: veniamo da anni di silenzio-stampa da parte degli attori del settore ortofrutta, che mai hanno replicato alle accuse, mai hanno contrastato le campagne diffamatorie, hanno persino tollerato senza replicare che l’ortofrutta finisse sul banco degli accusati addirittura come responsabile del caro-prezzi… anche quando in campagna si liquidava la frutta a pochi centesimi. Bisogna recuperare il tempo perduto e anche qui bisogna fare squadra, servono azioni di sistema, perché servono molti soldi. L’immagine dell’ortofrutta italiana ha bisogno di un radicale make-up: parliamo sempre di leadership. Vogliamo dimostrarla nei fatti?
Lorenzo Frassoldati
lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it
Copyright CorriereOrtofrutticolo.it su testo, utilizzabile solo citando la fonte: www.corriereortofrutticolo.it
IL TERRORISMO DELL’ESPRESSO E LE COLPE DEL SISTEMA ORTOFRUTTA
Sui mezzi di informazione fa notizia l’allarmismo, il terrorismo, non il buonismo. E’ la vecchia storia dell’uomo che morde il cane, e non viceversa. Quindi è quasi naturale che l’Espresso lanci un’inchiesta “Troppa chimica nel piatto” (leggi news). Sottotitolo: “Mele lucidate. Prugne tirate a cera. Peperoni patinati e pomodori tutti uguali.
Trattate per essere belle e sempre fresche, frutta e verdura perdono naturalezza”. I giornali non sono interessati alla normalità delle cose buone che mangiamo, ma alla eccezionalità dei potenziali scandali alimentari. Non fanno titoli sull’ortofrutta che costa poco, ma sulle “zucchine d’oro” a gennaio. Per fortuna nell’inchiesta dell’Espresso c’era una voce professionale quella di Marco Hrobat, direttore dell’Ortomercato di Brescia, che introduceva valutazioni e spiegazioni di buon senso nel tentativo di mettere un argine alla valanga di luoghi comuni elencati dal giornalista dell’Espresso.
Inevitabile che comunque il tono complessivo dell’articolo alla fine diventi negativo per il settore dell’ortofrutta e faccia capire perché i consumi stiano irrimediabilmente calando nel nostro Paese (e in Europa): perché l’atteggiamento dei media è proprio questo. Allarmistico, ansiogeno: attenzione, il nostro piatto è pieno di veleni…
In conclusione due valutazioni. Sarebbe curioso fare una prova al contrario: proporre in vendita ortofrutta brutta, ammaccata, surmatura, di varie pezzature alla rinfusa, non trattata né in campo né successivamente; e vedere cosa succede, quali sono le reazioni presso il consumatore.
Cioè proporgli frutta e verdura di pessimo aspetto e magari spiegargli che deve spendere di più proprio perché non è trattata, perché è più ‘naturale’. Sarebbe una bella sfida, no? E cosa direbbero le onnipresenti associazioni dei consumatori? Direbbero che è giusto far pagare di più?
Infine è poi inutile prendersela con i media: veniamo da anni di silenzio-stampa da parte degli attori del settore ortofrutta, che mai hanno replicato alle accuse, mai hanno contrastato le campagne diffamatorie, hanno persino tollerato senza replicare che l’ortofrutta finisse sul banco degli accusati addirittura come responsabile del caro-prezzi… anche quando in campagna si liquidava la frutta a pochi centesimi. Bisogna recuperare il tempo perduto e anche qui bisogna fare squadra, servono azioni di sistema, perché servono molti soldi. L’immagine dell’ortofrutta italiana ha bisogno di un radicale make-up: parliamo sempre di leadership. Vogliamo dimostrarla nei fatti?
Lorenzo Frassoldati
lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it
Copyright CorriereOrtofrutticolo.it su testo, utilizzabile solo citando la fonte: www.corriereortofrutticolo.it
LA SPREMUTA DEL DIRETTORE
L'ASSAGGIO
Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana
Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!