Andrea Badursi / presidente OP Asso Fruit Italia

I freni allo sviluppo. Il livello dell’aggregazione in Italia, soprattutto al Sud, ma non solo, è ancora basso. Serve uno sforzo maggiore per aumentarlo. Una scarsa aggregazione incide sulla capacità di utilizzo dei fondi comunitari, che non è poco. Serve poi accelerare sulla sostenibilità, l’innovazione, il miglioramento qualitativo delle produzioni, sfide che comportano un lavoro di squadra da parte di tutti gli attori della filiera.
Ilenio Bastoni / manager Greenyard Fresh Italy

I freni allo sviluppo. Aziende agricole di piccole-medie superfici; frammentazione dell’offerta, con le relative difficoltà a fornire i big della distribuzione internazionale in termini di volumi e standard qualitativi; fattori di costo di produzione non competitivi; limitati investimenti pubblici e privati in ricerca, sperimentazione e innovazione; poca propensione del mondo agricolo a fare sistema. Siamo frenati da questo.
Simone Bernardi / presidente OP Lagnasco Group

I freni allo sviluppo. Riguardano aspetti tecnologici, manageriali e di approccio al mercato inteso come comunicazione e marketing. La cosiddetta agricoltura 4.0 si sta concentrando prevalentemente sulla gestione del prodotto e non sulla gestione del mercato. E un numero importante di aziende subisce o contrasta la transizione al digitale. Il settore ha il prodotto come centro del proprio business e non riesce, nella maggior parte dei casi, a fare il salto da “prodotto centrico” a “cliente centrico”. Questo passaggio è ancora trascurato in aziende dove si pensa, ad esempio, che una tipologia di prodotto possa servire per tutti i canali commerciali. Nelle aziende più piccole il livello di managerialità risulta insufficiente alle sfide lanciate dai mercati. La formazione continua viene spesso vista come un peso.
Giuseppe Calcagni / presidente onorario Besana

I freni allo sviluppo. Abbiamo bisogno di una logistica più efficiente e dobbiamo avere il coraggio di andare all’estero.
Simona Caselli / presidente AREFLH

I freni allo sviluppo. Credo che i principali problemi, noti da tempo e mai affrontati adeguatamente, siano tre. Insufficiente aggregazione e programmazione: ancora troppa produzione arriva sul mercato in modo disorganizzato e questo impedisce un’attenta pianificazione dell’offerta e comporta un insufficiente potere contrattuale dei troppi offerenti su un mercato in cui gli acquirenti sono invece estremamente concentrati (GDO e grossisti). Barriere commerciali: il nostro Paese sconta uno svantaggio, rispetto ad altri competitor europei, a causa del minor numero di Paesi extra UE con cui l’Italia ha raggiunto accordi fitosanitari. Serve un netto cambio di passo da parte del governo sul tema, perché è ingiusto che i nostri prodotti non abbiano accesso a mercati che invece sono aperti da anni, ad esempio, alla Spagna e alla Francia. Logistica non sufficientemente competitiva: servono investimenti sui trasporti combinati e sui porti ai fini di aumentare il traffico e ridurre i costi di spedizione, oggi comparativamente più alti per i nostri produttori. Il cambiamento climatico ha aggiunto a questi fattori critici anche quello relativo a maggiori problemi produttivi dovuti a fenomeni atmosferici estremi, nuove fitopatie ed insetti esotici nocivi.

I freni allo sviluppo. Tre fattori strutturali: l’estrema frammentazione dell’offerta agricola, con conseguente ricaduta sulla perdita di competitività; mancanza di una politica agraria di lungo termine in grado di incidere efficacemente sulle disfunzioni del comparto; una classe dirigente e politica non sempre in grado di esprimere la necessaria conoscenza e sensibilità sulle reali problematiche del comparto.