La Regione Calabria dichiara guerra al caporalato. A seguito dell’omicidio del migrante maliano Sacko Soumayla, uno dei diecimila lavoratori sfruttati nella baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno, l’ennesimo episodio di una tragedia che si consuma quotidianamente sotto gli occhi di tutti, il delegato regionale all’agricoltura, Mauro D’Acri, ha dato il via libera ad una cabina di regia regionale per il monitoraggio del lavoro sui campi.
Intanto, la settimana prossima sarà inaugurata a Reggio Calabria, la seconda sezione italiana della rete di lavoro di qualità (dopo la pioniera di Foggia), prevista dall’art. 8 della legge 199 del 2016 (legge anti-caporalato) mentre, contemporaneamente, gli operatori calabresi, stanno iniziando a ragionare sulla creazione di una certificazione anti-caporalato per le imprese virtuose.
Tutte queste novità sono emerse nel corso del convegno che si è tenuto nella sede dell’autorità portuale di Corigliano Calabro dal titolo ‘Contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura (caporalato)’ organizzato dalla Regione Calabria e da Arsac, l’Agenzia regionale per lo sviluppo dell’agricoltura calabrese.
“I tempi sono maturi – ha affermato D’Acri rivolgendosi alle associazioni di categoria presenti – per formalizzare una cabina di regia regionale o un tavolo di lavoro, che raccolga tutte le parti interessate al fine di costituire uno strumento di monitoraggio del lavoro sui campi”.
Secondo Davide Colace, di Arsac, “in Italia sono circa 700mila i braccianti schiavi secondo quanto emerso dalle operazioni giudiziarie. In Calabria, solo nel 2017 sono state 36 ed hanno fotografato una realtà impietosa. Compensi come un euro a cassetta o due euro al giorno, senza nessun diritto ad acqua durante le ore di lavoro o alle più elementari condizioni igieniche”.
Il rapporto 2016 sulle agromafie registrava circa 430mila sfruttati in agricoltura ma se si guarda all’Europa il dato sale a 2,5 milioni di schiavi che determinano un giro d’affari, per l’economia sommersa, di 2,5 miliardi di euro all’anno.
“Il fenomeno purtroppo c’è e va contrastato con tutte le forze – ha precisato il coriglianese Nicola Cilento, vicepresidente di Confagricoltura -. Tuttavia occorre fare delle precisazioni onde evitare che il nostro settore e soprattutto la nostra regione ne escano con le ossa rotte. Lo sfruttamento non esiste solo in agricoltura e non esiste solo in Calabria. Anzi qui abbiamo anche tanti prodotti di qualità e tanti imprenditori per bene che con grande sacrificio provano a stare sul mercato globale che per la Calabria è ancora lontano. Non abbiamo la banda larga e ci sono gravi difficoltà logistiche e di collegamento. Confagricoltura fa e farà la sua parte per debellare questa piaga ma non vorrei che diventasse una scusa per una criminalizzazione a priori, il presupposto per un fantomatico bollino Igm, ossia di ‘indicazione geografica mafiosa’ che penalizza i tanti che fanno le cose in regola”.

Nella giornata di lavoro ha iniziato a prendere forma la possibilità di una certificazione regionale ‘anti-caporalato’ che possa costituire un incentivo per le aziende più virtuose. “Fino ad oggi – ha precisato Francesco Cufari, presidente dell’ordine degli agronomi di Cosenza – è sempre stata una certificazione si base volontaria ma si potrebbe iniziare a ragionare sulla costituzione di una rete di aziende più virtuose”.
Coglie la palla al balzo Cia che – nel quadro della costituzione della rete nazionale del lavoro di qualità voluta dalla legge anti-caporalato – inaugurerà a Reggio Calabria, la settimana prossima, la seconda sezione provinciale nazionale dopo la pioniera di Foggia. “Fino ad oggi – ha precisato Danilo De Lellis di Cia Calabria nonché membro della cabina di regia nazionale – su oltre 200mila aziende solo 4mila fanno parte della rete del lavoro di qualità. La principale difficoltà deriva dal fatto che la Gdo rivendica margini maggiori per le aziende più virtuose. Questo ci crea difficoltà nella conclusione delle convenzioni con le aziende private. Tra le attività all’ordine del giorno della neonata sezione reggina si potrebbero prendere in considerazione lo studio di una certificazione regionale anti-caporalato”.
Un punto su cui è possibilista anche Cilento: “Se ne può discutere tenendo presente, però, che non deve essere un modo per burocratizzare un problema solo per lavarsene le mani. Oggi gli organi di controllo hanno già tutti gli strumenti per capire dove si lavora nell’illegalità. Si pensi alle banche dati di Inps, Agea, Arcea, alle dichiarazioni trimestrali delle aziende o ai dati dei conferimenti alle Op”.
“Bisogna agire senza avere paura – ha ribadito Pietro Molinaro, presidente di Coldiretti Calabria e con la consapevolezza che queste informazioni al consumatore integrano quelle complessive sul prodotto per creare valore aggiunto. Serve uno strumento regionale che misuri più equamente il prezzo al produttore e en potrebbe essere una delibera di giunta che imponga ai canali distributivi, delle soglie di acquisto e il divieto assoluto di non scendere al di sotto dei costi di produzione”.
Mariangela Latella