LA RICETTA DI BILL GATES E L’AUMENTO DELLE MATERIE PRIME CHE SI ABBATTE ANCHE SULL’ORTOFRUTTA

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Anche Bill Gates, il guru di Microsoft, bontà sua, se n’è accorto: “Quando le piccole aziende agricole falliscono, l’intera economia fallisce, il che porta a più povertà, più fame e più difficoltà. Ecco perché è così importante rendere l’agricoltura più resiliente”.
Che fare? “Abbiamo bisogno – dice sempre Gates – di innovazioni come colture che resistano a siccità, malattie, parassiti ed erbacce. Strumenti digitali che forniscano all’agricoltore le informazioni di cui ha bisogno per adeguarsi a condizioni mutevoli. Strumenti finanziari, dall’assicurazione al credito, per proteggere gli agricoltori dalle perdite catastrofiche”.
Come forse sapete, Gates è accusato dai ‘complottisti’ e dai ‘negazionisti’ del virus di essere tra i super-ricchi che vogliono tenere in scacco il mondo con il terrore della pandemia globale. Stiamo però a quello che dice sull’agricoltura, perché si coniuga perfettamente con quello che sta succedendo in ortofrutta. Il tema è sempre quello dei prezzi, del valore del prodotto. La pandemia ha fatto esplodere i consumi nel primo semestre 2020, consumi che poi si sono raffreddati nel corso degli ultimi sei mesi, facendo chiudere l’anno in negativo. Alcuni settori hanno fatto più volumi (arance, limoni, patate)  ma i prezzi sono decollati al dettaglio, non all’origine. E tuttora i prezzi (al dettaglio) restano alti (il che spiega perché i consumi calano, soprattutto della frutta). La marginalità (all’origine, in campagna) è calante come è stato dimostrato – dati alla mano – dal nostro Claudio Scalise nel corso di uno dei webinar sulla Farm2Fork dello scorso autunno. Nel confronto Italia-Spagna, le aziende iberiche ci umiliano con una marginalità  doppia in frutticoltura e quasi doppia in orticoltura. Sorprende vedere che la Spagna tra il 2016 e il 2017 ha recuperato quasi 28 punti percentuali di utile netto nella produzione di frutta e noi appena 7. E poi ci chiediamo perché continuiamo a perdere ettari su ettari di  frutteti specializzati…
Quando si dice che perdiamo competitività, quando assistiamo un po’ stupiti alla fuga in avanti della Spagna che fa tre-quattro volte l’export italiano, di questo si parla, dei margini che per gli spagnoli aumentano e che noi stiamo perdendo.
Adesso, a buttare benzina sul fuoco, arriva  un fenomeno nuovo, globale: l’aumento delle materie prime, dal legno alla gomma, al rame, al ferro, al petrolio, per non parlare di mais, soia, grano… E della logistica connessa: noleggiare un container costa tre volte di più da un anno all’altro, anche se il canale di Suez è tornato transitabile.
Sarà speculazione, sarà la Cina che assieme all’America fanno scorte di prodotti e alimentano la fiammata dei prezzi, sta di fatto che il fenomeno lo stiamo subendo tutti, anche chi fa ortofrutta in pieno campo o sotto serra, chi la confeziona, chi la commercializza. L’energia, il gasolio, il legno, le plastiche, le reti, i metalli, i pali per le serre… tutto costa di più, tutto costerà di più, tutto fa aumentare i costi produttivi delle imprese. Tutto concorre a corrodere, a ridurre una marginalità già bassa, a mettere sempre più imprese fuori dal mercato.
Adesso – si dice –  sono in arrivo i fondi del Recovery. Serviranno a invertire la rotta? Possono dare una mano, certamente, se ben utilizzati. La Spagna ha annunciato alla Fepex, la Federazione dei produttori ed esportatori di ortofrutta, un piano per accrescere la già buona competitività del settore: 563 milioni di euro per l’irrigazione per ridurre i consumi idrici e migliorare l’efficienza energetica; e 120 milioni per l’ammodernamento delle serre nell’ottica di una maggiore sostenibilità. Magari sono esempi da seguire. Dentro la transizione ecologica ci stanno. Noi poi abbiamo il problema di riuscire a spenderli questi soldi che riceveremo, perché non mancano gli esempi – soprattutto al Sud – di dissipazione, mala-gestione e sprechi.
Per rendere l’agricoltura più resiliente, per far sopravvivere le imprese agricole  – come auspica Bill Gates – serve vendere a prezzi giusti, cioè più remunerativi. Tutti i tentativi però fatti per  definire ufficialmente il prezzo medio di un prodotto, per riequilibrare la filiera dalla parte agricola,  sono sempre andati a vuoto. E le ansie di chi vorrebbe prezzi calmierati o imposti per decreto (come auspicato ogni tanto da qualche sognatore un po’ fuori dal mondo), sono destinate a essere spazzate via dall’impossibilità pratica di gestione, dalle fluttuazioni del mercato, dalla frammentazione  produttiva, dalle controversie burocratico-legislative, dalle lobby avverse  sempre in agguato. Quindi che fare?
Purtroppo l’unica alternativa resta sempre quella, indicata dal mercato: chi ha in mano il prodotto deve organizzarsi in maniera efficiente per cederlo al miglior prezzo possibile alla controparte. Bisogna uscire dalla frammentazione, dalla disorganizzazione commerciale, fare aggregazione vera, non finta, non sulla carta. L’unico vaccino possibile è creare grandi poli produttivi in grado di condizionare il mercato, mettendo da parte gelosie, rivalità, campanilismi. Qualche esempio c’è, qualcosa si muove. Come comunque questo sia possibile con una rappresentanza del mondo agricolo dove – a tutti i livelli – ognuno va per conto suo, è problema che neppure il grande Bill Gates saprebbe risolvere.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
l.frassoldati@alice.it 

 

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