LA SICILIA VUOLE L’IGP SUL MELONE GIALLETTO. NEL TRAPANESE I PRODUTTORI CI CREDONO

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La Sicilia punta a un melone con indicazione geografica protetta. Dopo alcuni tentativi falliti alcuni anni fa, i produttori del melone “gialletto” ci riprovano. In nove hanno creato un comitato promotore presieduto da un giovane imprenditore, il trentenne Pietro Campo (nella foto) di Alcamo, in provincia di Trapani. Lo affianca un vice, Giovanni Cusenza, produttore di Gibellina (Tp) più maturo ed esperto che da anni si dedica direttamente anche della commercializzazione. Nel comitato promotore del “Melone giallo del Trapanese Igp” ci sono altri sette imprenditori: cinque operano nella provincia di Trapani, due in quella di Palermo. Guidati e animati dal Gal Valle del Belice con il suo direttore Alessandro la Grassa, adesso dovranno scrivere la proposta di disciplinare e individuare l’areale di produzione per quel prodotto che attualmente, oltre a servire il mercato italiano, viene anche esportato in alcuni Paesi europei.

“Il melone giallo prodotto nel nostro comprensorio ha caratteristiche uniche – spiega La Grassa – prima fra tutte la produzione a campo aperto e non in serra, poi le proprietà specifiche dei terreni in collina e del clima che ne consentono la coltivazione da giugno a settembre. Da qui la proposta di tutelare questo prodotto, distinguendolo con marchio Igp da meloni gialli prodotti in altri territori”.
“L’areale di produzione comprenderà tutta la provincia di Trapani e alcuni Comuni del Palermitano limitrofi dove la coltivazione del melone è sempre stata una tradizione”, spiega Pietro Campo, giovane ingegnere ma da sempre orientato all’agricoltura che insieme al padre Vincenzo si dedica alla coltivazione di un centinaio di ettari. Difficile pensare di potere coinvolgere alcuni territori dell’Agrigentino (come Menfi) dove la coltura del melone in pieno campo è entrata negli ordinamenti colturali solo di recente, negli stessi terreni dove la coltura principale è il carciofo.
Nella provincia di Trapani e Palermo, invece, la coltivazione in pieno campo del melone è una tradizione che si tramanda da centinaia di anni. Ci sono testimonianze che fanno risalire la coltivazione al 1600 ma in realtà si è diffusa a partire dalla prima metà del ‘900 quando cominciò ad essere inserita regolarmente nelle rotazioni colturali insieme al grano duro e alle leguminose da granella. Allora era una necessità agronomica: una coltura sarchiata come il melone aiutava a ridurre il carico delle infestanti per la coltura successiva. E poi, si riusciva a coltivarlo in asciutto. Cosa che lo rendeva molto serbevole: i frutti di antiche varietà come il “cartucciaro” (buccia gialla) e il “purceddu” (buccia verde) oggi entrambi presidi Slow Food, venivano raccolti in estate, ben conservate in luoghi freschi e ventilati (non in frigorifero) e consumate durante le feste natalizie.


Oggi, invece, il melone giallo che è sempre stato considerato un prodotto povero rispetto alle più redditizie ortive primaticce coltivate in serra, può ambire a riconoscimenti migliori. Non a caso alcune ditte sementiere da tempo hanno puntato a selezionare tipologie diverse che consentono di ampliare il calendario di commercializzazione che va da fine giugno a inizio ottobre. Ne sa qualcosa Pietro Campo che per i raccolti precoci coltiva Cartago, Levanzo e Atos, mentre per le produzioni medio-tardive ha scelto Giorillo, Minirillo, Aramos e Kosmos. “Puntiamo al riconoscimento della denominazione di origine protetta perchè vogliamo valorizzare un prodotto tradizionalmente presente nelle nostre campagne e perchè siamo convinti che sarebbe una valida leva per superare la marginalità economica a cui è sempre stato relegato”, afferma Campo. E potrebbe convincere chi nel frattempo ha abbandonato a tornare a coltivarlo.
Attualmente la produzione di melone giallo tra le province di Trapani e Palermo è di 3.000 ettari coltivati, una quota inferiore rispetto a 15 anni fa quando si arrivò anche a 6.000 ettari. Oggi, però, per ottenere rese per ettaro soddisfacenti non si può fare a meno dell’irrigazione, ovviamente localizzata. E siccome è impossibile fare affidamento alle risorse idriche distribuite dal consorzio di bonifica un po’ dappertutto gli agricoltori si sono attrezzati con laghetti aziendali.

Angela Sciortino

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