Secondo mandato alla guida di Legacoop Agroalimentare per Cristian Maretti (nella foto). 55 anni, romagnolo, laureato in Agraria a Bologna, ha conseguito un diploma di specializzazione post-universitario a Montpellier in Francia. Da sempre nel mondo della cooperazione, arriva per la prima volta alla guida nazionale di Legacoop Agroalimentare nel 2020.
Pandemia, guerre, eventi climatici avversi, fitopatie… Gli ultimi quattro anni sono stati un calvario per il mondo agricolo. Quale l’emergenza peggiore, dal suo punto di vista?
“Per l’impatto e la gravità degli effetti dei diversi fenomeni, dalla siccità prolungata all’alluvione, certamente il cambiamento climatico. Fenomeno che ha il rischio di essere fuori controllo perché a livello globale le emissioni continuano a crescere e probabilmente “l’effetto tampone” dei mari e delle foreste si sta esaurendo. Naturalmente, le guerre e il rischio di limitazioni alle nostre possibilità di esportazione sono una minaccia da non sottovalutare. E rischiano di sommarsi alle difficoltà produttive dovute a fitopatie che riguardano la pera, il kiwi o l’olivo . Fitopatie che dal punto di vista di danno economico hanno avuto negli ultimi anni dei veri e propri picchi”.
Nella sua relazione lei ha detto: “Quello che occorre è più cooperazione tra cooperative e tra settori”. Comprensibile… ma sembra che si vada in senso contrario. Di Alleanza delle Cooperative non si sa più niente, di progetti di fusione/coordinamento tra centrali cooperative non si parla più, anche Agrinsieme con Confagricoltura, Cia e Copagri è praticamente uscita dai radar. Quindi?
“Questa è una bella domanda! Per certi versi molto difficile, ma non mi voglio sottrarre. Il mio appello a “più cooperazione, più aggregazione” è frutto di 40 anni di studio e lavoro nel settore agroalimentare (1984 istituto agrario G.Garibaldi Cesena) e di 25 di cooperazione agricola (1999 responsabile agricolo in Legacoop Forli-Cesena). È quello che le cooperative ed i soci agricoltori mi hanno sempre detto e che con l’esperienza lavorativa ha trovato spesso conferma, forse non finiva sui giornali perché il nostro settore non sempre è stato “di moda” come lo è adesso. A scanso di equivoci io l’ho messa come condizione per la mia ricandidatura”.
Dunque, cosa c’è nel futuro della cooperazione?
“Questa lunga “militanza” mi permetterebbe di intrattenere i suoi lettori fin dai primi anni 2000 con il coordinamento di settore dei presidenti Paolo Bruni, Sergio Nasi e Gianpaolo Buonfiglio, ma non credo che ce ne sia il tempo. Volendo, il suo giornale potrebbe organizzare un forum dedicato, cercando nella mia casella di posta troverei molte cose interessanti, partendo dal fatto che la scelta del 2011 di fare un’unica organizzazione non nasceva dal nostro settore, ma dalle “case madri” confederali, ma evidentemente non tutti i settori e i territori erano pronti e convinti. E lealmente abbiamo lavorato in quella direzione, con la creazione dei coordinamenti, facendo assemblee generali unitarie sempre con il grande sostegno delle cooperative dell’agroalimentari. Oggi l’Alleanza come unica organizzazione non è più all’ordine del giorno. Ma sul tavolo della nostra presidenza vi sono le basi su cui costruire la nuova relazione di unità politica per il futuro. L’ultima stesura è del 2 agosto e confido che nei prossimi mesi si vadano a concretizzare le nuove regole del patto politico come da indicazione delle confederazioni con l’assemblea del 16 gennaio e dalla loro prima riunione del 4 aprile con il settore”.
Se non c’è un’unione reale, di fatto lavorate a un unico obiettivo
“Sì, si lavora assieme anche senza troppe regole, ne sono la prova le numerose attività unitarie realizzate con il settore pesca e sul settore lattiero caseario di prossima realizzazione. Anche per quello che riguarda Agrinsieme si è concordato di focalizzare alcuni temi e di dedicare a questi delle posizioni comuni. Vedremo presto se questa nuova strategia porterà frutti. La cooperazione ovviamente si dedicherà al tema dell’aggregazione”.
La ridefinizione, diciamo così, dei “perimetri” operativi, prevede altre attività?
“Naturalmente la necessità di percorsi unitari non si esaurisce lì. Esistono tantissime possibilità di fare meglio il nostro mestiere perché io per primo non sono un “tuttologo” e non mi dispiace per nulla accordarmi con chi ha maturato grande esperienza sui temi del made in italy o della filiera corta come la Coldiretti. O con chi conosce meglio di noi l’orientamento del consumatore come Coop o Conad o la ristorazione come Cir o Camst”.
Di agricoltura italiana sui media spesso si parla come di un sistema in salute, ricco di eccellenze, ma i numeri dicono il contrario, aziende che chiudono, sempre più vecchie, senza ricambio generazionale, redditività in calo. Come se ne esce?
“I numeri strutturali sono il risultato dell’impatto dei dati di mercato, della demografia agricola e dei cambiamenti generazionali nella famiglia che una volta era tutta coinvolta nella gestione, mentre oggi c’è l’aumento della casistica con società strutturate con imprenditore e mano d’opera (quando la si trova). Per noi una chiave di lettura è che in una famiglia, la “proprietà” si eredita, “la capacità imprenditoriale” no“.
Da questa considerazione una prima valutazione è separare le considerazioni che riguardano il bene terra rispetto alla gestione dell’impresa. Le cooperative possono fare molto guardando le proprie basi sociali e organizzando servizi in tal senso, ma gli stessi imprenditori possono guardare esperienze che per esempio Agri 2000 negli anni scorsi ci aveva fatto conoscere. Non dico che sia facile, ma bisogna riscoprire la voglia di parlare con le persone per fargli provare qualcosa di nuovo per il futuro”.
Un giudizio sull’operato del ministro Lollobrigida?
“Riconosco al Ministro di non aver lesinato impegno sul settore, anche approfondendo tecnicamente alcuni problemi e soprattutto cercando di dare un’impostazione di ‘sistema Paese’ che dia risultati a prescindere dal governo in carica. La sfida più difficile è certamente quella di rafforzare la rappresentanza italiana in termini di dirigenti e funzionari a Bruxelles. Poi c’è l’eterna questione della scarsa efficienza con cui diventano operative le decisioni politiche, spesso con la nomina di commissari, che lo stesso ministro alla nostra assemblea ha identificato come un fallimento rispetto alle procedure ordinarie. Non posso che rinnovare in questo caso la nostra disponibilità a dare una mano con una concertazione in più ed una consultazione in meno”.
Lei è romagnolo, una regione duramente colpita da alluvioni e altri disastri climatici. L’ortofrutta in regione perde superfici, i frutteti si spiantano a favore di altre colture estensive. Come vede il futuro?
“L’ortofrutta è uno dei settori specialistici nel quale i problemi dell’agricoltura, dal clima alla mancanza di mano d’opera vengono moltiplicati e dove l’effetto finale è una complessiva perdita di competitività. Noi sosteniamo con favore il tentativo della Regione Emila-Romagna di invertire, almeno parzialmente la rotta e vedremo i risultati a breve”.
Quali interventi si potrebbero prevedere?
“In questo settore ci sono le Organizzazioni di Produttori e credo che politicamente la Regione debba anche fare lo sforzo di uscire dalla presentazione di dati mediani sulle diverse azioni dei piani operativi e focalizzare meglio i capitoli di spesa che danno valore aggiunto futuro. Sperimentazione e ricerca, protezione delle produzioni, applicazioni di nuove tecnologie e spinta promozionale sulle virtù salutistiche del settore sono le strade obbligate per non rimanere schiacciati sul costo del lavoro. Una riflessione andrà fatta anche sulla struttura del settore, ponendosi senza pregiudizi le seguenti domande: c’è spazio per ulteriori fusioni tra cooperative? C’è spazio per nuove azioni comuni tra cooperative? Domande che ci dicono se si vuole camminare o correre e soprattutto se vogliamo avere capacità di attrazione di talenti per generare futuro. Anche in questo settore così difficile”.
Il mondo dell’ortofrutta ha criticato duramente Green Deal e Farm-to-fork. Adesso con la nuova Commissione UE sembra che le cose cambino, che si cerchi una transizione ecologica in accordo con il mondo agricolo. Si chiede però più budget perché la PAC non basta più…
“Noi abbiamo salutato con grande favore l’apertura del dialogo strategico voluto da Ursula von der Leyen e soprattutto speriamo che il documento scaturito serva per le lettere di missione dei Commissari della nuova Commissione. Rileggere questo settore con gli occhi della nuova parola chiave, la competitività, alla base del lavoro di Mario Draghi è l’altro tassello che oltre a farci ben sperare ci deve motivare a fare meglio per quello è nelle nostre capacità e possibilità. Crediamo che cooperando tutto questo possa essere più facile “.
Lorenzo Frassoldati