MORIA DEL KIWI, IL PIEMONTE HA ANCORA UN FUTURO

Condividi

Ancora al centro delle attività della Fondazione Agrion uno dei temi più sentiti in questi anni nel settore ortofrutticolo: la gestione del kiwi, e in particolare la problematica della moria, con le possibili risposte al problema. Il risultato è che il kiwi in Piemonte ha ancora un futuro.

Il 14 settembre si è svolto un incontro incentrato proprio sulla “Moria del Kiwi” presso il campo sperimentale di Saluzzo (provincia di Cuneo), nell’ambito del Progetto KIMOR, finanziato dalla Regione Piemonte.

Obiettivo era, in particolare, quello di aggiornare i produttori sullo stato di conoscenze acquisite in questo anno di prova presso il campo sperimentale.

“L’elevata affluenza dei partecipanti, che è stata anche questa volta ben superiore alle attese – spiega il Presidente di Agrion, Giacomo Ballari – è la testimonianza concreta della grande attenzione al tema. Un’attenzione ben comprensibile, visto che quest’anno il fenomeno si è manifestato con una gravità ancora superiore agli anni precedenti. Il campo prova di Saluzzo serve proprio per cercare di comprendere meglio il fenomeno e identificare le possibili soluzioni al problema. L’incontro del 14 settembre è stata l’occasione di valutare dal vivo le più efficaci azioni da portare avanti per contrastare un fenomeno in ampia diffusione. La coltivazione del kiwi può ancora avere un futuro: l’importante sarà applicare scrupolosamente le corrette pratiche agronomiche nella fase preparatoria dell’impianto e fare in modo che l’irrigazione sia gestita sulla base dell’effettivo fabbisogno idrico del terreno”.

Anche la Regione Piemonte era presente all’incontro attraverso Floriano Luciano, collaboratore dell’assessore all’Agricoltura Giorgio Ferrero. Nel suo intervento, Luciano ha sottolineato l’interessamento della Regione a questa grave emergenza e a continuare a sostenere la ricerca per risolvere il fenomeno.

I dettagli tecnici dell’incontro

Nel corso dell’incontro, sono stati trattati tre punti fondamentali:

1) Corretta preparazione del terreno all’impianto

“Grazie alle ricerche effettuate nel campo prova di Saluzzo, in condizioni molto critiche, – spiega Graziano Vittone, Responsabile Area difesa frutticola di Agrion – è stato possibile verificare con concretezza come, grazie ad alcune pratiche agronomiche diverse da quelle attuali, sia possibile contrastare la diffusione della Moria del Kiwi. In particolare, laddove si è provveduto ad effettuare un’idonea baulatura, e ad effettuare un importante apporto di sostanza organica, al momento le piante di questa tesi stanno fornendo la risposta migliore. Tuttavia, anche le piante delle altre tesi non hanno subito mortalità, a testimonianza del fatto che un’adeguata preparazione del terreno prima dell’impianto garantisce, almeno nei primi anni di vita, una sopravvivenza nemmeno sperabile nel caso di sostituzione parziale di piante”.

L’intervento di Chiara Morone, del Servizio Fitosanitario della Regione, è servito a ribadire come, al momento, fra le cause del fenomeno della moria siano da escludere i patogeni, siano essi funghi o batteri. Quindi permane da approfondire l’aspetto agronomico, aggravato dalle recenti mutazioni stagionali.

2) Impiego di idonei portinnesti finalizzati al superamento della moria

Lorenzo Berra e Davide Nari di Agrion hanno fatto il punto sul capitolo portinnesti.

Per il contenimento della sindrome della moria del kiwi, una della armi da valutare è l’utilizzo di portinnesti che garantiscano una buona adattabilità alle peculiari condizioni pedologiche che si riscontrano negli actinidieti in deperimento.

Il ritorno alla vecchia e problematica tecnica dell’innesto presenta importanti criticità ben note ai tecnici e ai frutticoltori ma vale comunque la pena di sperimentare questa importante potenziale alternativa.

I portinnesti attualmente a disposizione sono:

✓ SAV 1, semenzale di Actinidia macrosperma di origine neozelandese (Bounty 71).

✓ Selezione D1. Semenzale di A. deliciosa di origine italiana.

✓ Selezione Z1. Incrocio tra A. deliciosa e A. arguta.

A tale scopo, sono stati realizzati due impianti pilota nel 2018 con tutti e tre i materiali a confronto in appezzamenti colpiti da moria, nei quali verranno svolti rilievi periodici per quantificare l’accrescimento vegetativo e identificare l’eventuale comparsa di sintomi.

Continuerà inoltre l’attività di monitoraggio dello sviluppo di piante innestate su portinnesti D1 e K1 nell’impianto del Progetto Kimor, realizzato nel 2017.

La prova richiede anni per una risposta significativa nei confronti dei differenti materiali in merito ad affinità, produttività, pezzatura dei frutti e equilibrio vegeto-produttivo della pianta.

3) Regimazione irrigua per il giusto soddisfacimento del fabbisogno idrico

Luca Nari di Agrion ha spiegato che il fenomeno della “moria del kiwi” è strettamente correlato con l’umidità del terreno e di conseguenza con gli apporti idrici derivanti dalle irrigazioni. I sintomi da moria vengono spesso confusi con i sintomi da stress idrico, in quanto in entrambi si osserva un appassimento dell’apparato fogliare. In questo caso, è consuetudine tra i produttori aumentare gli apporti idrici andando così ad aggravare ulteriormente la situazione.

All’interno del campo sperimentale dedicato alla “moria del kiwi” sono stati installati strumenti che rilevano in continuo l’umidità del suolo (tensiometri elettronici) e permettono di definire il corretto fabbisogno idrico delle piante. La strumentazione è stata piazzata sia su terreno pianeggiante (non baulato) sia su terreno baulato, per meglio comprendere il comportamento di una diversa sistemazione del piano di campagna.

Anche quest’anno, confermando quanto osservato nel 2017, laddove era presente la baulatura il suolo è risultato per tutta la stagione irrigua più asciutto mentre sul piano, a parità di apporto idrico, si è evidenziato quasi in continuo un eccesso idrico. Tutto ciò è stato verificato grazie l’impiego dei tensiometri che puntualmente hanno messo in mostra questa grossa differenza di umidità tra il baulato e non baulato. I tensiometri inoltre, hanno identificato il corretto fabbisogno idrico delle piante pilotando le irrigazioni nel modo ottimale: il volume idrico apportato da metà giugno a fine agosto è stato di 500 m3 a ettaro non superando i 18/20 litri/pianta/giorno anche nei periodi più caldi.

Dopo questo secondo anno di prova sono emerse alcune indicazioni importanti, che certo non risolvono la problematica, ma che risultano utili a meglio comprendere il fenomeno e a individuare gli accorgimenti chiave da consentire la continuazione della coltivazione di questa specie in Piemonte. I risultati finali di quest’anno verranno presentati in occasione dell’incontro di fine stagione.

Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana

Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!

Join us for

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER QUOTIDIANA PER ESSERE AGGIORNATO OGNI GIORNO SULLE NOTIZIE DI SETTORE