Quest’anno a Fruit Logistica si è notata l’assenza di alcuni buyer importanti e, effettivamente, dal confronto dei dati ufficiali della fiera tra l’edizione 2018 e quella 2019, i Paesi d’origine dei quasi 80mila visitatori, sono diminuiti da 130 a 90.
Assenze notate dagli stessi operatori ‘in trincea’. Fra questi, ad esempio, Saint Charles International, che in una nota ufficiale divulgata a conclusione della fiera, dove ha partecipato organizzando una collettiva di 15 aziende, precisa: “Per le sue dimensioni, Berlino rimane un punto di riferimento indispensabile che richiede un tempo di preparazione significativo ma che porta risultati numerosi e significativi”. “Tuttavia – si legge – alcuni espositori hanno notato un leggero calo delle presenze rispetto alle precedenti edizioni. I clienti del “Sud”, siano essi francesi o mediterranei, preferiscono forse scommettere su Fruit Attraction a Madrid”.
La fiera spagnola si svolge, peraltro, nel mese di ottobre ed è utile, quindi, per la campagna europea invernale così come l’italiana Macfrut (che nelle ultime quattro edizioni è cresciuta del 150%) si svolge in primavera alla vigilia della campagna estiva. Mentre, se vogliamo parlare di produzione, a Fruit Logistica si celebra il tripudio quella in contro stagione ovvero, dei Paesi terzi importatori mentre sui nostri stand di prodotto fresco sfuso non se ne vede granché.
Fruit Logistica, è senza dubbio una vetrina globale, leader fieristico. Proprio per questo, però, andrebbe approcciata con una visione globale e non locale anche in ragione del ruolo di Messe Berlin che è una piattaforma strategica internazionale, non solo europea.
Non a caso FreshHuelva, l’associazione dei produttori spagnoli di frutti rossi (primi produttori Ue di fragole), tra i principali promotori di Fruit Attraction, non si perde una edizione da anni ormai, partecipando per “consolidare i mercati europei attuali – si legge nell’ultima nota ufficiale dell’associazione -, e gettare le basi per nuove linee di marketing con il punto di vista dei mercati del Nord Europa, Asia e Medio Oriente”.
Anche quest’anno l’Italia è stato il Paese con il maggior numero di espositori, con un trend di continua crescita.

“Berlino è un must per l’export made in Italy” ci spiega Nicola Cilento, vicepresidente di Confagricoltura che anche quest’anno ha rinsaldato i legami istituzionali con il mercato tedesco organizzando, insieme a Fruit Imprese, l’evento all’ambasciata italiana a Berlino in collaborazione con la Camera di Commercio italo-tedesca. “Non è importante solo perché la Germania assorbe il 20% delle nostre esportazioni – precisa – ma anche perché, a Fruit Logistica è possibile incontrare i principali player nord europei con i quali le nostre aziende esportatrici, abitualmente interloquiscono. In fiera inoltre si ha la possibilità di fare il punto della situazione per quanto riguarda l’andamento dei consumi, le novità di prodotto, di packaging e lo stato dell’arte della tecnologia. In questo contesto, la vittoria del premio innovazione al nostro associato Jingold con il kiwi rosso, è motivo di orgoglio”.
Se è vero che l’export italiano è ancora molto, troppo, concentrato in Europa, peraltro mercato ormai saturo e mina vagante pronta ad esplodere alla prima variazione dei volumi, è anche vero che la ‘bacchetta magica (del mercato) globale’ non arriva nei padiglioni italiani a Fruit Logistica, dove – a detta degli stessi operatori – si realizzano incontri, fissati prima della partenza, con i clienti consolidati. Nulla di globale, insomma. Non perlomeno come accade, ad esempio, nei padiglioni sudamericani o sudafricani che arrivano a febbraio, in piena produzione, con gli stand pieni di prodotto da vendere. E vendono sempre di più.

“Effettivamente – chiarisce Lorenzo Bazzana, responsabile economico per il comparto ortofrutticolo di Coldiretti – in fiera a Berlino, l’Italia gioca da sempre in difesa. Punta cioè a consolidare i propri clienti europei anche perché non ci sarebbe tempo per fare altro. Sono dinamiche che vanno avanti da anni”. Sull’asserita assenza di alcuni buyer, invece commenta: “Siamo sicuri che, le fiere così come sono organizzate oggi, abbiano ancora un senso, posto che registrano tutte e in tutti i settori, performance in calo? Siamo sicuri che non siano diventate delle situazioni in cui si perpetua una sorta di autocelebrazione mentre il mondo intorno sta cambiando velocemente? Oggi il principale concorrente delle fiere è il web e anche se ancora per l’ortofrutta i tempi non sono maturi, si arriverà anche lì”.
Unico rammarico per tutti, il non essere riusciti a convergere su un’unica fiera italiana quanto i tempi erano maturi ossia prima che Madrid crescesse così tanto.

“Per arrivare al livello di Berlino devono passare dei decenni e non c’è tempo – ha detto Davide Vernocchi, presidente di Apoconerpo e coordinatore del settore ortofrutticolo dell’Alleanza delle cooperative italiane–. Anche perché bisogna chiedersi se abbia senso arrivare a quel livello piuttosto che ipotizzare diverse forme di contatto con il mercato. In ogni caso per fare il salto occorre una maggiore aggregazione. Quante delle aziende italiane presenti a Berlino avevano dimensioni tali da potere sostenere certi mercati?”.
“La partecipazione a Berlino è importante – chiosa Pino Cornacchia, responsabile dipartimento Sviluppo agroalimentare e territorio di Cia – ma se riteniamo che la strategia sia solo Berlino, sbagliamo. Occorre diversificare, specie in estremo e Medioriente che hanno un rapporto complementare rispetto al mercato europeo meridionale. Berlino è solo uno degli strumenti. Manca una strategia nazionale univoca che porti alla creazione di un unico evento che preveda non solo la vendita di prodotto ma anche di strategie commerciali e lo scambio di rapporti commerciali. Un po’ come fa Vinitaly che ha saputo rilanciare un settore”.
L’argomento di una fiera unica, non è peraltro, neanche all’ordine del giorno del tavolo nazionale dell’ortofrutta, non ancora convocato nonostante l’annuncio a Fruit Logistica. Tra le priorità al vaglio, c’è il catasto, il cambio climatico e gli strumenti per affrontare la globalizzazione, tanto più che in Europa si discute di tagli ai finanziamenti per la promozione F&V.
“Nonostante il rammarico per il mancato accordo su un’unica fiera, investirvi adesso – conclude Cilento – sarebbe quantomeno tardivo. Non impossibile ma tardivo considerato che in Europa ci sono già due fiere importanti e che per noi il treno è già passato quando ogni possibile convergenza su una fiera unica internazionale si è arenata dopo il tentativo falito di fusione tra Fruit Innovation e Macfrut”.
Mariangela Latella