NUOVA VITA AGLI SCARTI DEGLI ORTAGGI CHE DIVENTANO ESTRATTI “SUPER FOOD”

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Gli scarti della lavorazione agroalimentare sono insospettabili scrigni di proprietà nutrizionali residue che, tuttavia, rischiano di finire nella pattumiera. Con conseguenti danni sia per l’ambiente. È infatti stimato che circa il 45% del cibo prodotto viene perso o sprecato prima e dopo aver raggiunto il consumatore, lungo tutte le fasi della filiera alimentare.

E se ci fosse un metodo per riportare sulla tavola anche i sottoprodotti di tali processi? Il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, come riporta il quotidiano L’Arena, ci ha lavorato circa cinque anni e alla fine è giunto a un primo punto di svolta. Gli studi sono stati condotti nel laboratorio di cui è responsabile il professore Fabio Favati e hanno visto sperimentare una metodologia capace di valorizzare sottoprodotti di lavorazione anche di più filiere alimentari, estraendone le parti ancora contenenti un potenziale nutrizionale, in particolare i cosiddetti componenti bioattivi, dai polifenoli ai carotenoidi.

Dal radicchio alla carota, dalla zucca ai peperoni: gli scarti trovano nuova vita

«La metodica prevede l’impiego di solventi green, ovvero sostanze liquide fuori dal circuito tradizionale, ottenute combinando due o più componenti, di solito solidi a temperatura ambiente che una volta uniti formano un liquido grazie all’abbassamento del punto di fusione, sostenibili tanto sul piano dei costi che dell’impatto ambientale e sulla salute dell’uomo», spiega la ricercatrice Roberta Tolve. Due, nello specifico, le tipologie di solvente impiegate: «Quelle con cui siamo stati in grado di estrarre molecole solubili in acqua e quelle che lavorano sulle molecole insolubili in acqua». E così, se dalle foglie di radicchio destinate al macero «siamo riusciti a prelevare composti tipici dell’ambiente idrofilico (solubili in acqua) caratterizzati da un’alta attività antiossidante, dagli scarti di lavorazione della carota, della zucca e dei peperoni, invece, abbiamo estratto i carotenoidi (liposolubili), noti per l’attività contro i radicali liberi e per la protezione dagli effetti nocivi del sole».

A che punto siamo? Prima di approdare sul mercato, fase ancora allo studio, «abbiamo effettuato anche degli utili studi di stabilità, nell’ambito di un progetto di dottorato portato avanti dalla dottoressa Lucia Sportiello, finalizzati a verificare che questi estratti mantengano le loro proprietà inalterate nel tempo, ma anche a valutarne l’effettiva capacità di fortificare certi prodotti alimentari sullo scaffale. Un esempio per tutti le creme spalmabili». Il progetto punta alla continua testazione dei composti bioattivi recuperati essenzialmente nei prodotti alimentari, compresi yogurt o specialità da forno, ma nulla esclude un impiego futuro anche nei mercati di nutriceutica e cosmesi.

In linea con le attuali esigenze di mercato lo stesso dipartimento universitario ha inoltre recentemente studiato la prospettiva di crescita del mercato delle farine alternative. Attraverso, cioè, uno studio di consumer science su oltre 400 consumatori, «abbiamo cercato di capire quali fattori potessero condizionare l’accettabilità di prodotti formulati impiegando farine di insetti», prosegue Tolve, «abbiamo valutato dunque la loro neofobia (paura di prodotti nuovi), l’influenza anagrafica (i giovani sono più propensi a consumare alimenti nuovi) e dei fattori sia reddituali che di istruzione». Tra le diverse farine proposte, tutte attualmente autorizzate sul mercato, ovvero le farine di grillo, tarma della farina, locusta e verme della farina minore, il più alto indice di gradimento converge sul grillo. E la gran parte ne accetta più volentieri l’inserimento nei burger ibridi (a contenuto proteico, cioè, integrato) e di prodotti da forno. Sulla base delle considerazioni raccolte dal panel intervistato, abbiamo quindi formulato dei burger plant based (con proteine di origine vegetale) fortificati con farina di grillo, che alla fine diventano dunque prodotti ibridi, ma comunque soddisfano i consumatori che hanno a cuore l’impatto ambientale, che rispetto ad altre proteine animali con le farine di insetto va a ridursi».

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