Con riferimento al caso “Opera”, che ha visto l’uscita dalla compagine sociale di Mazzoni, La Diamantina e IAFFA (Grupo Conerpo), il direttore del Corriere Ortofrutticolo Lorenzo Frassoldati si pone la domanda se “le aggregazioni funzionano in ortofrutta” e si dà anche la risposta “funzionano solo se sono grandi e se sono efficienti” (leggi news). La risposta, mi perdoni Frassoldati, è un po’ ovvia e poi prosegue elencando gli aspetti negativi del livello di aggregazione raggiunto: troppe OP, anche se arrivano ad aggregare fino al 60% del prodotto, molte troppo piccole e incapaci di fare sistema, perché spesso in competizione tra loro.
Parliamoci chiaro, molte delle OP (315 sono oggi iscritte nell’elenco del Ministero) sono nate solo per ottenere i contributi previsti dai Piani Operativi, alcune sono state perfino costituite come grimaldello da parte di industrie di lavorazione del fresco (IV gamma e altro) per vincolare i produttori conferenti e sfruttare i contributi dei Piani Operativi. Alcune associazioni di organizzazioni di produttori (AOP) sono state costituite non per aumentare il livello di aggregazione, ma solo per semplificare la redazione del Piano Operativo e la gestione del Fondo di Esercizio. Infine, una volta raggiunto l’obiettivo di ottenere il contributo del Piano operativo, molte rimangono OP solo sulla carta, perché i produttori e le cooperative aderenti operano, di fatto, autonomamente e prive di un vero spirito di aggregazione. Molte volte mi sono soffermato sulle ragioni storiche del fallimento dell’esperienza delle OP nel nostro paese. Le sintetizzo, almeno come la vedo io: l’opposizione fin dalla loro origine (Reg. n. 159/1966) da parte delle organizzazioni professionali agricole che le consideravano dei competitor; il controllo esercitato dalla Federconsorzi che ha dato vita alla prima forma di unione nazionale (UNAPOA); il ritardo (L. 24/04/1998,n. 128) con cui è stato imposto alle OP di adottare una forma giuridica societaria (società di capitali, società cooperative, società consortili) superando la natura di associazione non riconosciuta ex art, 14 del C.C. che ne frenava la operatività; il ritardo con cui il mondo cooperativo si è reso conto che le OP, costituite per circa l’80% come società cooperative, non sono un soggetto giuridico diverso ma sono, di fatto, delle cooperative con delle funzioni in più riconosciute dalla legge. Questa mancanza di comprensione da parte delle organizzazioni cooperative ha consentito la nascita di più unioni nazionali: UNAPOA e UNAPRO diventate poi UNAPROA; UIAPOA e UNACOA diventate poi ITALIA ORTOFRUTTA. La funzione puramente strumentale della nascita di più Unioni Nazionali non è legata ad obiettivi di aggregazione per il mercato, ma a legami partitici come avveniva in quegli anni (UNAPOA e UNAPRO, le unioni bianche ; UIAPOA, l’unione rossa). UNACOA era altra cosa, essendo stata promossa da un grande commerciante emiliano, il Gruppo Salvi, anche questo certamente una anomalia. Insomma, questo breve excursus della storia delle nostre OP e AOP mette chiaramente in evidenza come l’aggregazione per il mercato non sia stato il vero obiettivo che ne ha alimentato lo sviluppo e non è certamente facile chiedere ora ai produttori ortofrutticoli di crederci.
L’aggregazione può avvenire anche riunendosi in forma cooperativa. Ma le cooperative sono delle imprese la cui possibilità di successo sul mercato dipende, come dici tu, dalla dimensione e dall’efficienza di gestione. Le stesse cooperative difficilmente riescono a far sistema tra loro, perché è più facile che si pongano in una posizione competitiva. Per questo è importante che “Opera” unisca la larga maggioranza dei produttori di pere e che gestisca con efficienza la strategia di brand che ispira la sua azione.
Cosa hanno le OP in più di una cooperativa ? Le OP costituite in forma di società di capitali, di cooperativa o di società consortile assumono, con il riconoscimento, funzioni di tipo para-pubblico, perché possono estendere anche ai non associati, previa approvazione del Ministero, le norme da esse adottate per concentrare e organizzare l’offerta. Ovviamente questa funzione può avere successo se la dimensione dell’OP è importante rispetto al mercato di riferimento sul quale agisce, quelle “circoscrizioni economiche” richieste dai regolamenti comunitari, che il nostro Ministero non ha ancora delimitato.
L’analisi che precede non è certamente incoraggiante, tuttavia l’aggregazione è l’unica soluzione che può permettere ai produttori agricoli di confrontarsi con le imprese della trasformazione e della distribuzione, che diventano sempre più grandi. Perfino la Coldiretti cerca di proporre una propria soluzione con “Filiera Italia”, anche questa è una esperienza nuova che non so se Gardini giudicherebbe “forse non ancora matura”, ma intanto va avanti.
Corrado Giacomini
economista
OP E AOP, UNA STORIA TORMENTATA. MA NON C’È ALTERNATIVA
Con riferimento al caso “Opera”, che ha visto l’uscita dalla compagine sociale di Mazzoni, La Diamantina e IAFFA (Grupo Conerpo), il direttore del Corriere Ortofrutticolo Lorenzo Frassoldati si pone la domanda se “le aggregazioni funzionano in ortofrutta” e si dà anche la risposta “funzionano solo se sono grandi e se sono efficienti” (leggi news). La risposta, mi perdoni Frassoldati, è un po’ ovvia e poi prosegue elencando gli aspetti negativi del livello di aggregazione raggiunto: troppe OP, anche se arrivano ad aggregare fino al 60% del prodotto, molte troppo piccole e incapaci di fare sistema, perché spesso in competizione tra loro.
Parliamoci chiaro, molte delle OP (315 sono oggi iscritte nell’elenco del Ministero) sono nate solo per ottenere i contributi previsti dai Piani Operativi, alcune sono state perfino costituite come grimaldello da parte di industrie di lavorazione del fresco (IV gamma e altro) per vincolare i produttori conferenti e sfruttare i contributi dei Piani Operativi. Alcune associazioni di organizzazioni di produttori (AOP) sono state costituite non per aumentare il livello di aggregazione, ma solo per semplificare la redazione del Piano Operativo e la gestione del Fondo di Esercizio. Infine, una volta raggiunto l’obiettivo di ottenere il contributo del Piano operativo, molte rimangono OP solo sulla carta, perché i produttori e le cooperative aderenti operano, di fatto, autonomamente e prive di un vero spirito di aggregazione. Molte volte mi sono soffermato sulle ragioni storiche del fallimento dell’esperienza delle OP nel nostro paese. Le sintetizzo, almeno come la vedo io: l’opposizione fin dalla loro origine (Reg. n. 159/1966) da parte delle organizzazioni professionali agricole che le consideravano dei competitor; il controllo esercitato dalla Federconsorzi che ha dato vita alla prima forma di unione nazionale (UNAPOA); il ritardo (L. 24/04/1998,n. 128) con cui è stato imposto alle OP di adottare una forma giuridica societaria (società di capitali, società cooperative, società consortili) superando la natura di associazione non riconosciuta ex art, 14 del C.C. che ne frenava la operatività; il ritardo con cui il mondo cooperativo si è reso conto che le OP, costituite per circa l’80% come società cooperative, non sono un soggetto giuridico diverso ma sono, di fatto, delle cooperative con delle funzioni in più riconosciute dalla legge. Questa mancanza di comprensione da parte delle organizzazioni cooperative ha consentito la nascita di più unioni nazionali: UNAPOA e UNAPRO diventate poi UNAPROA; UIAPOA e UNACOA diventate poi ITALIA ORTOFRUTTA. La funzione puramente strumentale della nascita di più Unioni Nazionali non è legata ad obiettivi di aggregazione per il mercato, ma a legami partitici come avveniva in quegli anni (UNAPOA e UNAPRO, le unioni bianche ; UIAPOA, l’unione rossa). UNACOA era altra cosa, essendo stata promossa da un grande commerciante emiliano, il Gruppo Salvi, anche questo certamente una anomalia. Insomma, questo breve excursus della storia delle nostre OP e AOP mette chiaramente in evidenza come l’aggregazione per il mercato non sia stato il vero obiettivo che ne ha alimentato lo sviluppo e non è certamente facile chiedere ora ai produttori ortofrutticoli di crederci.
L’aggregazione può avvenire anche riunendosi in forma cooperativa. Ma le cooperative sono delle imprese la cui possibilità di successo sul mercato dipende, come dici tu, dalla dimensione e dall’efficienza di gestione. Le stesse cooperative difficilmente riescono a far sistema tra loro, perché è più facile che si pongano in una posizione competitiva. Per questo è importante che “Opera” unisca la larga maggioranza dei produttori di pere e che gestisca con efficienza la strategia di brand che ispira la sua azione.
Cosa hanno le OP in più di una cooperativa ? Le OP costituite in forma di società di capitali, di cooperativa o di società consortile assumono, con il riconoscimento, funzioni di tipo para-pubblico, perché possono estendere anche ai non associati, previa approvazione del Ministero, le norme da esse adottate per concentrare e organizzare l’offerta. Ovviamente questa funzione può avere successo se la dimensione dell’OP è importante rispetto al mercato di riferimento sul quale agisce, quelle “circoscrizioni economiche” richieste dai regolamenti comunitari, che il nostro Ministero non ha ancora delimitato.
L’analisi che precede non è certamente incoraggiante, tuttavia l’aggregazione è l’unica soluzione che può permettere ai produttori agricoli di confrontarsi con le imprese della trasformazione e della distribuzione, che diventano sempre più grandi. Perfino la Coldiretti cerca di proporre una propria soluzione con “Filiera Italia”, anche questa è una esperienza nuova che non so se Gardini giudicherebbe “forse non ancora matura”, ma intanto va avanti.
Corrado Giacomini
economista
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