Tante volte si è sentita la necessità che il nostro MIPAF ora diventato MASAF, esprimesse nell’ambito della PAC una propria politica per l’agricoltura italiana. Purtroppo il frazionamento della politica agraria italiana tra le Regioni e i mezzi limitati di cui il MIPAF disponeva rendevano quasi inutile anche il potere di indirizzo di cui il Ministero era, comunque, titolare. Ora con la nuova PAC, che dovrebbe realizzarsi a livello nazionale attraverso Piani strategici messi a punto da ciascun Stato membro, rendendolo anche responsabile della sua attuazione, ogni Governo e il relativo Ministero dovrebbero esprimere una propria politica nazionale, quella che i sostenitori dell’intervento comunitario considerano la temuta “rinazionalizzazione” della PAC.
Una politica nazionale che dovrebbe essere la sintesi di tutte le istanze del mondo agricolo e non dettata da una sola organizzazione professionale, la Coldiretti, come invece sta avvenendo con questo Governo e questo Ministro.
Certamente Coldiretti è l’organizzazione professionale agricola più grande e con maggiore successo mediatico nel Paese, ma il mondo agricolo è rappresentato anche da altre organizzazioni come Confagricoltura, CIA, Copagri e persino la cooperazione ha una voce importante nel settore come FedagriPesca Confcooperative, Legacoop Agroalimentare e AGCI-Agrital, e tutte insieme queste organizzazioni hanno certamente più soci di Coldiretti anche se non ottengono la stessa attenzione dai media. Più volte abbiamo denunciato il paradosso che mentre agricoltori e aziende agricole stanno diminuendo, le organizzazioni professionali agricole aumentano di numero e soprattutto non si capisce se agiscono per la sopravvivenza (meglio, per lo sviluppo) dell’agricoltura o per la loro sopravvivenza. E’ evidente che quando una attività di lobby assume la dimensione e le caratteristiche di una organizzazione con personale, dirigenti e investimenti diventa un’azienda che pone al primo posto la sua sopravvivenza; ovviamente non trascura l’attività di lobby, perché questa è la giustificazione della sua esistenza, ma è spinta a mediarla con quanto può meglio corrispondere ai suoi interessi aziendali.
Nel 2011 è nata l’Alleanza delle cooperative italiane (ACI), coordinamento nazionale tra AGCI, Confcooperative e Legacoop, a cui è seguita la costituzione dei coordinamenti nazionali, come l’Alleanza delle cooperative agroalimentari e nel 2013 è nato Agrinsieme, il coordinamento tra CIA, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari, che comprende AGCI-Agrital, Confcooperative FedagriPesca e Legacoop Agroalimentare. Il coordinamento, a mio avviso, poteva essere il primo segnale del superamento delle divisioni che fin dall’origine hanno diviso la cooperazione e le organizzazioni professionali agricole sulla base di differenze ideologiche e soprattutto partitiche che hanno dominato la società italiana e soprattutto la politica fin dall’unità d’Italia. In realtà, pare di poter affermare che il coordinamento non ha per nulla indebolito la struttura delle singole organizzazioni che hanno mantenuto ben chiara la loro indipendenza reciproca e le differenze ideologiche sono finite nella crisi delle ideologie che sta conoscendo il XXI secolo, per cui non si sono verificati avvicinamenti nemmeno su questo terreno diventato una melma che fa perdere la loro identità anche ai partiti, dove diventa difficile distinguere persino tra destra e sinistra. Nemmeno la necessità di unirsi per competere con la Coldiretti, l’unica organizzazione che ha sviluppato una propria specifica strategia, caratterizzata dal legame con il mondo dei consumatori, è riuscita a far avanzare il coordinamento verso qualche cosa di più stabile e forte nell’interlocuzione con la politica.
Purtroppo da qualche tempo nella stampa, anche quella di settore, non si parla quasi più di Agrinsieme e poco di ACI-Alleanza delle Cooperative Italiane, perché l’obiettivo di ciascuna organizzazione, pur facendo parte di un coordinamento, è quello di alzare dei muri per isolare la sua base associativa, che è la fonte dei contributi che finanziano l’organizzazione, per cui il coordinamento non riesce nemmeno a esprimere con una sola voce gli interessi del mondo che dovrebbe rappresentare. Per forza la Coldiretti vince a man bassa su tutti i tavoli!
POLITICA AGRARIA NAZIONALE, QUESTA SCONOSCIUTA. LO STRAPOTERE COLDIRETTI, LA DEBOLEZZA E LE DIVISIONI DEGLI ALTRI
di Corrado Giacomini *
Tante volte si è sentita la necessità che il nostro MIPAF ora diventato MASAF, esprimesse nell’ambito della PAC una propria politica per l’agricoltura italiana. Purtroppo il frazionamento della politica agraria italiana tra le Regioni e i mezzi limitati di cui il MIPAF disponeva rendevano quasi inutile anche il potere di indirizzo di cui il Ministero era, comunque, titolare. Ora con la nuova PAC, che dovrebbe realizzarsi a livello nazionale attraverso Piani strategici messi a punto da ciascun Stato membro, rendendolo anche responsabile della sua attuazione, ogni Governo e il relativo Ministero dovrebbero esprimere una propria politica nazionale, quella che i sostenitori dell’intervento comunitario considerano la temuta “rinazionalizzazione” della PAC.
Una politica nazionale che dovrebbe essere la sintesi di tutte le istanze del mondo agricolo e non dettata da una sola organizzazione professionale, la Coldiretti, come invece sta avvenendo con questo Governo e questo Ministro.
Certamente Coldiretti è l’organizzazione professionale agricola più grande e con maggiore successo mediatico nel Paese, ma il mondo agricolo è rappresentato anche da altre organizzazioni come Confagricoltura, CIA, Copagri e persino la cooperazione ha una voce importante nel settore come FedagriPesca Confcooperative, Legacoop Agroalimentare e AGCI-Agrital, e tutte insieme queste organizzazioni hanno certamente più soci di Coldiretti anche se non ottengono la stessa attenzione dai media. Più volte abbiamo denunciato il paradosso che mentre agricoltori e aziende agricole stanno diminuendo, le organizzazioni professionali agricole aumentano di numero e soprattutto non si capisce se agiscono per la sopravvivenza (meglio, per lo sviluppo) dell’agricoltura o per la loro sopravvivenza. E’ evidente che quando una attività di lobby assume la dimensione e le caratteristiche di una organizzazione con personale, dirigenti e investimenti diventa un’azienda che pone al primo posto la sua sopravvivenza; ovviamente non trascura l’attività di lobby, perché questa è la giustificazione della sua esistenza, ma è spinta a mediarla con quanto può meglio corrispondere ai suoi interessi aziendali.
Nel 2011 è nata l’Alleanza delle cooperative italiane (ACI), coordinamento nazionale tra AGCI, Confcooperative e Legacoop, a cui è seguita la costituzione dei coordinamenti nazionali, come l’Alleanza delle cooperative agroalimentari e nel 2013 è nato Agrinsieme, il coordinamento tra CIA, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari, che comprende AGCI-Agrital, Confcooperative FedagriPesca e Legacoop Agroalimentare. Il coordinamento, a mio avviso, poteva essere il primo segnale del superamento delle divisioni che fin dall’origine hanno diviso la cooperazione e le organizzazioni professionali agricole sulla base di differenze ideologiche e soprattutto partitiche che hanno dominato la società italiana e soprattutto la politica fin dall’unità d’Italia. In realtà, pare di poter affermare che il coordinamento non ha per nulla indebolito la struttura delle singole organizzazioni che hanno mantenuto ben chiara la loro indipendenza reciproca e le differenze ideologiche sono finite nella crisi delle ideologie che sta conoscendo il XXI secolo, per cui non si sono verificati avvicinamenti nemmeno su questo terreno diventato una melma che fa perdere la loro identità anche ai partiti, dove diventa difficile distinguere persino tra destra e sinistra. Nemmeno la necessità di unirsi per competere con la Coldiretti, l’unica organizzazione che ha sviluppato una propria specifica strategia, caratterizzata dal legame con il mondo dei consumatori, è riuscita a far avanzare il coordinamento verso qualche cosa di più stabile e forte nell’interlocuzione con la politica.
Purtroppo da qualche tempo nella stampa, anche quella di settore, non si parla quasi più di Agrinsieme e poco di ACI-Alleanza delle Cooperative Italiane, perché l’obiettivo di ciascuna organizzazione, pur facendo parte di un coordinamento, è quello di alzare dei muri per isolare la sua base associativa, che è la fonte dei contributi che finanziano l’organizzazione, per cui il coordinamento non riesce nemmeno a esprimere con una sola voce gli interessi del mondo che dovrebbe rappresentare. Per forza la Coldiretti vince a man bassa su tutti i tavoli!
*economista agrario
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