Gli ambasciatori dei 27 Paesi Ue hanno confermato l’accordo raggiunto nel negoziato inter-istituzionale tra Consiglio e Parlamento europeo sul regolamento imballaggi (Ppwr). Lo ha annunciato venerdì 15 marzo la presidenza belga di turno alla guida dell’UE, che ha sottolineato: “No ai rifiuti creati dagli imballaggi, sì al riciclo e al riutilizzo”.
La nuova norma “affronta l’aumento dei rifiuti di imballaggio, armonizzando al tempo stesso il mercato interno e promuovendo l’economia circolare”. Da quanto filtra da fonti diplomatiche sull’approvazione dell’accordo, Malta e Austria hanno posto riserva di scrutinio.
Per Coldiretti “l’applicazione del principio di reciprocità nella direttiva imballaggi è una vittoria della filiera agroalimentare italiana e del gioco di squadra messo in campo, oltre che un segnale importante per estendere a tutti livelli il concetto che tutte le merci che entrano nella Ue devono rispettare le stesse regole a cui sono sottoposti i produttori europei”.
“In futuro bisognerà intervenire per risolvere alcune criticità che persistono per il settore dell’ortofrutta in quanto mantenere in capo agli Stati membri la possibilità di concedere deroghe può frammentare il mercato europeo rendendolo complesso per chi esporta”.
La Premier Giorgia Meloni ha detto: “Abbiamo dimostrato che oggi a Bruxelles c’è un’Italia che non si arrende a soluzioni che penalizzano la nostra industria, ma che è capace di continuare a negoziare fino alla fine in maniera decisa, facendo valere la bontà dei propri argomenti, valorizzando le nostre eccellenze e riuscendo a modificare sostanzialmente il risultato finale”. E ancora: “I risultati raggiunti sono il frutto di uno sforzo corale di tutti gli attori del ‘sistema Italia’”
Nei giorni precedenti i commenti all’accordo preliminare erano stati molto critici. Freshfel Europe si dice “sconcertata”: dopo aver esaminato il contenuto dell’accordo preliminare del Trilogo tra il Consiglio europeo e la Commissione sul PPWR l’associazione parla di “inaccettabili incoerenze e ingiusta discriminazione nei confronti dei prodotti freschi”.
“Nella sua forma attuale – osserva in una nota – il PPWR aumenterà senza dubbio i rifiuti di imballaggio, contribuirà ad aumentare quelli alimentari, genererà inefficienze logistiche, aumenterà le emissioni di anidride carbonica, violerà il funzionamento del mercato unico e, soprattutto, porterà a un ulteriore calo dei consumi”.
Freshfel chiede con urgenza la modifica del testo di “compromesso” per salvaguardare il mercato interno e garantire un commercio per i prodotti freschi accettabile.
Il delegato generale di Freshfel Europe, Philippe Binard (nella foto), ha commentato: “L’accordo di compromesso sul PPWR ha snaturato il formato di regolamento della proposta che mirava a stabilire regole comuni per il mercato dell’UE. Purtroppo il compromesso sul PPWR si sta spostando verso un approccio di direttiva, tollerando un alto livello di sussidiarietà che consente agli Stati membri di mantenere le loro legislazioni nazionali”.
Mentre il compromesso PPWR consentirà eccezioni alla restrizione sugli imballaggi in plastica per i prodotti freschi, gli Stati membri avranno la competenza di redigere i propri elenchi nazionali di eccezioni, sulla base di linee guida che verranno della Commissione con il supporto dell’EFSA. Ciò provocherà una proliferazione di elenchi nazionali, nessun elenco sarà uguale all’altro, a causa delle differenze nelle culture alimentari, nei requisiti dei prodotti e nei modelli commerciali.
Binard, spiega che “non avendo un elenco armonizzato a livello di Unione europea di prodotti esenti che possono essere confezionati in imballaggi di plastica, esso avrà un impatto profondo sulla distribuzione all’interno del mercato unico dell’UE, soprattutto, ma non solo, nelle regioni di confine. Quando i prodotti freschi vengono imballati, la destinazione finale è raramente nota. Di conseguenza, i prodotti freschi potrebbero dover essere disimballati e reimballati nella catena di approvvigionamento, causando un aumento dei rifiuti di imballaggio e mettendo a rischio la qualità del prodotto”.
Freshfel Europe ritiene che questo sia un costo ambientale maggiore e non necessario che si ripercuoterà anche sui consumatori finali, aumentando il costo monetario di una dieta sana e sostenibile.
Freshfel Europe inoltre stigmatizza che il compromesso europeo sul PPWR abbia uno status discriminatorio per i prodotti ortofrutticoli freschi.
Joanna Nathanson, responsabile della sostenibilità e delle relazioni esterne di Freshfel Europe, ha commentato: “Nessun’altra categoria di alimenti è soggetta a restrizioni simili. Il settore dei prodotti freschi è fortemente impegnato nella sostenibilità in tutti i suoi aspetti. Non c’è bisogno di regole scollegate dalla realtà aziendale per guidare il settore dei prodotti freschi, che già mira a ottenere i migliori risultati, garantendo al tempo stesso qualità e freschezza e limitando gli sprechi.
Per Pro Food, “se questo sarà l’esito finale, si tratterà di un duro colpo all’efficienza e alla capacità di penetrazione in Europa della nostra filiera ortofrutticola; di una fonte di costi per la ristorazione collettiva; di una limitazione all’accesso sicuro ed economico a consumi alimentari di massa”.
“Nonostante l’impegno del Governo italiano e di tanti nostri rappresentanti a Bruxelles, e rovesciando la ragionevole proposta votata dal Parlamento europeo, alla fine i bandi previsti dall’articolo 22 si sono concentrati ed inaspriti solo sugli imballaggi in plastica: e su quelli per il confezionamento di frutta e verdura si è veramente toccato il fondo”, sottolinea il Gruppo Produttori Imballaggi per alimenti freschi.
“Perché l’articolo 22 prevede la messa al bando degli imballaggi per frutta e verdura non lavorate, per quantità inferiori al kilo e mezzo; ma anche la possibilità, per ogni stato membro, di introdurre specifiche esenzioni per dimostrate necessità di salvaguardia di specifiche varietà; ma anche la possibilità, per gli stati membri, di mantenere in essere ulteriori divieti, se già previsti da leggi nazionali; ma anche la possibilità, per la Commissione Europea, di aggiungere a seguire nuovi divieti”.
Pro Food aggiunge: “Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i fondamentali del commercio comunitario può valutare se tutto ciò sia sostenibile o meno, e soprattutto quanto alto sia il rischio, se non la certezza, di minare il concetto fondamentale di mercato unico, creando “de facto” tante leggi nazionali per gli imballaggi. Il prodotto di questa miscela è semplicemente la distruzione del comparto dei produttori di imballaggi per ortofrutta: un’eccellenza italiana a livello europeo, visto che oltre il 70 % degli imballaggi per ortofrutta utilizzati in tutta Europa è prodotto da aziende italiane”.
“I produttori italiani di imballaggi in plastica per ortofrutta investono da sempre in sostenibilità e sviluppano già un’economia circolare, fatta di crescenti e rilevanti quote di riciclo dei prodotti immessi sul mercato”, fa presente Pro Food.
“Offriamo al mercato imballaggi così all’avanguardia che in molti casi rispettano già oggi non solo i criteri del regolamento 2023/2486 (“Regolamento sulla Tassonomia” che dovrebbe di suo definire attività e prodotti “sostenibili”), ma anche quelli che la stessa PPWR ha come obiettivo per il 2040 (riciclabilità associata ad un contenuto medio di riciclato pari al 70% del peso dell’oggetto)”.
“Anche grazie alla disponibilità di questi imballaggi efficaci e sostenibili cresce l’export ortofrutticolo italiano. E anche grazie ad essi a Berlino si mangiano pomodori di Pachino ben conservati, e a prezzi sopportabili”.
“Non c’è nessun dato oggettivo (nessuno!), nemmeno nello stesso studio su cui si fonda il PPWR, che dimostri come le alternative permesse dalla PPWR abbiano un impatto ambientale inferiore agli imballaggi in plastica, anzi!”, incalza Pro Food. “La grandissima capacità di conservazione degli imballaggi in plastica riduce il deterioramento del contenuto e quindi il rischio di spreco alimentare: un aspetto fondamentale, che un approccio olistico mirato alla sostenibilità globale (contenitore + contenuto) non può trascurare, e che invece il legislatore ha trascurato”.
“La sostenibilità ambientale non può essere disgiunta da quella economica: gli imballaggi alternativi costano almeno il doppio di quelli in plastica, e questo extra-costo, aggiunto a quello “invisibile” di alimenti gettati perché deteriorati più velocemente, finirà per ricadere soprattutto sugli agricoltori e sui consumatori finali, generando inflazione per molti prodotti, anche di qualità, del paniere alimentare”.
“Oggi la presenza degli imballaggi plastici, così economici, può fare da deterrente alla crescita dei prezzi delle soluzioni di imballaggio e distribuzione alternative: cosa accadrà domani? Occorre poi essere chiari: in molti casi, quella che viene considerata la principale e più efficace alternativa alla plastica, ovvero la “carta”, solo carta non è, ma il risultato di un accoppiamento fra carta e plastica!”.
“Anche la sostituzione della plastica con bioplastica, per questi imballaggi – prosegue Pro Food – non è una strada realisticamente percorribile: le nostre aziende producono già da anni contenitori in bioplastica, ma in questo caso i limiti di disponibilità, di costo, e ancor più di funzionalità rendono l’alternativa buona solo per quote minime della domanda della filiera agricola”.
“Va detto peraltro che la grande distribuzione ha già fatto di propria iniziativa una sorta di selezione di quanto debba essere venduto sfuso (oggi circa il 50% del totale del mercato) e ha già introdotto alternative alla plastica laddove realisticamente possibile”.
“Il PPWR vieta anche l’utilizzo di contenitori in plastica per il settore HoReCa, a partire dai bicchieri in plastica: un radicale inasprimento della recentissima -e non ancora del tutto implementata- Direttiva sulle plastiche monouso (“Direttiva SUP”)”.
“È dimostrato che i benefici ambientali che il PPWR (nel suo complesso!) dovrebbe portare sono stati calcolati male e in modo parziale ed arbitrario, e ciononostante quel che ne risulta è irrisorio: in termini di emissioni di CO2, ben meno dell’1% di quanto prodotto ogni anno nella Comunità Europea”.
(fonte: Freshcutnews.it)