Anno drammatico per la frutta romagnola. Le percentuali di perdite per la maggior parte delle colture si equivalgono a quelle del 2020, uno degli anni più nefasti per il comparto, ma per alcune il 2023 è anche peggio. Oltre poi alle perdite di produzione e ai mancati incassi relativi, nel 2023 pesano i danni a impianti, strutture, attrezzature e mezzi. In particolare dal 2020 le colture non hanno più raggiunto il loro potenziale produttivo medio.
A rivelarlo l’analisi dell’annata agraria di quest’anno presentata da Cia Romagna in occasione di “Ricostruiamo il futuro dell’agricoltura romagnola”, tema dell’edizione 2023 dell’evento organizzato a Bagnacavallo, Comune in provincia di Ravenna fra quelli coinvolti dalle due alluvioni di maggio. La fotografia dell’andamento complessivo del comparto agricolo romagnolo (province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini) è stata illustrata dal direttore di Cia Romagna Alessia Buccheri e dal responsabile del servizio tecnico fondiario e credito di Cia Romagna Marco Paolini.
Nel 2023 il calo produttivo medio è drastico anche perché, anche a causa dei noti eventi meteo, interessa praticamente tutte le colture: actinidia (-40% e oltre), albicocco (-26%), fragola in campo (-34,6%), pero (-60%), pesco (-45%), nettarina (-44%); ciliegio (-73%), melo (-7%), susino (-43%). Anche per castagno, nocciolo, noce, kaki rese medie dimezzate e scarsa produzione (-50% e oltre).
Superfici coltivate in calo in Romagna del -11% per il pesco; -6,5% per la nettarina; -4% per il susino; -3% rispettivamente per albicocco, ciliegio, pero; -2% rispettivamente per melo e actinidia. In merito ai prezzi all’origine là dove anche si prevedono andamenti leggermente migliori rispetto al 2022 il problema è dato dalla carenza o mancanza di prodotto.
Da anni l’agricoltura sta vivendo una fase drammatica e il 2023, nell’ultimo decennio, è stato addirittura paradossale: da un lato l’anomalia delle piogge (con le disastrose alluvioni di maggio in pianura e frane in collina) e gelate primaverili e, dall’altro, siccità e temperature sopra le medie prolungate nel tempo. Alle crisi climatiche e fitosanitarie si aggiungono l’inflazione, gli alti costi di produzione, le tensioni internazionali.
La flessione delle imprese agricole in Romagna risulta superiore a quella del 2022 e pressoché tutti i settori e le produzioni risultano compromessi. L’economia romagnola vale il 2,2% del Pil nazionale in termini di produzione e di contribuzione. Rimettere in piedi il territorio romagnolo, con interventi sostanziosi e rapidi, è un investimento non un costo: prima ripartiranno tutte le attività produttive, come quelle legate al settore agricolo, meglio sarà per tutta l’economia italiana.



