Le prossime scadenze previste a cavallo della fine dell’anno e l’inizio del prossimo, che la Commissione Europea ha anticipato per alcune modifiche all’OCM e alla Direttiva sulle pratiche sleali, ricevono già l’attenzione di molti comparti produttivi e delle relative filiere, ma, proprio per la sua struttura normativa inerente la “regolazione di mercato” in vigore da tre decenni, l’interesse del settore ortofrutticolo è particolare e il confronto interno si fa molto serrato. Con un interessantissimo seminario svoltosi in giugno a Bruxelles, la Direzione Agricoltura della Commissione Europea ha (ri)aperto un monitoraggio ed una ulteriore “lente di ingrandimento” sul ruolo degli strumenti aggregativi dei produttori ortofrutticoli e sul loro livello di utilità, di utilizzo e di gradimento da parte dei produttori stessi. In proposito, solo alcuni dati: L’ortofrutta è un settore chiave dell’agricoltura dell’UE e che rappresenta il 12,6% (circa 68 miliardi di euro) della produzione agricola dell’UE. L’elevata frammentazione della produzione è un dato comune, con piccole aziende agricole che (dato 2022) avevano in media 2,5 ha di frutteto e 2,7 ha di superficie orticola, a fronte di acquirenti sempre più concentrati. L’alta deperibilità dei prodotti, ha sempre posto e pone i produttori in una posizione di permanente debolezza negoziale nella catena di approvvigionamento. Di conseguenza, le Organizzazioni di Produttori (OP) sono state istituite come strumento politico proprio nel settore ortofrutticolo. Le OP sono sempre state al centro della politica dell’Unione Europea in tema di ortofrutta, fin dal suo inizio e lo strumento dell’Organizzazione Comune di Mercato che cofinanzia la progettualità delle Organizzazioni dei Produttori di ortofrutta (senza plafond) è sostanzialmente lo stesso da quasi trent’anni. In queste ultime annate la produzione di ortofrutta dell’UE-27 – commercializzata attraverso le OP riconosciute – ha sfiorato il 50%. Tuttavia, esistono differenze significative tra gli Stati membri: il tasso di organizzazione è più alto in Belgio (92%), seguito da Paesi Bassi (82%), Italia (62%), Spagna (61%) e Francia (60%). Al contrario, Stati membri come Bulgaria, Slovenia e Romania hanno un tasso di organizzazione molto basso. Il dato italiano è di grande interesse e le OP ortofrutticole sono presenti in quasi tutte le regioni d’Italia, ma il valore medio della produzione commercializzata nazionale per OP oscilla tra i 17 e i 18 milioni di euro nonostante esistano OP con oltre 200 milioni di fatturato. Nonostante la storicità dello strumento aggregativo, è sotto gli occhi di tutti una sempre maggiore vulnerabilità del settore ortofrutticolo, con coltivazioni per le quali da anni si assiste ad espianti e ad una drastica diminuzione degli investimenti (esempio pere e pesche), certamente per motivazioni adducibili in parte a fenomeni climatici e fitopatie che hanno compresso il reddito degli agricoltori per più anni di seguito, ma anche perché certe opportunità sul fronte delle relazioni di filiera, promozione dei consumi, innovazione di prodotto e processo, organizzazione, necessitano di essere maggiormente promosse e rafforzate. Le Organizzazioni dei Produttori (e più in generale il cosiddetto “pacchetto OCM” con anche la possibilità di organizzarsi in AOP, in Filiali, in OP e AOP Transnazionali, senza dimenticare la deroga “antitrust” che permette la pianificazione della produzione ed il potenziale ruolo delle O.I.) rappresentano ancora lo strumento migliore (e meglio finanziato a fronte di importanti impegni di sistema) per poter raggiungere la concentrazione dell’offerta necessaria ad assolvere al ruolo di “contro-potere” di mercato a cui la produzione ha sempre aspirato, ma devono potenziare ulteriormente le loro funzioni “centrali” di missione, affinché il valore del prodotto e la conseguente remunerazione dell’agricoltore sia maggiore di quella ottenibile individualmente. Torneremo certamente sull’argomento, la sua centralità è strategica per l’intero settore ed è evidente che serve un salto di qualità nell’utilizzo del “pacchetto OCM”, così come quegli aggiornamenti normativi e di semplificazione burocratica che possano rendere più attrattivi gli strumenti a disposizione per indirizzare ed incentivare il mondo della produzione a quelle scelte (aumento dei livelli di aggregazione, relazioni fra le stesse OP, investimenti per un deciso aumento della qualità organolettica, disponibilità ad azioni collettive di promozione al consumo, ecc.) sulle quali, usando un eufemismo, c’è ancora molta timidezza.
Secondo Istat, negli ultimi 15 anni in Sicilia sono scomparsi il 50% dei limoni, il 31 % degli aranci e il 18% dei mandarini a favore di cemento e parchi eolici. Dal che si deduce che il Made in Italy è minacciato soprattutto dagli italiani *
SERVE UN SALTO DI QUALITÀ SULL’UTILIZZO DELL’OCM PER FAR FUNZIONARE MEGLIO OP E AOP
Le prossime scadenze previste a cavallo della fine dell’anno e l’inizio del prossimo, che la Commissione Europea ha anticipato per alcune modifiche all’OCM e alla Direttiva sulle pratiche sleali, ricevono già l’attenzione di molti comparti produttivi e delle relative filiere, ma, proprio per la sua struttura normativa inerente la “regolazione di mercato” in vigore da tre decenni, l’interesse del settore ortofrutticolo è particolare e il confronto interno si fa molto serrato.
Con un interessantissimo seminario svoltosi in giugno a Bruxelles, la Direzione Agricoltura della Commissione Europea ha (ri)aperto un monitoraggio ed una ulteriore “lente di ingrandimento” sul ruolo degli strumenti aggregativi dei produttori ortofrutticoli e sul loro livello di utilità, di utilizzo e di gradimento da parte dei produttori stessi.
In proposito, solo alcuni dati:
L’ortofrutta è un settore chiave dell’agricoltura dell’UE e che rappresenta il 12,6% (circa 68 miliardi di euro) della produzione agricola dell’UE.
L’elevata frammentazione della produzione è un dato comune, con piccole aziende agricole che (dato 2022) avevano in media 2,5 ha di frutteto e 2,7 ha di superficie orticola, a fronte di acquirenti sempre più concentrati.
L’alta deperibilità dei prodotti, ha sempre posto e pone i produttori in una posizione di permanente debolezza negoziale nella catena di approvvigionamento.
Di conseguenza, le Organizzazioni di Produttori (OP) sono state istituite come strumento politico proprio nel settore ortofrutticolo. Le OP sono sempre state al centro della politica dell’Unione Europea in tema di ortofrutta, fin dal suo inizio e lo strumento dell’Organizzazione Comune di Mercato che cofinanzia la progettualità delle Organizzazioni dei Produttori di ortofrutta (senza plafond) è sostanzialmente lo stesso da quasi trent’anni.
In queste ultime annate la produzione di ortofrutta dell’UE-27 – commercializzata attraverso le OP riconosciute – ha sfiorato il 50%. Tuttavia, esistono differenze significative tra gli Stati membri: il tasso di organizzazione è più alto in Belgio (92%), seguito da Paesi Bassi (82%), Italia (62%), Spagna (61%) e Francia (60%). Al contrario, Stati membri come Bulgaria, Slovenia e Romania hanno un tasso di organizzazione molto basso.
Il dato italiano è di grande interesse e le OP ortofrutticole sono presenti in quasi tutte le regioni d’Italia, ma il valore medio della produzione commercializzata nazionale per OP oscilla tra i 17 e i 18 milioni di euro nonostante esistano OP con oltre 200 milioni di fatturato.
Nonostante la storicità dello strumento aggregativo, è sotto gli occhi di tutti una sempre maggiore vulnerabilità del settore ortofrutticolo, con coltivazioni per le quali da anni si assiste ad espianti e ad una drastica diminuzione degli investimenti (esempio pere e pesche), certamente per motivazioni adducibili in parte a fenomeni climatici e fitopatie che hanno compresso il reddito degli agricoltori per più anni di seguito, ma anche perché certe opportunità sul fronte delle relazioni di filiera, promozione dei consumi, innovazione di prodotto e processo, organizzazione, necessitano di essere maggiormente promosse e rafforzate.
Le Organizzazioni dei Produttori (e più in generale il cosiddetto “pacchetto OCM” con anche la possibilità di organizzarsi in AOP, in Filiali, in OP e AOP Transnazionali, senza dimenticare la deroga “antitrust” che permette la pianificazione della produzione ed il potenziale ruolo delle O.I.) rappresentano ancora lo strumento migliore (e meglio finanziato a fronte di importanti impegni di sistema) per poter raggiungere la concentrazione dell’offerta necessaria ad assolvere al ruolo di “contro-potere” di mercato a cui la produzione ha sempre aspirato, ma devono potenziare ulteriormente le loro funzioni “centrali” di missione, affinché il valore del prodotto e la conseguente remunerazione dell’agricoltore sia maggiore di quella ottenibile individualmente.
Torneremo certamente sull’argomento, la sua centralità è strategica per l’intero settore ed è evidente che serve un salto di qualità nell’utilizzo del “pacchetto OCM”, così come quegli aggiornamenti normativi e di semplificazione burocratica che possano rendere più attrattivi gli strumenti a disposizione per indirizzare ed incentivare il mondo della produzione a quelle scelte (aumento dei livelli di aggregazione, relazioni fra le stesse OP, investimenti per un deciso aumento della qualità organolettica, disponibilità ad azioni collettive di promozione al consumo, ecc.) sulle quali, usando un eufemismo, c’è ancora molta timidezza.
Nazario Battelli
Vicepresidente Gruppo ortofrutta di Copa-Cogeca,
LA SPREMUTA DEL DIRETTORE
L'ASSAGGIO
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