SICILIA, IL LIMONE DELLA CONCA D’ORO DI PALERMO VUOLE L’IGP. “DOSSIER IN PREPARAZIONE”

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Tra abbandoni e cementificazione la superficie dovrebbe oscillare tra 300 e 400 ettari. Nei piccoli e piccolissimi spezzoni di terra del Palermitano, spesso rimasti interclusi tra case e villette per la villeggiatura si coltiva ancora il limone. Una coltura che, dopo il declino degli anni ’70 (prima di allora con il raccolto di un anno si “maritava” una figlia dandole casa e dote, raccontano gli anziani), sembra adesso tornata in auge. Sul mercato del limone, quello di provenienza siciliana è molto richiesto e ciò ha portato al rialzo dei prezzi.
Le aziende agricole nel frattempo, vuoi a causa del frazionamento successorio, vuoi a causa dell’inarrestabile cementificazione (spesso abusiva), hanno perso la dimensione economica di un tempo e hanno spesso di estensioni limitate. Ma questo non scoraggia i produttori. Tanto da indurli a tentare la carta dell’IGP, consapevoli che, se a un prodotto di qualità e sostenibile si aggiunge l’eccellenza di un marchio territoriale, l’appeal, e quindi la remunerazione, può solo migliorare. L’IGP, infatti, servirebbe a distinguere immediatamente e facilmente un prodotto realizzato in Sicilia da quello di provenienza estera. Ma serve anche a difendere i produttori dalle truffe e dai raggiri operati da chi spaccia per italiano un prodotto che invece arriva da oltre confine e spesso da oltreoceano. In Sicilia esistono già altre tre IGP per l’agrume in questione: Limone di Siracusa IGP, Limone Interdonato Messina IGP e Limone dell’Etna IGP.
Per quello coltivato in provincia di Palermo nella fascia settentrionale della Sicilia, i produttori sono, dunque, in cerca di una identità territoriale e di un marchio che ne protegga la provenienza. Storicità, tradizione e alta qualità. Sono questi gli elementi che contraddistinguono quello che potremmo definire un biodistretto che dalla Conca d’Oro di Palermo, passando per la Piana di Bagheria attraversa i limoneti di Campofelice di Roccella e Lascari per arrivare a Cefalù, e su cui si basa la proposta dell’Indicazione Geografica Protetta. Ecco perché la denominazione che intendono rivendicare a Roma e a Bruxelles è il “Limone della Conca d’Oro IGP”. Un nome che evoca Palermo e con essa il percorso arabo-normanno (che include Cefalù) riconosciuto patrimonio dell’Unesco nel 2015.
Il primo passo, ovvero la costituzione del comitato promotore è stato compiuto. Lo presiede Antonio Fricano (nella foto), presidente dell’associazione Apo Sicilia e del Consorzio Bia, consorzio agricolo tra produttori di ortofrutta biologica nato nel 2011 e che oggi conta una dozzina di strutture abilitate al condizionamento dei prodotti biologici freschi.
Proprio Fricano ha dato il là della proposta che è stata immediatamente e con entusiasmo accolta dai soci di Apo Sicilia. “I soci che producono il limone – spiega Fricano – interpretano l’IGP anche come una sorta di riconoscimento sociale del loro modo di esercitare l’agricoltura in modo quasi eroico. Un riconoscimento per il loro impegno, la loro tenacia, la loro voglia di mantenere in vita una coltura dalla tradizione secolare che ancora oggi costituisce una considerevole massa critica”.
Adesso si procede a grandi passi nella preparazione del corposo dossier che è richiesto per ottenere l’iscrizione al Registro europeo delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette. Alcuni documenti sono già pronti come la delimitazione dell’areale di produzione e le cultivar che qui vengono coltivate: Femminello comune e Zagara Bianca. Presto sarà pronto il resto della documentazione: la relazione storica, quella tecnica e quella socio-economica. “I tecnici sono già al lavoro ma – dice Fricano – su tempi è meglio non azzardare previsioni visto che bisogna, comunque, rispettare una procedura severa che deve accertare la veridicità dei presupposti colturali e produttivi e la reale volontà del tessuto produttivo”.
Angela Sciortino

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