SUCCO D’ARANCIA ROSSA “TAROCCATO” CON LE “BIONDE”. LA RICERCA: “PRATICA DIFFUSA”

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La tutela di consumatori e produttori passa anche dalla genetica. Tecniche di laboratorio basate sul sequenziamento del Dna permetteranno presto di scovare chi “tarocca” i succhi di agrumi spacciandoli come 100% di arancia rossa.
Non è certamente dannosa alla salute, ma la pratica di miscelare al succo di arancia rossa anche quello delle più comuni bionde, pare sia piuttosto diffusa. Ma costituisce un danno notevole per i produttori di arancia rossa in termini economici e di immagine. Da tempo, infatti, con in testa il Consorzio di tutela dell’Arancia Rossa Igp, conducono una battaglia di qualità e riconoscibilità per un prodotto dalle caratteristiche organolettiche e nutraceutiche ormai ben note e apprezzate dai consumatori.
Di recente un gruppo di ricercatori che si occupa di arboricoltura e genetica, coordinato da Gaetano Di Stefano e composto da Sebastiano Seminara, Stefania Bennici, Francesco Scollo, Mario Di Guardo, Pablo Aleza, Stefano La Malfa e Alessandra Gentile – tutti del Dipartimento Di3A dell’Università di Catania – hanno analizzato 15 prodotti dichiarati come “Arancia rossa 100%” (succhi freschi, a lunga conservazione e bevande gassate) presenti negli scaffali dei principali supermercati. Di questi un terzo in realtà è stato dimostrato essere una miscela di succo di arance bionde e rosse.

Ma come è stato possibile smascherare le etichette “bugiarde”? Grazie all’analisi del Dna degli agrumi, il gruppo di ricerca ha messo a punto un database di sequenze univoche per ben 29 varietà di arance individuando “marker” specifici per ciascuna di esse. Il confronto tra i Dna presenti nei succhi e quelli sequenziati ha segnalato difformità in ben cinque succhi sui 15 analizzati. Difformità non apprezzabile nè dal palato nè dalla vista. Il colore del succo, infatti, fino a che la percentuale di quello di arancia bionda è pari al 30 per cento, non manifesta in genere apprezzabili cambiamenti di colore.
La tecnologia di sequenziamento “a ritroso” per gli agrumi è stata descritta in un articolo scientifico dal titolo “High Resolution Melting Dna analysis for the traceability of plants and juices of biond and pigmented sweet orange” è stato pubblicato ed è integralmente consultabile sul “Journal of Agriculture and Food Research”, nota rivista internazionale di settore. Entro breve tempo si rivelerà fondamentale per scoprire le adulterazioni alimentari, offrendo uno strumento innovativo basato sulla tracciabilità genetica per la sicurezza e la qualità dei prodotti agroalimentari siciliani, visto che è applicabile in qualsiasi comparto e per tracciare tutta la filiera dal vivaio al prodotto trasformato. Un altro esempio di questa tecnica, infatti, è stato adottato sulla mandorla di Avola su pressante richiesta del consorzio dei produttori (quasi tutti del Sud-Est della Sicilia dove è diffusa questa cultivar parecchio ricercata) perché troppo spesso assistevano alla introduzione in commercio con il loro marchio (ancora non di origine certificata) di mandorle di origine ignota. Per alcuni prodotti è già possibile avere “responsi” ufficiali. Lo stesso team di ricerca catanese, infatti, ha dato vita a uno spin-off universitario: Agriunitech è oggi laboratorio accreditato dalla Regione Siciliana per l’identificazione varietale.

Angela Sciortino

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