Nel Perù amazzonico cresce spontaneamente una pianta che produce frutti racchiusi in una cabossa. Stretta parente della Theobroma cacao, la Theobroma bicolor è una pianta della stessa famiglia che regala al mondo il “cibo degli dei” e, memoria d’uomo, racconta Mitsuharu “Micha” Tsumura, chef bistellato al Maido di Lima, “è sempre esistita tanto che i suoi frutti hanno sempre fatto parte dell’alimentazione dei nativi”. Della Theobroma bicolor, comunemente conosciuta come macambo (o mocambo), cacao bianco o albero del giaguaro, non si getta via nulla.
Cos’è il macambo
Guscio durissimo, aspetto simile a quello della cabossa del cacao ma di dimensioni più grandi, al suo interno cela un vero e proprio ben di Dio. I semi sono commestibili nella loro interezza, così come lo è il loro rivestimento e tutto ciò che è all’interno della cabossa. Con la polpa interna, per esempio, si possono fare marmellate, succhi o gelati. La membrana tra cabossa e polpa può essere utilizzata in pasticceria. Con i semi le possibilità sono quasi infinite: si possono mangiare freschi, possono essere tostati e salati, essere ridotti in farina, trasformati in crema e se ne può ricavare un olio. Mitsuharu “Micha” Tsumura è in procinto di inserire nella carta del suo Maido, ottavo ristorante nella classifica “The World’s 50 Best Restaurant”, un dolce fatto con tutte le parti del macambo che ha presentato e fatto assaggiare in anteprima a Care’s, The Ethical Chef Days in Val Badia.
Buono e sano
Oltre a essere una bontà per il palato, il macambo può essere considerato – a ragion veduta – un cosiddetto superfood. Ogni seme di macambo contiene il 31% di fibre ricche che, tra gli altri, contribuiscono a mantenere basso il livello di colesterolo e regolare il livello di zucchero nel sangue. Le proteine pure dei semi, poi, raggiungono il 25%, e il macambo è anche ricco di omega 9 oltre che, come il cacao, ricco di teobromina, antidepressivo naturale. “Si tratta di un alimento dalle proprietà nutrizionali incredibili che da secoli rappresenta uno dei caposaldi della catena alimentare del Perù amazzonico”, ha continuato Tsumura che si sta impegnando in prima persona nel progetto di realizzazione di coltivazioni organizzate.
Sostenibilità e crescita
Due i motivi che stanno spingendo Tsumura. Il primo è legato al rischio di estinzione di questa varietà di frutto (pataste in America Centrale dall’originario nome maya “pataxte”), inserito tra quelli dell’Arca del Gusto della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, a causa della deforestazione e del cambio climatico. Il secondo, invece, attiene a un progetto di crescita del territorio “per trasformare un simbolo di povertà in un simbolo di salute e redditività attraverso la distribuzione del macambo tramite una rete equo-solidale”. I percorsi verso la sostenibilità del Sudamerica, però, sono molto travagliati. “Ci vorranno almeno 10 anni affinché si sviluppino dei seri programmi di sostenibilità – sottolinea Tsumura –. A questi devono essere affiancati altri progetti di educazione e comunicazione che, di pari passo, aiutino i nativi a capire che il rispetto del proprio ambiente è la chiave per la sopravvivenza futura del nostro pianeta”.
(fonte: wisesociety)