Rilanciare la coltura del carciofo e attivare profonde e durature sinergie con l’imprenditoria del turismo e della ristorazione. Il tutto con l’obiettivo di frenare lo spopolamento e l’emorragia di giovani dalle aree rurali che si trovano a una manciata di chilometri dalla famosa Cefalù, tappa turistica obbligata per chi vuole completare il percorso arabo-normanno della Sicilia settentrionale.
In questo consiste l’obiettivo di una mobilitazione (mai vista prima) di amministratori locali, associazioni, produttori e perfino di massaie, intorno al prodotto principe dell’agricoltura della Valle del Torto, nella Sicilia settentrionale. Qui, per iniziativa dell’amministrazione comunale di Cerda, centro agricolo noto ai più per il suo famoso e celebrato carciofo, è stato deciso di dedicare all’ortaggio spinoso non una semplice sagra (come è accaduto negli ultimi 41 anni), ma un festival della durata di nove giorni, denso di eventi e manifestazioni.

Il festival dedicato al carciofo

Il Cynara Festival – che ha inglobato la consueta sagra annuale che è sempre stata celebrata il 25 aprile in occasione della Festa della Liberazione – è iniziato il 20 aprile e si concluderà il 28 dello stesso mese. Per il 2024 gode di un corposo contributo (229 mila euro) previsto dal collegato alla legge finanziaria a cui si aggiungono altri 48.500 euro a titolo di compartecipazione per la costituzione della Fondazione “Sagra del Carciofo” che la Regione Siciliana ha voluto mettere sul piatto per il rilancio – attraverso l’organizzazione di eventi strutturati – della coltivazione e della valorizzazione del carciofo di Cerda. Carciofo che in realtà si coltiva in tutta la Valle del Torto e dell’Imera e, oltre Cerda, interessa diversi altri comuni: Sciara, Campofelice di Roccella e Termini Imerese.

Il Comune di Cerda e la sua vision sul carciofo

Tra i progetti dell’amministrazione guidata da Salvatore Geraci – che è anche deputato regionale – c’è l’istituzione della “De.Co Carciofo di Cerda”. Primo passo di un percorso con traguardo finale la richiesta della IGP. Ma per arrivare a questo è necessario che gli agricoltori superino quell’atavico individualismo che negli ultimi decenni è stato la principale causa dell’arretramento della coltura il cui areale oggi è ridotto a poco più di 700 ettari: mille in meno rispetto a qualche decennio fa. Illudendosi che il loro sistema commerciale non potesse essere messo in discussione dal rapido evolversi della filiera, non hanno mai pensato a riunirsi in strutture associative capaci di presentarsi sul mercato con masse critiche interessanti per i player degli ortaggi freschi. E così per le aziende di questo comprensorio dalle dimensioni piuttosto contenute (15-20 ettari le più grandi) si è assistito ad un inevitabile declino.

“Ricordo che da Cerda, quando ero solo un ragazzo, partivano i camion carichi del nostro carciofo con destinazione Napoli o Milano dove erano molto apprezzati e ricercati”, afferma con una certa nostalgia Lillo Dionisio, agricoltore 68enne – 20 ettari ad ortaggi di cui la metà a carciofo – che ha passato la mano al figlio Gabriele.

Non solo carciofi

I costi di produzione e di trasporto sempre crescenti hanno scoraggiato molti agricoltori che preferito ridurre le superfici destinate al carciofo e hanno diversificato la produzione dedicandosi anche alla coltivazione di altri ortaggi come finocchi, broccoli e broccoletti. Senza organizzazione, non conviene più la via del Nord, dunque. E i Dionisio, che soprattutto nel periodo di punta, raccolgono 6-7mila capolini al giorno, si sono dedicati ai mercati locali: due punti per la vendita diretta, uno a Cefalù, l’altro a Campofelice di Roccella; cinque mercati del contadino tra Palermo, Cefalù e Campofelice di Roccella, e poi forniture a dettaglianti dei paesi vicini.

Il difficile rapporto con il mercato

Chi non ha rinunciato al rapporto con i mercati all’ingrosso è Salvatore Cappadonia, 50 anni e un’azienda di 15 ettari per il 50% investita a carciofi. Per il suo raccolto che comincia a fine novembre e in genere si protrae fino alla prima quindicina di maggio, lo sbocco principale è dato dai mercati all’ingrosso di Palermo e Villabate (Pa). Ma non è soddisfatto: “In questi mercati arriva tanta merce non italiana con la quale non possiamo competere sul prezzo. Ci penalizzano gli accordi bilaterali Ue-Egitto che permettono l’ingresso a dazio zero di carciofi proprio nel periodo in cui li produciamo anche noi. Si tratta di concorrenza sleale: siamo di fronte all’assenza di equità commerciale perché le regole che dobbiamo rispettare in tutti i campi dal fiscale al previdenziale, dall’igiene degli alimenti al controllo delle fitopatie e dei parassiti in Italia sono piú stringenti”.

La batosta siccità: produzione di carciofi dimezzata

Quest’anno, poi, a causa della siccità e del caldo anomalo di una primavera arrivata molto in anticipo, la produzione di carciofi subirà un calo del 40-50 per cento. E anche la prossima campagna non si prospetta migliore. Il comprensorio del carciofo per l’irrigazione utilizza l’acqua della diga Rosamarina di Caccamo che, come tutti gli invasi artificiali della Sicilia è praticamente a secco: quel poco di acqua che contiene è destinato agli usi potabili di Palermo e per i mesi estivi in cui si impiantano le carciofaie non è prevista la distribuzione di acqua irrigua. Andrà bene solo a chi non ha dismesso i pozzi ed ha costruito vasconi per l’accumulo dell’acqua. Nella piana, anche dopo mesi in cui è piovuto pochissimo, la falda è a una decina di metri di profondità ed il prelievo non è problematico.

Agricoltori all’avanguardia, ma non nella presentazione del prodotto

La tecnica di coltivazione non è più un mistero per gli agricoltori di questo comprensorio: sono decenni che la praticano e si sono anche attrezzati e adeguati per renderla più sostenibile. “Grazie alle favorevoli condizioni pedoclimatiche usiamo pochissimi agrofarmaci e, comunque, nel pieno rispetto delle norme tecniche in materia. Noi, ad esempio, facciamo solo due interventi e solo se necessari: uno per controllare l’oidio, l’altro per gli afidi”, precisa Lillo Dionisio.
Ma ciò che manca è una più moderna presentazione del prodotto. Nella maggior parte dei casi viene ancora venduto in fasci da venti capolini e raramente in cassetta. “Il prezzo che spunta è identico, dunque, perchè aumentare i costi?”, si chiede Dionisio.
Poi ci sarebbe la partita del bio da giocare. “Ci abbiamo pensato, ma farlo solo per il premio non serve. In Sicilia manca una piattaforma logistica del biologico di ampiezza adeguata che possa assorbire le nostre produzioni”, dice Cappadonia.

La strategia di rilancio in tre mosse

Per rilanciare questo prodotto un tempo identitario di un territorio dove alcuni ristoratori hanno fatto la loro fortuna puntando sul prodotto locale, esperti e politici hanno già disegnato una strategia di verticalizzazione della filiera.
Tre le direttrici su cui puntare: la diffusione del carciofo di Cerda come ingrediente fisso nei menù della ristorazione siciliana più qualificata, cosa che può costituire un bacino di vendite ad alto contenuto di immagine; la promozione di accordi di filiera con alcune piattaforme logistiche in alto Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna; la trasformazione presso strutture già operative in Sicilia. Tutto preceduto da una forte volontà aggregativa, senza la quale la strategia difficilmente potrà essere messa in pratica.
Carciofo di Cerda, sempre nel cuore degli agricoltori della valle del Torto
Per quanto siano grandi le difficoltà dei produttori di tutta la Valle del Torto, il carciofo spinoso di Cerda è sempre nel loro cuore e sperano che il 2024 possa essere l’anno in cui comincia la riscossa. “Il nostro carciofo non ha rivali in Italia”, afferma Lillo Dionisio. Il solito campanilismo o verità? “Bisogna provare per credere”, sfida Dionisio. Il coro dei produttori è unanime: “La varietà che qui si coltiva per tradizione da sempre, produce capolini dal sapore e dalla consistenza unica”. Dello stesso parere i nutrizionisti. “Grazie alla sua pigmentazione violacea, il carciofo di Cerda è ricchissimo di antiossidanti, essenziali per la salute dell’uomo, che – in questa cultivar – si trova in percentuali assai più alte rispetto ad altre varietà”, spiega Simona Spoto, biologa nutrizionista palermitana.

Il carciofo spinoso di Cerda ha un cuore carnoso e brattee tenere ma allo stesso tempo croccanti e si presta a qualsiasi preparazione: da crudo al carpaccio, a arrostito sulla brace, da ripieno, a base per una ricca frittata”.
Di questa versatilità in cucina, al Cynara Festival, sarà testimone Giusina Battaglia notissima conduttrice del format gastronomico televisivo di successo “Giusina in cucina” su Food Network e che da gennaio scorso fa anche parte integrante del cast di “È sempre Mezzogiorno” su Raiuno.
Presente anche la Brigata delle Signore di Cerda, sei donne appassionate, che hanno messo insieme un ricco ricettario e che con genuinità fanno rivivere sulle tavole piatti della tradizione, ereditati dai racconti delle mamme, dai ricordi delle nonne.

Carciofo fa rima con vino?

Il carciofo di Cerda quest’anno è sbarcato perfino al Vinitaly dove è stato dimostrato che si possono superare quei pregiudizi di “incomunicabilità tra carciofo e vino”. Il primo alleato in questa sfida è la Doc Monreale. Dice Mario Di Lorenzo, produttore e presidente della prestigiosa Doc che ha di recente rinnovato il disciplinare di produzione: “È una scommessa che con il Cynara Festival abbiamo voluto intraprendere. I nostri vitigni da disciplinare di produzione, centrati su Catarratto, Perricone e Syrah, danno vini che possono ben sposare le ricette a base del carciofo”.

Angela Sciortino

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