INSALATE IN BUSTA “ATTACCATE” DA UNA STARTUP DELLO SFUSO. LA REPLICA DI UIF

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Migliaia di interazioni, più di 300 reazioni e oltre 120 commenti: sono i numeri dell’ennesimo “attacco alla IV Gamma” perpetrato, questa volta, non da una testata giornalistica o da un programma di simil-intrattenimento ma da un post su Linkedin di Ottavia Belli, founder di Sfusitalia (startup nata per  “potenziare e digitalizzare il mercato sfuso e zero waste italiano sensibilizzando i cittadini su stili di vita dal ridotto impatto ambientale”).

“L’insalata in busta non ha senso” il titolo perentorio del post. Che inizia così: “Molte persone trovano comodo acquistare l’insalata già pronta e confezionata in busta, ma prima di cedere a questa tentazione, è importante considerare attentamente le ragioni per cui dovremmo evitarla.

Quindi l’elenco dei “contro”: costo elevato (“il prezzo al chilo dell’insalata sfusa si aggira intorno ai 2-3 euro, il prezzo al chilo dell’insalata in busta può arrivare anche a 16,90 euro”); mancanza di freschezza (“l’insalata in busta spesso perde la sua freschezza molto più rapidamente rispetto all’insalata acquistata sfusa. Questo perché la natura è molto più intelligente di noi e ha generato una verdura, l’insalata, che è fatta a strati. Questo ci permette di avere delle foglie interne sempre fresche”; impronta ecologica (la produzione e la distribuzione dell’insalata in busta generano una maggiore impronta ecologica rispetto all’insalata sfusa. Le buste di plastica, spesso non riciclabili, contribuiscono all’inquinamento ambientale e al problema dei rifiuti plastici); controllo della quantità (“Con lo sfuso possiamo facilmente regolare la quantità in base alle nostre esigenze, riducendo così gli sprechi alimentari. Con l’insalata in busta, siamo costretti ad acquistare quantità predeterminate, che potrebbero non essere adeguate alle nostre esigenze, portando a sprechi alimentari”).

Un mix di affermazioni opinabili e luoghi comuni che ha riscosso numerosi consensi, commenti da guerra santa (“Dobbiamo boicottarla”) ma anche, fortunatamente, reazioni di segno contrario.

A partire da quella di Roberta Russo, responsabile comunicazione e media di Unione Italiana Food, che argomenta punto per punto:

“1) Il costo va calcolato sul netto: di quella che compro sfusa ne butto moltissima, la devo lavare bene (molto per togliere i residui di terra/di foglie rovinate e altre sostanze) e quindi spendo anche in acqua, per non parlare del valore del mio tempo. Pago anche il servizio, il fatto che la posso mangiare subito, il fatto di avere dei mix già pronti tra varie verdure che non devo fare io: anche questo è un valore, e bello alto!

2) L’insalata in busta è freschissima e facilita proprio il consumo immediato e fuori casa della verdura (cosa essenziale per la salute umana). Al contrario se conservo per due tre giorni la verdura sfusa in frigo le sostanze nutritive si depauperano.

3) Le verdure in busta hanno per lo più filiera cortissima e ormai è difficile trovare buste di plastica che non si riciclano. Peraltro anche l’insalata sfusa la metto nella busta per pesarla e quella, con l’etichetta del prezzo, è ancora più difficile da riciclare.

4) Per controllare la quantità basta guardare l‘etichetta, cosa non esistente sulla verdura sfusa, anche perché non è già pulita quindi non so quanta parte edibile ho”.

“Per quanto riguarda il lavaggio delle insalate in busta – aggiunge l’esponente di UIF – il consumo idrico viene abbattuto di 10 volte a livello industriale, mentre in merito alla freschezza delle insalate, ricordo che le aziende sono sottoposte ad una severa regolamentazione dalla L. 77/2011 e decreto min. 3746/2014”.

Anche altri cercano di fare giustizia rispetto alle ingenerose affermazioni: “Si paga il servizio – scrive uno dei commenti più apprezzati dai difensori della IV Gamma – ossia un prodotto finito e pronto per il consumo, spesso viene offerto un mix di insalate con attenzione per sapori e anche combinazioni cromatiche piacevoli da vedere”.

“L’insalata in busta – prosegue il commento – ha una scadenza che è sempre più allungata grazie alle innovazioni nel packaging. Le innovazione nel processo produttivo (lavaggio, taglio, mix, imbustamento ecc.) consentono il rispetto di parametri di sicurezza alimentare: Non ha senso denigrare questo prodotto. Come per qualsiasi prodotto non è obbligatorio acquistarlo, fa parte dell’offerta di mercato in modo che le persone possano scegliere cosa va meglio per sé”.

E c’è chi confuta la tesi del minor spreco con il fresco: “Il discorso dello spreco è inverso: se compro un cespo di lattuga e sono da sola, faccio più fatica a consumarla, rispetto a d una busta di insalata che ha una quantità predeterminata”.

Ma poi, perché non si dovrebbe lasciare libertà di scelta? “Come sempre si guarda il dito ma non la luna”, scrive un altro utente in uno dei commenti più azzeccati. “Per ragioni che non hanno nessuna importanza c’è chi preferisce l’insalata già pronta; invece di moralizzare e intestardirsi che tutti debbano vivere il cibo come noi decidiamo, basterebbe prendere atto della cosa, accettarla e muoversi tutti insieme come consumatori per chiedere che si provveda a confezioni riciclabili e produzioni quanto più possibile a basso impatto (lo zero non esiste). Invece no, bisogna sempre iniziare la solita, ritrita, sterile predica. Non se ne uscirà mai”.

Mirko Aldinucci

mirko.aldinucci@freshcutnews.it

(fonte: Freshcutnews.it)

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