LA RICERCA PUNTA A PORTINNESTI PIÙ RUSTICI E RESILIENTI

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Ritorno al passato nel mondo dei portinnesti per le colture frutticole italiane più comuni quali mele, pere e drupacee. La direzione presa dalla ricerca punta a recuperare il “vecchio” vigore di queste piante per renderle resistenti alle nuove patologie.

È quanto emerso nel corso del Simposio Internazionale Portinnesti tenutosi a Macfrut in due giornate di lavoro che hanno coinvolto i principali ricercatori di tutto il mondo.
Oltre ai risultati della ricerca, è emerso anche che la frutticoltura italiana e, in genere europea, si stia spostando a est, in particolare Azerbaigian, Uzbekistan o Moldavia, dove, per il cambio climatico, si stanno creando le condizioni ottimali, almeno in questa fase iniziale, per una melicoltura e cerasicoltura più sostenibile e redditizia.
“Questi Paesi hanno la fortuna, innanzitutto, di avere terreni molto fertili e vergini – spiega Stefano Lugli, coordinatore del salone e convener di IRS insieme a Stefano La Malfa – perché non hanno mai fatto frutticoltura. In Italia per contro la facciamo, anche in maniera sempre più intensiva, da quasi due secoli. Si tratta, inoltre, di zone dove, in primavera e in estate, non piove quasi mai, un fattore utile per la frutticoltura che non ha bisogno di piogge durante la stagione delle ciliegie ma di irrigazione. Ambienti utili, soprattutto per melo e ciliegio, che richiedono inverni freddi per accumulare le necessarie ore di freddo per fruttificare”.
La ricerca è ora indirizzata verso portinnesti più rustici e resilienti, ma altrettanto efficienti, sia per ciliegie e altre drupacee che per le mele.
Nel primo caso, ad esempio, gli sviluppi sono stati portati avanti dai ricercatori russi Gennady e Viktor Eremin nella Stazione Sperimentale di miglioramento genetico Krymsk (di cui ha parlato Frank Mass di Varieties International, sponsor dell’evento) “selezionando nuovi portinnesti per le drupacee adattabili ai mutamenti climatici come la mancanza di acqua nelle aree meridionali o agli inverni freddi per quelle settentrionali”. Nel secondo caso, continua Lugli, “i ricercatori di USDA e Cornell University di Geneva hanno lavorato su linee varietali di portinnesti del melo per renderli resistenti alle batteriosi e altre patologie del melo”.
Circa il pero, conclude Lugli, “si stanno cercando alternative all’utilizzo dei portinnesti nanizzanti del gruppo dei cotogni in impianti di pero intensivi o super intensivi. La ricerca è indirizzata verso portinnesti altrettanto efficienti e semi nanizzanti, più rustici e resistenti ai cambiamenti climatici in corso e alle patologie che oggi interessano la nostra pericoltura. L’indirizzo emerso dal simposio è verso sistemi di impianto meno intensivi, più longevi e altrettanto efficienti in termini di produzione e qualità, realizzabili grazie ai nuovi portinnesti franchi di pero che la ricerca ha selezionato e messo a disposizione ai frutticoltori”.

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