Non è tutto oro quello che luccica. Si fa spesso il paragone col sistema vino per evidenziare le difficoltà del sistema ortofrutta Italia.
Qui però voglio spezzare una lancia a favore dell’ortofrutta: intanto le imprese dell’ortofrutta hanno sempre lavorato anche durante il lockdown e alcuni comparti hanno vissuto una fase di superlavoro (agrumi, patate ecc) a differenza di tantissime cantine medio-piccole che, tranne i grandi gruppi privati e cooperativi ben piazzati dentro la GDO, sono rimaste ‘a secco’ con la chiusura del comparto HORECA (e in molti casi non si sono ancora riprese, tant’è che molte stanno passando di mano…). Poi l’export di vino sta ripartendo molto bene, ma anche l’ortofrutta si difende alla grande, basta guardare ai dati consuntivi del 2020, tra i migliori degli ultimi anni, con un saldo attivo della bilancia commerciale vicina al miliardo di euro.
Poi veniamo ad altre note dolenti per il vino. Ha fatto notizia l’analisi del nuovo Osservatorio UIV-Vinitaly che ha acceso i riflettori su un dato quasi sempre trascurato: il valore medio dei vini che esportiamo, quindi i prezzi delle bottiglie. Ebbene, dice l’analisi, solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro (di cui il 28% sta sotto i 3 euro). Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi. La faccio breve: quasi il 75% dei vini che esportiamo sta sotto i 6 euro/litro, di cui il 28% è in fascia basic (fino a 3 euro/litro). Insomma c’è un serio problema di posizionamento per il vino italiano nel mondo e il tema è all’ordine del giorno del tavolo ministeriale Vino e delle varie cabine di regia del settore (che qui funzionano).
Ho parlato del vino perché il problema del posizionamento dei prezzi c’è eccome anche in ortofrutta, dove si sta scatenando una tempesta perfetta. I motivi sono noti: i costi (materiali, servizi, energia, trasporti, noli marittimi ecc) stanno lievitando senza freni e qui nessuno può farci niente, perché dipendono da fattori internazionali, fuori della nostra portata. Ma sul piano interno qualcosa si potrebbe fare, solo che è in corso un gioco delle parti (tra produzione, trasformazione e distribuzione alimentare) che Pirandello in confronto è roba da ridere. E che lascia presumere che tutto resterà come prima, cioè com’è adesso, quindi chi è più forte darà le carte e gli altri si dovranno adeguare.
Il mondo produttivo chiede di adeguare in alto i listini, ma lo chiede con ragionevolezza, come ha fatto Giorgio Mercuri di Alleanza cooperative. Che dopo aver dichiarato “Frutta e verdura? Oggi chi li produce in Italia lo fa in perdita” (Sole24Ore, 5 novembre). E chiede gradualità, di ritoccare alcuni prezzi al consumo ma valutando settore per settore, capendo dove “aumentare il prezzo al consumo e dove ridurre la marginalità lungo la filiera”. Poi, dice Mercuri, cara GDO intanto devi smettere con offerte, promozioni e scontistiche stracciate e magari avere “un occhio di riguardo verso chi lavora materia prima 100% italiana”. Non siamo tutti amici, amanti, devoti, innamorati del ‘made in Italy’?
Poi anche il numero uno di Confcooperative, Maurizio Gardini si è fatto sentire, facendosi interprete di una linea prudente: niente scontri, niente conflitti con la Distribuzione però (intervista al Resto del Carlino, 4 dicembre) dice: “Non penso che la risposta sia: zero aumenti di prezzo”. Quindi i prezzi finali al consumo vanno ritoccati. “Ma dico anche che serve un tavolo di confronto ai massimi livelli, pure col Governo, perché va tutelato il consumatore ma anche l’impresa che non può assorbire questi aumenti di costi senza finire fuori mercato.”
Un confronto lo chiede anche Fruitimprese. “Siamo preoccupati – dice Marco Salvi intervistato da askenews.it – perché da parte della GDO c’è una tendenza a comunicare ai consumatori che non si devono preoccupare degli aumenti, ovvero che la GDO vuole mantenere i prezzi stabili. Ma in una filiera così corta come l’ortofrutta se la GDO non incrementa i prezzi e il consumatore non si fa carico di una parte del maggior costo, chi paga questa operazione?”.
Il 2021 si chiude in questo clima per l’ortofrutta. Non tutta la GDO fa orecchie da mercante. Il settore è stato messo a soqquadro dal sasso lanciato da Esselunga che ha annunciato un taglio dei prezzi “fino al 60%” che non dovrebbe ricadere sui fornitori (??!!) e che intanto ha messo sul piatto 140 milioni di risorse interne. Coop Italia, per bocca di Marco Pedroni, dopo aver ribadito che il caro materie prime non può ricadere solo sui consumatori ,dice che va distribuito lungo la filiera “con più efficienza e un po’ meno profitti” (Sole24Ore, 30 ottobre). Ognuno deve fare la sua parte: “ci vorrebbe un patto tra industria, distribuzione e filiere produttive: noi ci stiamo provando, con l’atteggiamento del buon padre di famiglia, condividendo lo spirito cristiano in base al quale i più forti rinunciano un po’ ai loro margini. Per salvaguardare i clienti ma anche l’occupazione e il made in Italy” (Corsera, 22 novembre). In risposta a Esselunga, Coop agirà con forza sulla propria marca del distributore “per tutelare il potere di acquisto dei consumatori. Ma sarebbe utile anche un tavolo comune, un vertice straordinario sull’inflazione che riunisca industria, agricoltura e distribuzione. E anche il governo”.
Francesco Pugliese (numero uno di Conad) ribadisce che “non può essere la Distribuzione da sola ad assorbire il peso dell’inflazione”. Il manager della prima catena distributiva italiana sembra preoccupato soprattutto dai consumi: “Ora come ora l’Italia sta andando bene, l’export è ripreso, ma se si fermano i consumi andiamo tutti a casa. Non c’è ripresa che tenga”. Certa GDO però (le catene degli hard e soft discount) va avanti per la sua strada e basta guardare ad alcune promozioni selvagge in corso in questi giorni di avvicinamento alle feste di fine anno per capire l’aria che tira. Tira un po’ aria da Far West, e per capire il clima qualcuno ti racconta che certi buyer GDO ti mandano un messaggio Whatsapp con scritto il prezzo del tuo prodotto : prendere o lasciare…, e se non accetti comprano da un altro fornitore che quel prezzo lo accetta. Altro che pratiche sleali e aste a doppio ribasso, qui il ribasso corre sullo smartphone!
Nel teatrino della vita “c’è chi fa parte della soluzione e chi del problema, e chi sta a guardare”, come dice una bella battuta di un film. Qui il gioco delle parti è più incerto. Di certo c’è che senza un aumento dei prezzi al consumo – per compensare l’aumento esorbitante dei costi – un buon numero di imprese medio-piccole del fresco/freschissimo andranno in malora. Ed è inutile, quasi patetico, appellarsi alla responsabilità dei consumatori: quelli comprano dove più gli conviene, certo con attenzione al benessere e alla sostenibilità, ma anche al portafogli. Quindi aspettiamoci un boom degli hard e soft discount con conseguente incremento dell’import di tantissimi prodotti. Va bene così?
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
l.frassoldati@alice.it
TEMPESTA PERFETTA SULL’ORTOFRUTTA, C’È CHI FA PARTE DELLA SOLUZIONE E CHI DEL PROBLEMA. E CHI STA A GUARDARE
Non è tutto oro quello che luccica. Si fa spesso il paragone col sistema vino per evidenziare le difficoltà del sistema ortofrutta Italia.
Qui però voglio spezzare una lancia a favore dell’ortofrutta: intanto le imprese dell’ortofrutta hanno sempre lavorato anche durante il lockdown e alcuni comparti hanno vissuto una fase di superlavoro (agrumi, patate ecc) a differenza di tantissime cantine medio-piccole che, tranne i grandi gruppi privati e cooperativi ben piazzati dentro la GDO, sono rimaste ‘a secco’ con la chiusura del comparto HORECA (e in molti casi non si sono ancora riprese, tant’è che molte stanno passando di mano…). Poi l’export di vino sta ripartendo molto bene, ma anche l’ortofrutta si difende alla grande, basta guardare ai dati consuntivi del 2020, tra i migliori degli ultimi anni, con un saldo attivo della bilancia commerciale vicina al miliardo di euro.
Poi veniamo ad altre note dolenti per il vino. Ha fatto notizia l’analisi del nuovo Osservatorio UIV-Vinitaly che ha acceso i riflettori su un dato quasi sempre trascurato: il valore medio dei vini che esportiamo, quindi i prezzi delle bottiglie. Ebbene, dice l’analisi, solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro (di cui il 28% sta sotto i 3 euro). Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi. La faccio breve: quasi il 75% dei vini che esportiamo sta sotto i 6 euro/litro, di cui il 28% è in fascia basic (fino a 3 euro/litro). Insomma c’è un serio problema di posizionamento per il vino italiano nel mondo e il tema è all’ordine del giorno del tavolo ministeriale Vino e delle varie cabine di regia del settore (che qui funzionano).
Ho parlato del vino perché il problema del posizionamento dei prezzi c’è eccome anche in ortofrutta, dove si sta scatenando una tempesta perfetta. I motivi sono noti: i costi (materiali, servizi, energia, trasporti, noli marittimi ecc) stanno lievitando senza freni e qui nessuno può farci niente, perché dipendono da fattori internazionali, fuori della nostra portata. Ma sul piano interno qualcosa si potrebbe fare, solo che è in corso un gioco delle parti (tra produzione, trasformazione e distribuzione alimentare) che Pirandello in confronto è roba da ridere. E che lascia presumere che tutto resterà come prima, cioè com’è adesso, quindi chi è più forte darà le carte e gli altri si dovranno adeguare.
Il mondo produttivo chiede di adeguare in alto i listini, ma lo chiede con ragionevolezza, come ha fatto Giorgio Mercuri di Alleanza cooperative. Che dopo aver dichiarato “Frutta e verdura? Oggi chi li produce in Italia lo fa in perdita” (Sole24Ore, 5 novembre). E chiede gradualità, di ritoccare alcuni prezzi al consumo ma valutando settore per settore, capendo dove “aumentare il prezzo al consumo e dove ridurre la marginalità lungo la filiera”. Poi, dice Mercuri, cara GDO intanto devi smettere con offerte, promozioni e scontistiche stracciate e magari avere “un occhio di riguardo verso chi lavora materia prima 100% italiana”. Non siamo tutti amici, amanti, devoti, innamorati del ‘made in Italy’?
Poi anche il numero uno di Confcooperative, Maurizio Gardini si è fatto sentire, facendosi interprete di una linea prudente: niente scontri, niente conflitti con la Distribuzione però (intervista al Resto del Carlino, 4 dicembre) dice: “Non penso che la risposta sia: zero aumenti di prezzo”. Quindi i prezzi finali al consumo vanno ritoccati. “Ma dico anche che serve un tavolo di confronto ai massimi livelli, pure col Governo, perché va tutelato il consumatore ma anche l’impresa che non può assorbire questi aumenti di costi senza finire fuori mercato.”
Un confronto lo chiede anche Fruitimprese. “Siamo preoccupati – dice Marco Salvi intervistato da askenews.it – perché da parte della GDO c’è una tendenza a comunicare ai consumatori che non si devono preoccupare degli aumenti, ovvero che la GDO vuole mantenere i prezzi stabili. Ma in una filiera così corta come l’ortofrutta se la GDO non incrementa i prezzi e il consumatore non si fa carico di una parte del maggior costo, chi paga questa operazione?”.
Il 2021 si chiude in questo clima per l’ortofrutta. Non tutta la GDO fa orecchie da mercante. Il settore è stato messo a soqquadro dal sasso lanciato da Esselunga che ha annunciato un taglio dei prezzi “fino al 60%” che non dovrebbe ricadere sui fornitori (??!!) e che intanto ha messo sul piatto 140 milioni di risorse interne. Coop Italia, per bocca di Marco Pedroni, dopo aver ribadito che il caro materie prime non può ricadere solo sui consumatori ,dice che va distribuito lungo la filiera “con più efficienza e un po’ meno profitti” (Sole24Ore, 30 ottobre). Ognuno deve fare la sua parte: “ci vorrebbe un patto tra industria, distribuzione e filiere produttive: noi ci stiamo provando, con l’atteggiamento del buon padre di famiglia, condividendo lo spirito cristiano in base al quale i più forti rinunciano un po’ ai loro margini. Per salvaguardare i clienti ma anche l’occupazione e il made in Italy” (Corsera, 22 novembre). In risposta a Esselunga, Coop agirà con forza sulla propria marca del distributore “per tutelare il potere di acquisto dei consumatori. Ma sarebbe utile anche un tavolo comune, un vertice straordinario sull’inflazione che riunisca industria, agricoltura e distribuzione. E anche il governo”.
Francesco Pugliese (numero uno di Conad) ribadisce che “non può essere la Distribuzione da sola ad assorbire il peso dell’inflazione”. Il manager della prima catena distributiva italiana sembra preoccupato soprattutto dai consumi: “Ora come ora l’Italia sta andando bene, l’export è ripreso, ma se si fermano i consumi andiamo tutti a casa. Non c’è ripresa che tenga”. Certa GDO però (le catene degli hard e soft discount) va avanti per la sua strada e basta guardare ad alcune promozioni selvagge in corso in questi giorni di avvicinamento alle feste di fine anno per capire l’aria che tira. Tira un po’ aria da Far West, e per capire il clima qualcuno ti racconta che certi buyer GDO ti mandano un messaggio Whatsapp con scritto il prezzo del tuo prodotto : prendere o lasciare…, e se non accetti comprano da un altro fornitore che quel prezzo lo accetta. Altro che pratiche sleali e aste a doppio ribasso, qui il ribasso corre sullo smartphone!
Nel teatrino della vita “c’è chi fa parte della soluzione e chi del problema, e chi sta a guardare”, come dice una bella battuta di un film. Qui il gioco delle parti è più incerto. Di certo c’è che senza un aumento dei prezzi al consumo – per compensare l’aumento esorbitante dei costi – un buon numero di imprese medio-piccole del fresco/freschissimo andranno in malora. Ed è inutile, quasi patetico, appellarsi alla responsabilità dei consumatori: quelli comprano dove più gli conviene, certo con attenzione al benessere e alla sostenibilità, ma anche al portafogli. Quindi aspettiamoci un boom degli hard e soft discount con conseguente incremento dell’import di tantissimi prodotti. Va bene così?
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
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