In un qualsiasi supermercato giapponese, il frutto al prezzo più conveniente è la banana coltivata nelle Filippine, che si presenta con un casco di cinque pezzi e un prezzo che varia dai 100 ai 300 yen (da meno di un euro a due euro circa).
Discorso ben diverso per i limoni, venduti a pezzo, che costano l’uno da 150 yen a 250 yen (cioè da un euro a poco meno di due), e sono per la maggior parte importati dalla California. Si trovano anche limoni made in Japan, ma sono più cari e difficili da reperire con continuità. Questa situazione si spiega così: per gli agricoltori giapponesi è più conveniente produrre altri tipi di agrumi, diversi tipi di arance, mandarini, kinkon o qum quat, che sono più remunerativi dei limoni. Quindi la domanda di limoni, sia da parte della ristorazione che dei privati, trova una risposta nell’importazione. I consumatori giapponesi non gradiscono molto i limoni della California, di cui conoscono i trattamenti colturali intensivi con pesticidi, ma non hanno alternative e dopo averli acquistati li sottopongono a un lavaggio meticoloso.

Esiste un mercato anche per i succhi di limone concentrato per uso di cucina. Vengono venduti in boccettine di vetro da 100 ml, da 150 ml, da 300 ml e da 350 ml. I prezzi vanno da 670 yen per 100 ml (cioè 4,78 euro), a 1050 yen per 350 ml (cioè 7,5 euro).

La produzione agricola risente, in positivo e in negativo, della estrema diversità geografica del territorio giapponese da nord a sud, con le temperature rigide dell’inverno a Hokkaido e tropicali a Okinawa. Inoltre gli addetti in agricoltura sono in media fra i più anziani al mondo. Solo il 12,4% del suolo è coltivabile, in pratica circa 45 mila chilometri quadrati.
Luciano Gianfilippi
Osaka